[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 153 / SETTEMBRE 2020 (CLXXXIV)


filosofia & religione

ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL SANT’UFFIZIO

DALLA FONDAZIONE AL XIX SECOLO

di Enrico Targa

 

Verso la metà del XV secolo, l’inquisizione era ormai una istituzione in declino. Con l’estinzione dei movimenti ereticali di massa (come quello dei catari), alcuni tribunali erano scomparsi, altri erano inattivi o svolgevano un’azione giudiziaria ridotta. Una nuova fase nella storia dell’istituzione si aprì con la fondazione dell’inquisizione spagnola. Nel 1478 Sisto IV, accogliendo una pressante richiesta dei re cattolici, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, accettò di ripristinare ed estendere ai regni e domini peninsulari l’inquisizione. La concessione era motivata dall’allarme suscitato dalla diffusione del criptogiudaismo, l’eresia, cioè, commessa dagli ebrei (definiti marrani) convertiti al Cristianesimo, i quali, dopo aver ricevuto il battesimo, tornavano a praticare in forma privata la religione dei loro avi.

 

Superato un primo periodo transitorio, il sistema si stabilizzò secondo il seguente schema: i sovrani indicavano al Pontefice il nome del candidato alla carica di inquisitore generale di Spagna (diritto regio di presentazione). A lui il Pontefice conferiva la giurisdizione in materia di delitti contro la fede, concedendogli la facoltà di subdelegare i propri poteri agli inquisitori periferici. I tribunali locali applicavano il diritto inquisitoriale pontificio, anche se successivi privilegi finirono con l’attribuire all’intero apparato un certo grado di autonomia rispetto all’autorità papale. Analoghi privilegi, per i medesimi motivi, furono poi concessi da Paolo III ai sovrani di Portogallo, tra il 1536 e il 1547: nasceva così, accanto a quella spagnola, l’inquisizione portoghese.

 

In quegli stessi anni era stata eretta la cosiddetta inquisizione romana. Sorta sulle ceneri della preesistente inquisizione medievale, essa era sorta con la finalità di combattere e reprimere la penetrazione nella penisola italiana delle dottrine riformate. Di fronte alla diffusione del Protestantesimo, infatti, Paolo III Farnese istituì, con la costituzione Licet ab initio del 21 luglio 1542, una speciale Commissione composta da sei Cardinali competenti a giudicare i delitti in materia di fede.

 

È probabile che, sin dagli inizi, i Cardinali fossero affiancati da teologi e canonisti in veste di consultori. Negli anni immediatamente successivi, l’organigramma della Commissione si andò ampliando: in data imprecisata, ma certamente non posteriore al 1548, ne divenne membro ex officio il Maestro dei Sacri Palazzi (il titolo anticamente portato dal Teologo della Casa Pontificia), nel 1551 fu creata la carica di Commissario, con funzioni di segretario, e nel 1553 quest’ultimo fu affiancato da un prelato con titolo di Assessore.

 

L’organismo – poi denominato Congregazione della Santa Romana e Universale Inquisizione (o Congregazione del Sant’Uffizio) e la cui sfera d’azione, almeno in teoria, doveva estendersi a tutta la cristianità, a cominciare dall’Italia e dalla Curia romana – aveva la facoltà di inviare, dove se ne fosse presentata la necessità, propri delegati che potevano decidere gli eventuali appelli e avevano il potere di agire contro apostati, eretici, sospetti di eresia e loro difensori, seguaci e fautori, qualunque ne fosse stata la dignità e il grado, con la possibilità per gli inquisitori generali di ricorrere anche al braccio secolare.

 

Lo stabilirsi dell’inquisizione romana con il suo carattere universale, esplicitamente dichiarato nella sua stessa denominazione, stava quindi a significare l’accentramento a Roma, sede del papato, della giurisdizione in materia di eresia. Di fatto, tuttavia, come si vedrà più oltre, tale giurisdizione universale non fu pienamente esercitata prima degli inizi del XIX secolo.

 

L’immediata conferma, agli inizi del 1550, della Romana e Universale Inquisizione costituì uno dei primi atti di governo di Giulio III. Il Papa dispose che essa dovesse occuparsi in particolare della vita religiosa in Italia, dove si avvertiva ancora la presenza di numerosi eretici, e ribadì che tale organismo costituiva per tutti i Paesi cristiani l’autorità centrale competente a procedere giudizialmente in difesa della vera fede.

 

Il Pontefice provvide poi a emanare il 15 febbraio 1551 la costituzione Licet a diversis, nella quale condannava la pretesa delle autorità civili di alcuni stati di interferire nei processi a carico degli eretici, come si era verificato, per esempio, nella Repubblica di Venezia. Gian Pietro Carafa, fervente promotore dell’inquisizione romana e fin dalla sua istituzione dimostratosi uno dei più attivi Cardinali inquisitori generali, asceso al soglio pontificio nel maggio del 1555 con il nome di Paolo IV, si adoperò subito in favore dell’istituzione. Di questo provvide a fare restaurare la sede in via di Ripetta, che lui stesso da cardinale aveva procurato a proprie spese al momento della fondazione nel 1542.

 

Il Papa accordò inoltre, con il Motu proprio Attendentes onera dell’11 febbraio 1556, tanto all’edificio quanto a coloro che vi prestavano servizio, una serie di privilegi e di esenzioni fiscali, oltre alla concessione di nuove facoltà ai membri del tribunale, con un considerevole ampliamento della sua sfera giurisdizionale. Quest’ultima oltrepassò i confini dei dogmi veri e propri, e vennero così sottoposti all’inquisizione anche i delitti di lenocinio, stupro, prostituzione e sodomia, con ulteriore aggiunta di quanto poteva cadere sotto l’imputazione di “eresia simoniaca”, secondo la definizione data dallo stesso Paolo IV, e cioè la vendita dei sacramenti, l’ordinazione di minorenni, gli abusi in materia beneficiale, e così via.

 

In considerazione dell’esteso ambito delle competenze di questo tribunale, il Pontefice provvide anche ad accrescere il numero dei Cardinali membri: tra il dicembre del 1558 e il maggio del 1559, risulta che erano ascritti alla Congregazione ben 17 porporati. Paolo IV interruppe il tradizionale rapporto di tolleranza tra la Chiesa cattolica e gli ebrei.

 

Con la bolla Cum nimis absurdum del 14 luglio 1555, il pontefice revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani e ordinò l’istituzione del ghetto, chiamato “Serraglio degli ebrei”. Già presente a Venezia e in altre città europee, fu il primo dello Stato Pontificio. Gli ebrei vennero costretti a vivere reclusi in una specifica zona del rione Sant’Angelo. A Firenze Cosimo I de’ Medici fece costruire il ghetto ebraico nella zona del Mercato Vecchio, l’attuale Piazza della Repubblica, in ottemperanza agli ordini pontifici. Successivamente, anche in altre città dello Stato pontificio gli ebrei furono rinchiusi in ghetti e obbligati a portare un cappello giallo per essere riconoscibili (e un velo giallo per le donne).

 

Paolo IV inviò ad Ancona due commissari straordinari con l’ordine di arrestare e processare tutti gli ebrei apostati. I marrani imprigionati furono sottoposti a processo dal tribunale dell’Inquisizione e alcuni furono condannati al rogo (altri furono condannati sui remi delle galee a vita): dopo essere stati torturati, venticinque marrani furono bruciati ad Ancona tra marzo e giugno del 1556.

 

A ridimensionare l’eccessivo potere attribuito da Paolo IV all’inquisizione e ai suoi membri si adoperò subito Pio IV, fortemente impressionato peraltro dalla devastazione del palazzo di via di Ripetta, sede del tribunale, e dalla distruzione e dispersione degli atti processuali, messe in atto, il giorno stesso (18 agosto 1559) della morte del predecessore, dalla folla in rivolta contro il rigore esercitato dagli inquisitori.

 

Abbandonando tuttavia la prima idea di abolire addirittura l’inquisizione, Pio IV cercò di riportarne le funzioni ordinarie nell’alveo della normalità, cominciando infatti col ridurre, in una congregazione dell’11 gennaio 1560, la giurisdizione dei Cardinali inquisitori, ricondotti ad assolvere il proprio compito istituzionale relativo alla tutela dell’integrità della fede.

 

Riconoscendo l’efficacia dell’azione fino ad allora svolta dal Sant’Uffizio, Pio IV delineò quindi nuovamente, con la costituzione Pastoralis officii munus del 14 ottobre 1562, le funzioni dei Cardinali membri, stabilendo in pari tempo l’ambito esatto della loro giurisdizione, che divenne ancora più estesa. Il 31 ottobre successivo, con il Motu proprio Saepius inter arcana, confermò poi all’inquisizione romana il potere di procedere pure contro Prelati, Vescovi, Arcivescovi, Patriarchi e Cardinali, riservando però sempre al Papa la pronuncia della sentenza finale in concistoro.

 

Ancora, con il Motu proprio Cum sicut accepimus del 2 agosto 1564 riportò a otto il numero dei Cardinali inquisitori (in precedenza avevano raggiunto la cifra di 23), ai quali tuttavia ne aggiunse un nono precisandone le funzioni, e infine, con il Motu proprio Cum inter crimina del 27 agosto seguente, concesse ai Cardinali inquisitori la facoltà di possedere e di leggere libri eretici, o comunque proibiti, e di permetterne a loro volta ad altri il possesso e la lettura.

 

Il domenicano Michele (al secolo Antonio) Ghislieri, commissario dell’inquisizione sin dalla istituzione della carica e, sotto Paolo IV, Cardinale inquisitore generale, divenuto Papa con il nome di Pio V il 17 gennaio 1566, fornì l’organismo di una nuova sede. Questa si rendeva necessaria dopo la distruzione di quella originaria in via di Ripetta che aveva costretto i Cardinali inquisitori a tenere le riunioni in casa del più anziano tra essi.

 

A tal fine Pio V acquistò nel 1566, facendolo restaurare, un edificio situato nelle vicinanze della futura basilica vaticana, i cui lavori vennero interrotti al preciso scopo di accelerare la ristrutturazione del nuovo palazzo del Sant’Uffizio. Agibile già dal 1569, l’edificio fu completato nel 1586, quando Sisto V vi fece aggiungere le carceri. Queste furono demolite nel secolo scorso, durante i lavori di ampliamento (1921–1925) del palazzo dove ha sede l’odierna Congregazione per la Dottrina della Fede, che l’occupa in gran parte.

 

Pio V ordinò anche la costituzione di un apposito archivio per la conservazione di tutti gli atti processuali – di cui era espressamente vietato rilasciare copia, ma che all’occorrenza avrebbero potuto essere consultati sul posto – e rese più rigoroso l’obbligo del segreto su tutte le questioni trattate nei processi, considerandone l’infrazione come offesa personale al Papa. Emanò poi ulteriori disposizioni per proteggere da minacce e violenze i Cardinali inquisitori e gli addetti all’ufficio, e per salvaguardare i testimoni da eventuali molestie e rappresaglie da parte degli stessi imputati o dei loro parenti e amici.

 

Con il Motu proprio Cum felicis recordationis del 5 dicembre 1571, il Pontefice stabilì che per la validità delle decisioni del Sant’Uffizio era sufficiente l’intervento di due soli Cardinali, anziché di tre, com’era prescritto per ogni altro organismo curiale. La Sacra Romana e Universale Inquisizione fu affiancata dalla Congregazione dell’Indice, istituita da Pio V nel 1571, ma formalmente eretta dal suo successore Gregorio XIII, il 13 settembre 1573, con il compito specifico di esaminare le opere sospette, di correggere (espurgare) quelle che, dopo i debiti interventi censori, potevano continuare a circolare e di aggiornare periodicamente l’elenco dei libri vietati (Index librorum prohibitorum).

 

A meno di cinquant’anni dopo la sua erezione, il Sant’Ufficio romano pervenne a una posizione di assoluto privilegio in seguito alla generale riorganizzazione del governo centrale della Chiesa e dello Stato pontificio operata da Sisto V con la costituzione apostolica Immensa aeterni Dei del 22 gennaio 1588. Infatti, in testa alle quindici congregazioni stabilite da Sisto V (incluse le cinque già esistenti) fu collocata, conservando il carattere di tribunale, la Congregatio sanctae Inquisitionis haereticae pravitatis.

 

Posta sotto la diretta presidenza del Pontefice per l’importanza delle questioni trattate, l’inquisizione romana venne dotata da Sisto V delle più ampie facoltà, per cui rientrava nella sua sfera giurisdizionale tutto quanto poteva riguardare la fede, con estensione dei suoi poteri non solo a Roma e nello Stato pontificio, ma dovunque e nei confronti di chiunque, cosicché tanto i latini quanto gli orientali venivano a dipendere direttamente da essa, a eccezione dei tribunali appartenenti alle inquisizioni spagnola e portoghese, i cui rispettivi privilegi non potevano essere modificati senza l’espresso assenso del Pontefice.

 

A dispetto della circostanza che la Congregazione fosse investita, in teoria, di una giurisdizione universale, di fatto la documentazione finora nota dimostra che il dicastero esercitò le proprie competenze, oltre che sui tribunali italiani, soltanto su quelli di Malta, Avignone (allora dominio pontificio), Besançon, Carcassona, Tolosa (nell’attuale Francia) e Colonia (Sacro Romano Impero di Germania).

 

Comunque sia, la Congregazione fu investita di giurisdizione assoluta su tutti i delitti concernenti la fede – eresia, scisma, apostasia, divinazione, sortilegi, magia – e della facoltà di dispensare dagli impedimenti di mista religione e di disparità di culto, con speciale competenza circa il cosiddetto privilegio paolino nello scioglimento del vincolo matrimoniale. La Congregazione era anche competente su tutto quello che, pur non riferendosi propriamente alla fede, avesse con essa relazione, cioè il delitto di sollicitatio ad turpia, i voti religiosi, la santificazione delle feste, il digiuno e l’astinenza.

 

Nonostante il silenzio della costituzione sistina, il Sant’Uffizio restò incaricato anche della censura e proscrizione dei libri riconosciuti eretici, in quanto all’esame delle opere sospette provvedeva la Congregazione dell’Indice, confermata da Sisto V. L’attività di questo Dicastero veniva a integrare l’azione che nel settore era chiamata a esplicare la stessa inquisizione, la quale, impegnata nella risoluzione delle questioni più gravi riguardanti la fede e la morale, si trovava nell’impossibilità di esercitare una completa sorveglianza sulle opere che sempre più numerose venivano stampate ovunque.

 

La grande importanza a cui era assurta con Sisto V la Congregazione dell’Inquisizione accresceva tra i membri del Sacro Collegio il desiderio di appartenervi. Dopo l’ampia riorganizzazione sistina della Curia romana, la Congregazione dell’Inquisizione mantenne la sua posizione preminente tra le varie Congregazioni, rimanendo pressoché inalterata nella sua struttura e nei suoi compiti istituzionali sino agli inizi del Novecento.

 

Gregorio XV con la costituzione Universi dominici gregis del 30 agosto 1622 confermò la competenza della Congregazione dell’Inquisizione contro il delitto di sollicitatio ad turpia, competenza ribadita da Benedetto XIV con la costituzione Sollicita ac provida del 9 luglio 1753, elaborata e scritta personalmente dal Papa.

 

Il Pontefice esortò i membri della Congregazione dell’Indice a un esame più attento e imparziale delle opere loro sottoposte per prevenire le lamentele degli autori e dispose che ai teologi fossero affiancate persone eminenti per cultura, in procedimenti più obiettivi e che prevedessero anche l’ascolto degli accusati o di loro rappresentanti.

 

Il Papa cercò di dirimere la questione, mai risolta, della giurisdizione concorrente in materia di censura tra Sant’Ufficio e Congregazione dell’Indice. Stabilì pertanto che quest’ultima doveva occuparsi soltanto delle opere espressamente denunciate come pericolose, sempre che esse non fossero già sottoposte all’esame della Congregazione dell’Inquisizione.

 

Verso la fine del Settecento vennero dapprima sottoposti alla giurisdizione di quest’ultima taluni delitti che non erano mai stati considerati in stretta relazione con l’ambito dottrinale, e poi, con Pio VI, le fu aggiunta tutta la materia riguardante gli ordini sacri tanto per la parte dogmatica quanto per quella disciplinare. Nell’Ottocento, sotto il pontificato di Gregorio XVI, inoltre, l’inquisizione venne incaricata per qualche tempo di occuparsi anche delle cause dei santi, sempre però per ciò che riguardava la dottrina e in specie il concetto di martirio.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

R. Canova, Storia dell’Inquisizione in Italia, Venezia-Roma 1987.

Giovanni Romeo, L’Inquisizione nell’Italia moderna, Laterza, Bari 2002.

Adriano Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino 1996. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]