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N. 73 - Gennaio 2014 (CIV)

A PROPOSITO DEL NATALE
UNA FESTA PRECRISTIANA?

di Andrea Filippini

 

Negli ultimi decenni il Natale, commemorazione della “presunta” ricorrenza della natività di Gesù, è divenuto una festa diffusa anche laddove il cristianesimo non ha attecchito.

 

L’universalizzazione dei festeggiamenti natalizi è un esempio di quel fenomeno chiamato “globalizzazione”, e attesta la stupefacente capacità di assimilazione culturale posseduta da tutti popoli del pianeta.

 

Certo, il senso del Natale tanto in Oriente quanto in Occidente non è più quello implicito nel nomen. Chi solennizza realmente il diem natālem Christi (“giorno di nascita di Cristo”)? Non sempre i nomina sunt consequentia rerum!

 

Il Natale oggi sembra prevalentemente un’occasione per mangiare, bere, scambiare regali e divertirsi, una manifestazione della mentalità profana e consumistica della nostra società piuttosto che un’espressione di spiritualità autentica e di devoto attaccamento verso la persona di Gesù.

 

Fatte queste considerazioni, è interessante riflettere sulla genesi di questa festività. L’origine della tradizione natalizia cristiana s’innesca su celebrazioni invernali di molto precedenti. «È un fatto ben strano che il mondo, prima ancora di creare una moneta universale, una legge universale, un governo universale, una lingua o un sistema di pesi e misure universali, abbia inventato un Natale universale».

 

Con queste perspicaci parole Michael Harrison, un noto scrittore inglese, prende atto della profonda antichità delle celebrazioni natalizie e del loro intimo legame con la religiosità umana.

 

Proviamo a riavvolgere la pellicola della storia e a fermarla dapprima a cento e poi a mille, duemila, tremila anni fa.

 

Ogni volta che ci soffermiamo sui fotogrammi del periodo di fine anno possiamo osservare dei festeggiamenti, una “grande festa” religioso-profana che si prolunga per una dozzina di giorni, un dodecameron che vede tra i propri momenti clou una celebrazione natalizia proprio il 25 dicembre.

 

«Un filo rosso di lunghezza inimmaginabile, dunque, mai del tutto reciso o perduto», hanno scritto due folcloristi, lega l’ultimo Natale al primo. Anche se gli storici delle religioni non sono in grado di affermare con precisione scientifica “chi” sia stato il primo a celebrare “un” natale ed esattamente quando, possiedono una dovizia d’informazioni che consente loro di affermare in modo indubitabile e incontrovertibile che il Natale è una festa temporalmente precristiana e culturalmente pagana perché scaturita da una religiosità ancestrale proclive al culto della natura con i suoi cicli, e degli dèi ad essa associati.

 

Le prime generazioni degli uomini – non semplici trogloditi insensati e men che meno scimmie antropomorfe intellettualmente poco sviluppate – davanti alla complessità dei fenomeni naturali, di cui con ogni evidenza ignoravano le cause, provarono un senso di riverenza e soggezione. Percependo l’energia e la vitalità manifeste negli elementi del mondo fisico (il sole, gli astri, la luna, i monti, i fiumi, ecc.) e avvertendo che essi sembravano esercitare una grande influenza sulle attività umane, finirono per personificarli sotto forma di dèi e spiriti.

 

La divinizzazione della natura, ci spiegano gli studiosi, è una delle cause determinanti la nascita del politeismo. Di questa evoluzione della religione arcaica sembra rinvenirsi un’eco nel Nuovo Testamento quando San Paolo biasima i pagani perché «han reso culto e han servito la creatura anziché l’avente creato» (Romani 1:25, Vianello).

 

Particolare rilievo nella riflessione spirituale delle prime famiglie umane ebbe la ciclicità delle stagioni con il periodico accorciarsi/allungarsi della luce diurna, con la costante diminuzione/crescita del calore provenienti dal Sole, ecc. Spinti da un ineludibile e innato senso religioso, alzarono gli occhi verso il cielo e cominciarono a praticare dei rituali propiziatori in onore del “dio Sole”. Nel pantheon di pressoché tutti i popoli primordiali esiste una qualche divinità solare che solitamente ha un posto di preminenza.

 

Gli umili uomini della profonda antichità osservarono ben presto che il sole, la luna, ecc. “rinascevano” periodicamente. I corpi celesti divennero per loro «segni per le feste, per i giorni e per gli anni» (Genesi 1:14, CEI-08), ovvero li utilizzarono per computare il tempo.

 

Rilevando nel comportamento del sole una circolarità perenne (solstizio invernale, equinozio primaverile, solstizio estivo, equinozio autunnale), svilupparono la concezione del “tempo circolare”, e cominciarono a calcolare lo scorrere del tempo in “anni”. Ciò è evidente, per esempio, nell’etimo del termine latino annus.

 

I romani solevano usare la particella an per circum, intorno. Da an è derivato l’arcaico annus con il significato di circolo, e annulus, anello. «Annus è dunque l’anello del tempo, il moto circolare che non è solo un’immagine poiché la terra gira realmente intorno al sole o, se volete, dal punto di vista di chi vive sul nostro pianeta, il sole intorno alla terra» (Cattabiani).

 

La fine del ciclo annuale, con la “morte” del sole e la sua nuova “nascita” – il mito dell’“eterno ritorno” – divenne un festoso momento rituale. Analizzando l’evoluzione culturale umana si evince che l’antichissima, quasi preistorica, percezione della criticità solstiziale con i suoi culti derivati costituisce la base di riferimento per ogni sviluppo cultuale e rituale successivo.

 

Non sorprende leggere che molti dei gesti tradizionali che ancora oggi vengono praticati durante il periodo compreso tra Natale ed Epifania derivano da un passato lontanissimo, indubitabilmente precristiano.

 

Di questo c’è una prova vivente. Nel Pakistan nord-occidentale risiede una popolazione, i Kalasha, che costituisce l’unico esempio oggi esistente di religione politeista praticata da un popolo di lingua indoeuropea che non si sia lasciata assorbire da uno dei grandi sistemi religiosi storici che hanno plasmato il pensiero e l’organizzazione sociale di tutte le altre genti che appartengono a questa grande famiglia linguistica.

 

Ebbene i Kalasha hanno un complesso festivo del solstizio d’inverno detto Chaumos. L’analisi del Chaumos, il Natale pagano, consente di comprendere meglio e provare dove affondino le radici pre-cristiane delle nostre feste di dicembre. L’excursus comparativo presentato in un libro specialistico rileva parecchi «parallelismi fra il periodo festivo compreso tra Ognissanti e Carnevale e il periodo del Chaumos e delle altre feste collegate», e aggiunge: «Sotto la coltre delle feste cristiane abbiamo visto le tracce di un complesso festivo che sembra avere diversi tratti in comune con la sequenza invernale Kalasha».

 

In particolare, sostiene l’autore, «del Natale abbiamo ritrovato fra i Kalasha il tratto essenziale del Visitatore divino. La comparazione ci ha mostrato che questa credenza in un essere divino portatore di vita che discende fra gli uomini nel periodo più buio dell’anno è un’idea assai antica.

 

L’abbiamo ritrovata nella religione Kalasha e anche altrove in Peristan, e si è visto che appartiene alle radici pagane dell’Europa come a quelle pre-vediche dell’Induismo» (Cacopardo). Poiché c’è motivo di ritenere che le tradizioni religiose dei Kalasha resistano sostanzialmente immutate da millenni, il Chaumos è una dimostrazione tangibile della paganità religiosa e della precristianità temporale della festa del Natale.

 

Uno studio attento del DNA culturale e religioso del Natale cristiano rivela una paternità diversa da quella da molti credenti presunta: il Natale non è figlio primogenito dell’idea di commemorare l’Incarnazione del Verbo di Dio nel giorno in cui la giudea Maria partorì il suo divino pargolo, non nasce nel I secolo con lo sviluppo della liturgia protocristiana, ma origina da ben più antiche pratiche religiose che risalgono quasi alla notte dei tempi. Si tratta di un’adozione sincretistica compiuta dall’intellighenzia cattolica dal III-IV secolo in poi per tentare di convertire i pagani.

 

«I Padri della Chiesa […] hanno “cristianizzato” i simboli, i riti e i miti asianici e mediterranei, riportandoli a una “storia sacra”», scrive Mircea Eliade. «Quando i missionari cristiani furono messi a confronto, specialmente nell’Europa centrale e occidentale, con religioni popolari viventi», aggiunge, «per amore o per forza, si finì per “cristianizzare” le Figure divine e i miti “pagani” che non si lasciavano sradicare». La festa del natale del “dio Sole” venne trasformata nella festa in onore della natività di Gesù, «il sole della giustizia» (Malachia 3:20, [4:2], CEI-08).

 

La Chiesa romana, preoccupata dalla straordinaria diffusione dei culti solari, in primis dal mitraismo che, con la sua morale e spiritualità non dissimili dal cristianesimo, costituiva un concorrente pericoloso in grado di frenare la diffusione del Vangelo, fu favorita in questa sua operazione di sovrapposizione dalla circostanza che fin dall’Antico Testamento Gesù veniva preannunziato dai profeti come “luce” e “sole” (si vedano Isaia 9:1 [2]; 10:17; 60:1, 20; Malachia 3:20 [4:2]).

 

Nella sua prima enciclica, Papa Francesco lo ribadisce perspicuamente quando scrive che «nel mondo pagano, affamato di luce, si era sviluppato il culto al dio Sole, Sol invictus, invocato nel suo sorgere. Anche se il sole rinasceva ogni giorno, si capiva che era incapace di irradiare la sua luce sull’intera esistenza dell’uomo […] Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole, “i cui raggi donano la vita”» (Lumen fidei, I).

 

Questa speciosa argomentazione teologico-scritturale utilizzata per legittimare la celebrazione del Natale – ammesso che non ci siano altre motivazioni bibliche per cui un cristiano dovrebbe rifuggire da una festa di matrice sincretistica – dal punto di vista storico ribadisce ulteriormente gli ascendenti pagani del Natale e conferma inequivocabilmente che la data del 25 dicembre è slegata dal reale compleanno di Gesù.

 

Gli sforzi compiuti da alcuni (pochi) teologi e studiosi cattolici di esperire che il Natale si commemora il 25 dicembre perché proprio in quel giorno nacque Gesù – salvo naturalmente una fortuita coincidenza comunque osteggiata dai dati oggettivi – appaiono poco convincenti oltre che inutili.

 

È talmente certo che in questa data molto prima di Cristo si festeggiava il Natale che ogni tentativo di dimostrare qualcosa di diverso risulta essere inane e vano. Contra factum non valet argumentum!

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Eraldo BALDINI & Giuseppe BELLOSI, Tenebroso Natale. Il lato oscuro della Grande Festa, Editori Laterza, 2012

Augusto S. CACOPARDO, Natale pagano. Feste d’inverno nello Hindu Kush, Sellerio Editore, Palermo, 2013

Alfredo CATTABIANI, Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Mondadori, Milano, 2011

Mircea ELIADE, Mito e realtà, Borla Editore, Torino, 1966

Martyne PERROT, Etnologia del Natale. Indagine su una festa paradossale, Elèuthera, Milano, 2012.



 

 

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