filosofia & religione
ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL SANT’UFFIZIO
DALLA FONDAZIONE AL XIX SECOLO
di Enrico Targa
Verso la metà del XV secolo,
l’inquisizione era ormai una istituzione
in declino. Con l’estinzione dei
movimenti ereticali di massa (come
quello dei catari), alcuni tribunali
erano scomparsi, altri erano inattivi o
svolgevano un’azione giudiziaria
ridotta. Una nuova fase nella storia
dell’istituzione si aprì con la
fondazione dell’inquisizione spagnola.
Nel 1478 Sisto IV, accogliendo una
pressante richiesta dei re cattolici,
Isabella di Castiglia e Ferdinando
d’Aragona, accettò di ripristinare ed
estendere ai regni e domini peninsulari
l’inquisizione. La concessione era
motivata dall’allarme suscitato dalla
diffusione del criptogiudaismo,
l’eresia, cioè, commessa dagli ebrei
(definiti marrani) convertiti al
Cristianesimo, i quali, dopo aver
ricevuto il battesimo, tornavano a
praticare in forma privata la religione
dei loro avi.
Superato un primo periodo transitorio,
il sistema si stabilizzò secondo il
seguente schema: i sovrani indicavano al
Pontefice il nome del candidato alla
carica di inquisitore generale di Spagna
(diritto regio di presentazione). A lui
il Pontefice conferiva la giurisdizione
in materia di delitti contro la fede,
concedendogli la facoltà di subdelegare
i propri poteri agli inquisitori
periferici. I tribunali locali
applicavano il diritto inquisitoriale
pontificio, anche se successivi
privilegi finirono con l’attribuire
all’intero apparato un certo grado di
autonomia rispetto all’autorità papale.
Analoghi privilegi, per i medesimi
motivi, furono poi concessi da Paolo III
ai sovrani di Portogallo, tra il 1536 e
il 1547: nasceva così, accanto a quella
spagnola, l’inquisizione portoghese.
In quegli stessi anni era stata eretta
la cosiddetta inquisizione romana. Sorta
sulle ceneri della preesistente
inquisizione medievale, essa era sorta
con la finalità di combattere e
reprimere la penetrazione nella penisola
italiana delle dottrine riformate. Di
fronte alla diffusione del
Protestantesimo, infatti, Paolo III
Farnese istituì, con la costituzione
Licet ab initio del 21 luglio 1542,
una speciale Commissione composta da sei
Cardinali competenti a giudicare i
delitti in materia di fede.
È probabile che, sin dagli inizi, i
Cardinali fossero affiancati da teologi
e canonisti in veste di consultori.
Negli anni immediatamente successivi,
l’organigramma della Commissione si andò
ampliando: in data imprecisata, ma
certamente non posteriore al 1548, ne
divenne membro ex officio il
Maestro dei Sacri Palazzi (il titolo
anticamente portato dal Teologo della
Casa Pontificia), nel 1551 fu creata la
carica di Commissario, con funzioni di
segretario, e nel 1553 quest’ultimo fu
affiancato da un prelato con titolo di
Assessore.
L’organismo – poi denominato
Congregazione della Santa Romana e
Universale Inquisizione (o Congregazione
del Sant’Uffizio) e la cui sfera
d’azione, almeno in teoria, doveva
estendersi a tutta la cristianità, a
cominciare dall’Italia e dalla Curia
romana – aveva la facoltà di inviare,
dove se ne fosse presentata la
necessità, propri delegati che potevano
decidere gli eventuali appelli e avevano
il potere di agire contro apostati,
eretici, sospetti di eresia e loro
difensori, seguaci e fautori, qualunque
ne fosse stata la dignità e il grado,
con la possibilità per gli inquisitori
generali di ricorrere anche al braccio
secolare.
Lo stabilirsi dell’inquisizione romana
con il suo carattere universale,
esplicitamente dichiarato nella sua
stessa denominazione, stava quindi a
significare l’accentramento a Roma, sede
del papato, della giurisdizione in
materia di eresia. Di fatto, tuttavia,
come si vedrà più oltre, tale
giurisdizione universale non fu
pienamente esercitata prima degli inizi
del XIX secolo.
L’immediata conferma, agli inizi del
1550, della Romana e Universale
Inquisizione costituì uno dei primi atti
di governo di Giulio III. Il Papa
dispose che essa dovesse occuparsi in
particolare della vita religiosa in
Italia, dove si avvertiva ancora la
presenza di numerosi eretici, e ribadì
che tale organismo costituiva per tutti
i Paesi cristiani l’autorità centrale
competente a procedere giudizialmente in
difesa della vera fede.
Il Pontefice provvide poi a emanare il
15 febbraio 1551 la costituzione
Licet a diversis, nella quale
condannava la pretesa delle autorità
civili di alcuni stati di interferire
nei processi a carico degli eretici,
come si era verificato, per esempio,
nella Repubblica di Venezia. Gian Pietro
Carafa, fervente promotore
dell’inquisizione romana e fin dalla sua
istituzione dimostratosi uno dei più
attivi Cardinali inquisitori generali,
asceso al soglio pontificio nel maggio
del 1555 con il nome di Paolo IV, si
adoperò subito in favore
dell’istituzione. Di questo provvide a
fare restaurare la sede in via di
Ripetta, che lui stesso da cardinale
aveva procurato a proprie spese al
momento della fondazione nel 1542.
Il Papa accordò inoltre, con il Motu
proprio Attendentes onera dell’11
febbraio 1556, tanto all’edificio quanto
a coloro che vi prestavano servizio, una
serie di privilegi e di esenzioni
fiscali, oltre alla concessione di nuove
facoltà ai membri del tribunale, con un
considerevole ampliamento della sua
sfera giurisdizionale. Quest’ultima
oltrepassò i confini dei dogmi veri e
propri, e vennero così sottoposti
all’inquisizione anche i delitti di
lenocinio, stupro, prostituzione e
sodomia, con ulteriore aggiunta di
quanto poteva cadere sotto l’imputazione
di “eresia simoniaca”, secondo la
definizione data dallo stesso Paolo IV,
e cioè la vendita dei sacramenti,
l’ordinazione di minorenni, gli abusi in
materia beneficiale, e così via.
In considerazione dell’esteso ambito
delle competenze di questo tribunale, il
Pontefice provvide anche ad accrescere
il numero dei Cardinali membri: tra il
dicembre del 1558 e il maggio del 1559,
risulta che erano ascritti alla
Congregazione ben 17 porporati. Paolo IV
interruppe il tradizionale rapporto di
tolleranza tra la Chiesa cattolica e gli
ebrei.
Con la bolla Cum nimis absurdum
del 14 luglio 1555, il pontefice revocò
tutti i diritti concessi agli ebrei
romani e ordinò l’istituzione del
ghetto, chiamato “Serraglio degli
ebrei”. Già presente a Venezia e in
altre città europee, fu il primo dello
Stato Pontificio. Gli ebrei vennero
costretti a vivere reclusi in una
specifica zona del rione Sant’Angelo. A
Firenze Cosimo I de’ Medici fece
costruire il ghetto ebraico nella zona
del Mercato Vecchio, l’attuale Piazza
della Repubblica, in ottemperanza agli
ordini pontifici. Successivamente, anche
in altre città dello Stato pontificio
gli ebrei furono rinchiusi in ghetti e
obbligati a portare un cappello giallo
per essere riconoscibili (e un velo
giallo per le donne).
Paolo IV inviò ad Ancona due commissari
straordinari con l’ordine di arrestare e
processare tutti gli ebrei apostati. I
marrani imprigionati furono sottoposti a
processo dal tribunale dell’Inquisizione
e alcuni furono condannati al rogo
(altri furono condannati sui remi delle
galee a vita): dopo essere stati
torturati, venticinque marrani furono
bruciati ad Ancona tra marzo e giugno
del 1556.
A ridimensionare l’eccessivo potere
attribuito da Paolo IV all’inquisizione
e ai suoi membri si adoperò subito Pio
IV, fortemente impressionato peraltro
dalla devastazione del palazzo di via di
Ripetta, sede del tribunale, e dalla
distruzione e dispersione degli atti
processuali, messe in atto, il giorno
stesso (18 agosto 1559) della morte del
predecessore, dalla folla in rivolta
contro il rigore esercitato dagli
inquisitori.
Abbandonando tuttavia la prima idea di
abolire addirittura l’inquisizione, Pio
IV cercò di riportarne le funzioni
ordinarie nell’alveo della normalità,
cominciando infatti col ridurre, in una
congregazione dell’11 gennaio 1560, la
giurisdizione dei Cardinali inquisitori,
ricondotti ad assolvere il proprio
compito istituzionale relativo alla
tutela dell’integrità della fede.
Riconoscendo l’efficacia dell’azione
fino ad allora svolta dal Sant’Uffizio,
Pio IV delineò quindi nuovamente, con la
costituzione Pastoralis officii munus
del 14 ottobre 1562, le funzioni dei
Cardinali membri, stabilendo in pari
tempo l’ambito esatto della loro
giurisdizione, che divenne ancora più
estesa. Il 31 ottobre successivo, con il
Motu proprio Saepius inter arcana,
confermò poi all’inquisizione romana il
potere di procedere pure contro Prelati,
Vescovi, Arcivescovi, Patriarchi e
Cardinali, riservando però sempre al
Papa la pronuncia della sentenza finale
in concistoro.
Ancora, con il Motu proprio Cum sicut
accepimus del 2 agosto 1564 riportò
a otto il numero dei Cardinali
inquisitori (in precedenza avevano
raggiunto la cifra di 23), ai quali
tuttavia ne aggiunse un nono
precisandone le funzioni, e infine, con
il Motu proprio Cum inter crimina
del 27 agosto seguente, concesse ai
Cardinali inquisitori la facoltà di
possedere e di leggere libri eretici, o
comunque proibiti, e di permetterne a
loro volta ad altri il possesso e la
lettura.
Il domenicano Michele (al secolo
Antonio) Ghislieri, commissario
dell’inquisizione sin dalla istituzione
della carica e, sotto Paolo IV,
Cardinale inquisitore generale, divenuto
Papa con il nome di Pio V il 17 gennaio
1566, fornì l’organismo di una nuova
sede. Questa si rendeva necessaria dopo
la distruzione di quella originaria in
via di Ripetta che aveva costretto i
Cardinali inquisitori a tenere le
riunioni in casa del più anziano tra
essi.
A tal fine Pio V acquistò nel 1566,
facendolo restaurare, un edificio
situato nelle vicinanze della futura
basilica vaticana, i cui lavori vennero
interrotti al preciso scopo di
accelerare la ristrutturazione del nuovo
palazzo del Sant’Uffizio. Agibile già
dal 1569, l’edificio fu completato nel
1586, quando Sisto V vi fece aggiungere
le carceri. Queste furono demolite nel
secolo scorso, durante i lavori di
ampliamento (1921–1925) del palazzo dove
ha sede l’odierna Congregazione per la
Dottrina della Fede, che l’occupa in
gran parte.
Pio V ordinò anche la costituzione di un
apposito archivio per la conservazione
di tutti gli atti processuali – di cui
era espressamente vietato rilasciare
copia, ma che all’occorrenza avrebbero
potuto essere consultati sul posto – e
rese più rigoroso l’obbligo del segreto
su tutte le questioni trattate nei
processi, considerandone l’infrazione
come offesa personale al Papa. Emanò poi
ulteriori disposizioni per proteggere da
minacce e violenze i Cardinali
inquisitori e gli addetti all’ufficio, e
per salvaguardare i testimoni da
eventuali molestie e rappresaglie da
parte degli stessi imputati o dei loro
parenti e amici.
Con il Motu proprio Cum felicis
recordationis del 5 dicembre 1571,
il Pontefice stabilì che per la validità
delle decisioni del Sant’Uffizio era
sufficiente l’intervento di due soli
Cardinali, anziché di tre, com’era
prescritto per ogni altro organismo
curiale. La Sacra Romana e Universale
Inquisizione fu affiancata dalla
Congregazione dell’Indice, istituita da
Pio V nel 1571, ma formalmente eretta
dal suo successore Gregorio XIII, il 13
settembre 1573, con il compito specifico
di esaminare le opere sospette, di
correggere (espurgare) quelle che, dopo
i debiti interventi censori, potevano
continuare a circolare e di aggiornare
periodicamente l’elenco dei libri
vietati (Index librorum prohibitorum).
A meno di cinquant’anni dopo la sua
erezione, il Sant’Ufficio romano
pervenne a una posizione di assoluto
privilegio in seguito alla generale
riorganizzazione del governo centrale
della Chiesa e dello Stato pontificio
operata da Sisto V con la costituzione
apostolica Immensa aeterni Dei
del 22 gennaio 1588. Infatti, in testa
alle quindici congregazioni stabilite da
Sisto V (incluse le cinque già
esistenti) fu collocata, conservando il
carattere di tribunale, la
Congregatio sanctae Inquisitionis
haereticae pravitatis.
Posta sotto la diretta presidenza del
Pontefice per l’importanza delle
questioni trattate, l’inquisizione
romana venne dotata da Sisto V delle più
ampie facoltà, per cui rientrava nella
sua sfera giurisdizionale tutto quanto
poteva riguardare la fede, con
estensione dei suoi poteri non solo a
Roma e nello Stato pontificio, ma
dovunque e nei confronti di chiunque,
cosicché tanto i latini quanto gli
orientali venivano a dipendere
direttamente da essa, a eccezione dei
tribunali appartenenti alle inquisizioni
spagnola e portoghese, i cui rispettivi
privilegi non potevano essere modificati
senza l’espresso assenso del Pontefice.
A dispetto della circostanza che la
Congregazione fosse investita, in
teoria, di una giurisdizione universale,
di fatto la documentazione finora nota
dimostra che il dicastero esercitò le
proprie competenze, oltre che sui
tribunali italiani, soltanto su quelli
di Malta, Avignone (allora dominio
pontificio), Besançon, Carcassona,
Tolosa (nell’attuale Francia) e Colonia
(Sacro Romano Impero di Germania).
Comunque sia, la Congregazione fu
investita di giurisdizione assoluta su
tutti i delitti concernenti la fede –
eresia, scisma, apostasia, divinazione,
sortilegi, magia – e della facoltà di
dispensare dagli impedimenti di mista
religione e di disparità di culto, con
speciale competenza circa il cosiddetto
privilegio paolino nello scioglimento
del vincolo matrimoniale. La
Congregazione era anche competente su
tutto quello che, pur non riferendosi
propriamente alla fede, avesse con essa
relazione, cioè il delitto di
sollicitatio ad turpia, i voti
religiosi, la santificazione delle
feste, il digiuno e l’astinenza.
Nonostante il silenzio della
costituzione sistina, il Sant’Uffizio
restò incaricato anche della censura e
proscrizione dei libri riconosciuti
eretici, in quanto all’esame delle opere
sospette provvedeva la Congregazione
dell’Indice, confermata da Sisto V.
L’attività di questo Dicastero veniva a
integrare l’azione che nel settore era
chiamata a esplicare la stessa
inquisizione, la quale, impegnata nella
risoluzione delle questioni più gravi
riguardanti la fede e la morale, si
trovava nell’impossibilità di esercitare
una completa sorveglianza sulle opere
che sempre più numerose venivano
stampate ovunque.
La grande importanza a cui era assurta
con Sisto V la Congregazione
dell’Inquisizione accresceva tra i
membri del Sacro Collegio il desiderio
di appartenervi. Dopo l’ampia
riorganizzazione sistina della Curia
romana, la Congregazione
dell’Inquisizione mantenne la sua
posizione preminente tra le varie
Congregazioni, rimanendo pressoché
inalterata nella sua struttura e nei
suoi compiti istituzionali sino agli
inizi del Novecento.
Gregorio XV con la costituzione
Universi dominici gregis del 30
agosto 1622 confermò la competenza della
Congregazione dell’Inquisizione contro
il delitto di sollicitatio ad turpia,
competenza ribadita da Benedetto XIV con
la costituzione Sollicita ac provida
del 9 luglio 1753, elaborata e
scritta personalmente dal Papa.
Il Pontefice esortò i membri della
Congregazione dell’Indice a un esame più
attento e imparziale delle opere loro
sottoposte per prevenire le lamentele
degli autori e dispose che ai teologi
fossero affiancate persone eminenti per
cultura, in procedimenti più obiettivi e
che prevedessero anche l’ascolto degli
accusati o di loro rappresentanti.
Il Papa cercò di dirimere la questione,
mai risolta, della giurisdizione
concorrente in materia di censura tra
Sant’Ufficio e Congregazione
dell’Indice. Stabilì pertanto che
quest’ultima doveva occuparsi soltanto
delle opere espressamente denunciate
come pericolose, sempre che esse non
fossero già sottoposte all’esame della
Congregazione dell’Inquisizione.
Verso la fine del Settecento vennero
dapprima sottoposti alla giurisdizione
di quest’ultima taluni delitti che non
erano mai stati considerati in stretta
relazione con l’ambito dottrinale, e
poi, con Pio VI, le fu aggiunta tutta la
materia riguardante gli ordini sacri
tanto per la parte dogmatica quanto per
quella disciplinare. Nell’Ottocento,
sotto il pontificato di Gregorio XVI,
inoltre, l’inquisizione venne incaricata
per qualche tempo di occuparsi anche
delle cause dei santi, sempre però per
ciò che riguardava la dottrina e in
specie il concetto di martirio.
Riferimenti bibliografici:
R. Canova, Storia
dell’Inquisizione in Italia,
Venezia-Roma 1987.
Giovanni Romeo, L’Inquisizione
nell’Italia moderna, Laterza,
Bari 2002.
Adriano Prosperi, Tribunali
della coscienza. Inquisitori,
confessori, missionari, Einaudi,
Torino 1996. |