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ATTUALITà


N. 42 - Giugno 2011 (LXXIII)

LE RADICI DEL PREGIUDIZIO
"ATTEGGIAMENTI" PERICOLOSI

di Carlo Siracusa

 

L’articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di conoscenza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

 

Un nobile ideale, che tuttavia trova difficile applicazione, viste le discriminazioni che conosciamo nelle sue diverse forme: dal colore della pelle alla religione, dal ceto sociale alla condizione economica, dalla mancanza di istruzione al tipo di lavoro che si svolge.

 

In un’epoca di globalizzazione, dove il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale è diventato una cosa comune, ci sono ancora manifestazioni di pregiudizio, sia a livello individuale che collettivo.

 

Come si acquisisce il pregiudizio? È possibile che forme di pregiudizio ingiustificato si annidino dentro di noi? Come possiamo estirparlo?

 

Secondo l’etimologia del termine, per “pregiudizio” - prae iudicium, prima-giudizio” - s’intende l’espressione di un giudizio prematuro, basato su informazioni insufficienti, su una conoscenza parziale e incompleta.

 

Di solito si tratta di opinioni personali, idee precostituite e preconcette che possono essere acquisite sin dall’infanzia, durante le prime fasi della socializzazione, sulla base dell’atteggiamento dei genitori.

 

I bambini tendono ad imitare ciò che fanno i propri genitori, punto di riferimento nella formazione della propria personalità. La possibilità che i pregiudizi possano crearsi in momenti successivi all’infanzia, sono tanto più veri se si considera l’influenza che hanno i mass-media.

 

Nel periodo formativo, bombardati da una serie di messaggi provenienti dalla televisione, dalle riviste, si possono generare nei ragazzi atteggiamenti discriminatori nei confronti di un gruppo (per gruppo s’intende un insieme di persone aggregate, le quali possono formare una famiglia,un clan, una razza, un’etnia, una religione, un partito).

 

Anche durante la vita adulta, gratificazioni e competizioni possono ingenerare pregiudizi. La competizione tra gruppi non avviene solo per l’approvvigionamento, ma anche in difesa della propria identità sociale.

 

Quando si è introdotti in un gruppo, si prende consapevolezza di appartenervi, con un conseguente senso di sicurezza che dà la sensazione di valere e di essere protetti.

 

Il desiderio di salvaguardare la propria identità sociale, è ciò che fa scaturire competizione e pregiudizio nei confronti delle altre appartenenze, degli altri gruppi. È tendenza comune, negli appartenenti a un gruppo, creare al suo interno omogeneità, assomigliandosi sempre di più negli atteggiamenti, nelle opinioni, accentuando le proprie differenze rispetto agli altri gruppi, così da differenziarsi ulteriormente.

 

Ciascun membro tende a sviluppare atteggiamenti di autocompiacimento che lo portano a ritenersi migliore o addirittura superiore agli altri. Questo atteggiamento sortisce un rafforzamento della propria autostima; chiunque la pensi differentemente, costituisce una minaccia alla propria autostima.

 

È in questo modo che l’identità sociale prende il sopravvento sull’identità personale, al punto che, anche il diverso, non viene visto come individuo a sé, ma come appartenente ad un gruppo.

 

Anche gli stereotipi possono dar luogo all’insorgenza di pregiudizi, influenzando parte delle nostre azioni quotidiane. Benché possano avere un valore sociale, tuttavia bisogna considerarli con una certa prudenza, in quanto possono indurci a valutare le persone non per quello che sono, ma in funzione della loro appartenenza, della loro personalità, per i valori, le motivazioni e le capacità intellettive che li accomunano o li differenziano.

 

È così che si creano gli stereotipi, quelle configurazioni che vengono applicate generalmente a interi gruppi o categorie di persone, che una volta classificate, è difficile modificare, e ancor più difficile eliminare.

 

Capita spesso di osservare gli appartenenti ad un gruppo etnico diverso dal nostro (gente di colore, cinesi, senegalesi…), i quali appaiono ai nostri occhi come indistinguibili, sia negli aspetti somatici, come nel comportamento, negli atteggiamenti, e nel modo di pensare.

 

Questa incapacità di distinguere i singoli individui, percependoli come categorie o gruppi sociali, viene definita in ambito psicologico “effetto di omogeneità”, poiché non si guada loro come a singoli individui, con la propria diversità e la propria personalità, ma in termini di categorie sociali, di gruppi diversi, sviluppando inevitabilmente una forma di pregiudizio verso tutti quelli che appartengono ad una diversa categoria sociale.

 

Molto spesso, a far nascere e riprodurre tali pregiudizi, concorre la diffusione attraverso il linguaggio o comunicazione sociale, attraverso la quale esprimiamo, manifestiamo e diffondiamo i pregiudizi, rendendoli a volte un luogo comune.

 

Non è per niente facile demolire un pregiudizio. Tuttavia, per riuscire a smorzarlo, per sradicarlo almeno dal nostro cuore, occorre trapiantare in noi istruzione, conoscenza e informazione.

 

Questi elementi costituiscono l’arma principale per combatterlo. Dopo di che, occorre esaminare i nostri stessi atteggiamenti, perché il pregiudizio è “un atteggiamento”.



 

 

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