N. 63 - Marzo 2013
(XCIV)
L’Operazione Quercia
La liberazione di Mussolini dalla prigione più alta del mondo
di Tommaso Cherubini
Nella
notte
tra
il
24 e
il
25
luglio
del
1943
si
svolse
l’ultima,
drammatica
seduta
del
Gran
Consiglio
del
fascismo:
dieci
lunghe
ore
di
arringhe
e di
confronti
tra
i
componenti
dell’organo
fascista
sull’esame
dell’andamento
del
conflitto
mondiale
terminarono
con
la
presentazione
da
parte
di
Dino
Grandi,
uno
dei
gerarchi
più
influenti
del
regime,
della
mozione
con
la
quale
si
chiedeva
“l’immediato
ripristino
di
tutte
le
funzioni
statali”
e la
conseguente
esautorazione
dei
poteri
assoluti
del
Duce,
assunti
con
le
leggi
fascistissime
del
1925.
Con
l’approvazione
dell’ordine
del
giorno
Grandi,
con
19
voti
favorevoli
contro
8
contrari
e 1
astenuto,
il
Re
Vittorio
Emanuele
III
ebbe
a
disposizione
lo
strumento
politico
più
idoneo
per
destituire
da
ogni
carica
il
Duce
e
affidare
il
governo
al
Maresciallo
d’Italia,
filo
monarchico,
Pietro
Badoglio.
A
rendere
ancora
più
mesta
l’uscita
dalla
scena
politica
di
un
uomo
ormai
irriconoscibile
che
non
rappresentava
nemmeno
l’ombra
dell’uomo
della
provvidenza
che
per
un
ventennio
aveva
governato
in
modo
assolutista
e
incontrastato
l’Italia,
fu
l’ordine
di
arresto
impartito
dal
Re
nei
confronti
dello
stesso
Mussolini
appena
uscito
da
Villa
Savoia,
l’attuale
Villa
Ada
in
Roma.
Dal
giorno
dell’arresto
Mussolini
fu
trasferito
prima
sull’isola
di
Ponza
poi
dal
7
agosto
sull’isola
di
La
Maddalena
e
infine
sul
Gran
Sasso
a
Campo
Imperatore.
I
repentini
cambi
dei
luoghi
di
prigionia
erano
dovuti
al
fatto
che
Hitler
aveva
manifestato
anche
pubblicamente
la
ferma
intenzione
di
liberare
l’amico
Mussolini:
già
il
26
luglio
in
una
riunione
presso
la
Wolfsschanze,
la
cosiddetta
Tana
del
Lupo
in
cui
si
rifugiava
Hitler,
lo
stesso
Furher
ordinò
al
generale
dell’aviazione
tedesca
Student
di
partire
per
Roma
e di
coordinare
le
attività
operative
e di
intelligence
finalizzate
alla
scoperta
del
luogo
di
detenzione
del
Duce
e
provvedere
alla
sua
liberazione
per
trasferirlo
in
Germania.
Al
generale
Student
furono
affiancati,
oltre
ai
reparti
paracadutisti
al
comando
del
maggiore
Harold
Mors
che
avrebbero
svolto
l’attività
operativa
della
missione,
il
responsabile
del
Servizio
di
Sicurezza
tedesco
a
Roma
Herbert
Kappler
e un
reparto
dello
stesso
Servizio
di
Sicurezza
comandato
dal
capitano
delle
SS
Otto
Skorzeny,
inviato
direttamente
da
Berlino.
Ad
agosto
i
tedeschi
scoprirono
rapidamente
il
secondo
luogo
di
detenzione
del
Duce,
Villa
Weber
sull’isola
di
La
Maddalena.
Grazie
all’attività
spionistica
di
Skorzeny
e al
cospicuo
fondo
riservato
all’operazione
Quercia
di
50.000
sterline
false
stampate
da
falsari
ebrei
internati
presso
il
lager
di
Sachsenhausen
con
il
quale
vennero
comprate
importanti
informazioni,
i
tedeschi
individuarono
la
prigione
di
Mussolini.
Probabilmente
Badoglio
apprese
la
notizia
di
un
imminente
attacco
tedesco
a
Villa
Weber,
pertanto
decise
di
ordinare
il
trasferimento
dello
scomodo
detenuto,
che
sarebbe
avvenuto
il
26
agosto,
presso
l’albergo
di
Campo
Imperatore
sul
Gran
Sasso
d’Abruzzo.
I
tedeschi
si
accorsero
solo
il
29
agosto,
un
attimo
prima
di
attuare
il
piano
d’assalto
alla
Villa
sarda,
che
Mussolini
era
stato
trasferito,
impiegando
una
settimana
circa
a
individuare
la
nuova
prigione,
grazie
tra
l’altro
all’intercettazione
e
codificazione
di
un
messaggio
cifrato
dell’ispettore
Gueli,
responsabile
della
custodia
del
Duce,
inviato
al
capo
della
polizia
Senise,
nel
quale
si
assicurava
l’ultimazione
del
dispiegamento
di
un
sistema
di
sicurezza
e
protezione
intorno
al
Gran
Sasso.
Si
intensificarono
dunque
le
indagini
conoscitive
intorno
al
Gran
Sasso
da
parte
degli
uomini
della
Luftwaffe
di
Student
e
degli
uomini
di
Skorzeny:
entrambi
i
reparti
collaborarono
tra
loro
con
reciproca
diffidenza,
che
si
sarebbe
palesata
anche
durante
il
prosieguo
dell’operazione.
L’astio
tra
Student
e
Skorzeny,
ma
soprattutto
la
rivalità
di
quest’ultimo
con
Kappler
si
acuirono
dal
momento
in
cui
la
missione
di
Skorzeny,
scoprire
il
nuovo
rifugio
del
detenuto
Mussolini,
sembrava
ultimata.
Le
informazioni
assunte
tramite
l’intercettazione
di
Gueli
da
parte
di
Kappler
fu
ripresa
da
Skorzeny
il
quale,
attraverso
vari
sopralluoghi
e
avendo
constatato
un
inconsueto
movimento
di
militari
intorno
a
una
zona
isolata
come
era
il
Gran
Sasso,
confermò
l’ubicazione
della
nuova
prigione
del
Duce.
Ma
l’indagine
spionistica
non
fu
così
efficace
da
individuare
la
composizione
e
l’armamento
del
gruppo
di
militari
italiani
impegnati
sul
Gran
Sasso.
Mussolini
intanto
dopo
le
peripezie
dei
trasferimenti
forzati
terminò
il
suo
primo
mese
di
detenzione
in
quella
che
lui
stesso
definì
la
più
alta
prigione
del
mondo,
il
rifugio
albergo
di
Campo
Imperatore
a
2200
metri
d’altezza.
La
vigilanza
del
sito
e
del
sorvegliato
speciale
fu
affidata
a un
numero
di
carabinieri
e
poliziotti
piuttosto
esiguo
rispetto
a
quello
necessario
a
fronteggiare
un
eventuale
blitz
tedesco:
il
nucleo
alle
dipendenze
dell’ispettore
generale
di
polizia
Giuseppe
Gueli
e
del
tenente
dei
carabinieri
Alberto
Faiola
era
costituito
da
43
carabinieri
e 30
poliziotti.
Una
volta
accertato
che
Mussolini
dal
6
settembre
risiedeva
nel
campo
rifugio
abruzzese
i
tedeschi
si
concentrarono
sulla
pianificazione
dell’operazione
militare
di
liberazione.
L’orografia
del
paesaggio
impediva
un’azione
terrestre
su
larga
scala,
almeno
in
principio.
Pertanto
il
maggiore
dei
paracadutisti
Mors
illustrò
il
piano
studiato
per
l’occasione
al
generale
Student:
l’attacco
a
sorpresa
ai
carcerieri
di
Mussolini
sarebbe
partito
dal
cielo
attraverso
un
gruppo
di
alianti
al
comando
del
tenente
von
Berlepsch,
sostenuto
da
terra
dal
resto
del
battaglione
al
comando
del
maggiore
Mors
che
avrebbe
isolato
l’area
intorno
al
rifugio
e
impedito
eventuali
rinforzi
italiani
da
L’Aquila.
Il
piano
prevedeva
l’impiego
di
circa
500
uomini
su
un
territorio
privo
di
collegamenti
che
per
i
tedeschi
risultava
particolarmente
ostile
in
quanto
ancora
controllato
dalle
forze
militari
italiane.
Inoltre
i
tedeschi
non
erano
riusciti
a
quantificare
le
forze
nemiche,
ma
si
presumeva
che
il
numero
dei
militari
italiani
fosse
piuttosto
esiguo.
Nonostante
qualche
titubanza
scaturita
dalla
volontà
di
preparare
al
meglio
l’operazione
e
manifestata
da
Mors
il
quale
preferiva
un
attacco
notturno
piuttosto
che
l’azione
diurna
pianificata,
si
decise
di
intervenire
al
più
presto
per
evitare
una
nuova
repentina
fuga
del
prigioniero
verso
altre
località.
A
questo
punto
dell’operazione
il
compito
di
Otto
Skorzeny
sembrò
esaurito,
ma
il
capitano,
avendo
presagito
nuovi
momenti
di
gloria,
non
volle
rinunciare
all’ambizione
di
partecipare
all’effettiva
liberazione
del
Duce,
e
chiese
al
generale
Student
di
poter
partecipare
all’operazione
militare.
Student
accordando
al
capitano
quanto
da
lui
richiesto,
commise
un
errore
di
valutazione
che
avrebbe
permesso
all’arrivista
Skorzeny
di
assumersi
nell’immediato
futuro
il
merito
del
buon
esito
dell’operazione.
Comunque
Skorzeny
avrebbe
partecipato,
secondo
gli
intendimenti
del
maggiore
Mors,
come
mero
osservatore
e
consigliere
politico
insieme
ad
altre
SS,
nel
frattempo
il
capitano
avvisò
Berlino
che
la
liberazione
di
Mussolini
sarebbe
stata
imminente.
Alle
3 di
notte
del
12
settembre
il
maggiore
Mors
alla
testa
di
circa
trecento
tedeschi
del
battaglione
paracadutisti
si
diresse
verso
Assergi
per
occupare
la
funivia
che
sale
a
Campo
Imperatore
e
che
rappresentava
una
via
di
comunicazione
strategica
per
giungere
al
rifugio.
Durante
l’occupazione
tedesca
dei
posti
di
controllo
italiani
caddero
le
uniche
due
vittime
di
questa
operazione,
cadute
nell’oblio
dell’anonimato,
delle
quali
vogliamo
almeno
ricordare
i
nomi:
la
guardia
forestale
Pasqualino
Di
Tocco
e il
carabiniere
Giovanni
Natale.
Nel
frattempo
i
piloti
dei
dieci
alianti
impiegati
per
raggiungere
dall’alto
il
rifugio
raggiunsero
l’obiettivo,
ma
non
tutti
atterrarono
perfettamente,
a
causa
anche
della
spregiudicatezza
del
capitano
Skorzeny
il
quale,
pur
di
giungere
per
primo
al
cospetto
di
Mussolini,
ordinò
al
proprio
pilota
di
atterrare
in
picchiata
mettendo
a
repentaglio
la
sicurezza
e la
vita
degli
equipaggi
di
due
dei
dieci
alianti.
Nonostante
gli
ordini
di
Student
e
Mors,
l’ambizioso
Skorzeny
non
rimase
un
semplice
spettatore,
ma
con
la
sua
consueta
spavalderia
cominciò
a
dettare
i
tempi
dell’operazione
aerea,
approfittando
del
fatto
che
Mors
era
a
terra,
attestato
presso
la
funivia.
La
reazione
italiana
al
repentino
atterraggio
degli
alianti
fu
sbigottita
e
lenta:
i
militari
italiani
non
si
sarebbero
mai
aspettati
un’offensiva
aerea,
avendo
ritenuto
impossibile
uno
sbarco
di
paracadutisti.
Tra
sgomento
e
incredulità
gli
italiani
capirono
subito
che
sarebbero
stati
facile
obiettivo
dei
mitra
tedeschi
e
non
accennarono
alla
minima
reazione,
convinti
anche
dalla
presenza
di
un
generale
italiano
al
seguito
di
Skorzeny:
il
generale
delle
guardie
metropolitane
Soleti,
utilizzato
più
come
ostaggio
che
come
accompagnatore.
Tale
arrendevole
atteggiamento
fu
spiegato
in
seguito
dallo
stesso
responsabile
del
dispositivo
di
sicurezza
italiano
Gueli,
che
dichiarò
di
aver
appreso
la
notizia
di
un
imminente
azione
tedesca
per
liberare
Mussolini,
avvalorata
da
un
ambiguo
telegramma
del
12
settembre
del
capo
della
polizia
Senise
che
invitava
a
comportarsi
con
la
massima
prudenza.
Pertanto
l’ispettore
Gueli
diede
degli
ordini
precisi,
volti
ad
agevolare
il
più
possibile
il
buon
esito
dell’operazione
Quercia
e
neutralizzare
le
difese
italiane
prima
ancora
di
qualsiasi
cenno
di
reazione:
fece
accantonare
le
armi
automatiche
e le
scorte
di
munizioni
dentro
una
stanza
chiusa
a
chiave;
il
giorno
prima
fece
smontare
le
due
mitragliatrici
pesanti
che
erano
poste
sul
tetto
e
che
avrebbero
potuto
abbattere
facilmente
gli
alianti;
fece
tenere
i
cani
da
guardia
legati
alla
catena.
Nel
dopoguerra
questo
atteggiamento
unito
all’insolito
ottimismo
mostrato
prima
della
missione
dal
generale
Student,
che
presagì,
in
modo
quanto
meno
sospetto,
che
gli
italiani
non
avrebbero
sparato
un
colpo,
lasceranno
ipotizzare
che
la
liberazione
di
Mussolini
fosse
stata
barattata
con
la
fuga
del
Re
Vittorio
Emanuele
III
da
Roma;
ma
queste
possono
essere
solo
supposizioni.
In
breve
tempo
i
carcerieri
italiani
e i
liberatori
tedeschi
si
ritrovarono
mischiati
tra
loro
in
attesa
che
uscissero
dal
rifugio
gli
ufficiali
con
Mussolini.
Una
volta
messa
fuori
uso
la
radio
in
una
stanza
del
rifugio,
Skorzeny
salì
verso
la
stanza
del
Duce,
la
201,
dove
incontrò
4
uomini
di
guardia
che
non
opposero
alcuna
resistenza:
fu
questo
il
momento
storico
al
quale
l’ambizioso
Skorzeny
non
avrebbe
mai
rinunciato
e
per
il
quale
aveva
rischiato
incoscientemente
la
vita
propria
e
degli
altri
collaboratori.
Rimane
dunque
alle
cronache
storiche
il
saluto
militare
al
Duce
da
parte
di
Skorzeny,
che
nel
nome
di
Hitler
comunicò
allo
stesso
Mussolini
di
essere
sul
Gran
Sasso
per
liberarlo.
Uno
stanco
e
avvilito
Mussolini,
rispose
in
modo
quasi
meccanico
ringraziando
del
gesto
che
aveva
compiuto
nei
suoi
confronti
l’amico
Hitler,
avendo
cura
di
dire
le
stesse
parole
nel
momento
in
cui
si
presentò
a
lui
il
comandante
effettivo
dell’operazione,
il
maggiore
Mors,
che
nel
frattempo
giunse
presso
il
rifugio
attraverso
la
funivia.
Ma
il
Duce,
appena
uscito
dal
rifugio
per
sottoporsi
alle
attenzioni
dell’apparato
della
propaganda
tedesca
con
fotografie
e
riprese,
si
lasciò
sfuggire
di
fronte
al
suo
custode,
il
maresciallo
Antichi,
la
frase
“avrei
preferito
essere
liberato
dagli
italiani
“,
manifestando
una
mal
celata
preoccupazione.
L’ingombrante
presenza
del
capitano
Skorzeny
si
paleserà
ancora
una
volta
nel
viaggio
che
avrebbe
dovuto
portare
l’ex
prigioniero
a
Pratica
di
Mare.
Il
piano
prevedeva
che
un
aereo
biposto,
il
mitico
modello
Cicogna,
avrebbe
trasportato
il
Duce
presso
l’aeroporto
di
Pratica
di
Mare;
a
quel
punto
Skorzeny
convinse
l’ufficiale
pilota
a
portarlo
con
sé
vantando
importanti
amicizie
negli
ambienti
militari
berlinesi
che
avrebbero
potuto
agevolare
la
carriera
del
giovane
pilota.
Nonostante
le
perplessità
del
maggiore
Mors
dovute
alla
stazza
fisica
di
Skorzeny
e
alle
ridotte
dimensioni
del
biposto,
l’aereo
con
Mussolini
e
Skorzeny
decollò
fortunosamente
da
una
improvvisata
pista
alle
ore
15,00
per
fare
rientro
all’aeroporto
di
Pratica
di
Mare
e
ripartire
successivamente
per
Vienna
e
infine
verso
la
meta
finale,
Monaco
di
Baviera.
Terminata
l’operazione
militare
cominciò
la
campagna
di
mistificazione
dei
fatti
realmente
accaduti:
i
cinegiornali
e i
giornali
furono
impegnati
in
una
operazione
mediatica
di
mitizzazione
dell’operato
delle
SS
durante
la
liberazione
di
Mussolini
offuscando
il
reale
merito
militare
di
chi
aveva
pianificato
l’azione,
il
maggiore
Mors
e i
suoi
paracadutisti.
L’esaltazione
di
un
successo
più
politico
che
militare
da
attribuire,
secondo
l’attenta
regia
del
capo
delle
SS
Himmler,
alla
polizia
nazista
permise
a
Skorzeny
di
godere
di
vantaggi
immediati
come
la
promozione
sul
campo
al
grado
di
maggiore,
i
complimenti
ricevuti
direttamente
dal
Fuhrer,
una
decorazione
militare
al
valore,
ma
soprattutto
gli
permise,
attraverso
i
numerosi
contatti
internazionali
di
costruirsi
una
vita
dorata
in
Spagna,
protetto
dal
regime
franchista.
Infatti
dopo
un
breve
periodo
vissuto
in
un
campo
di
denazificazione,
dal
quale
scappò
nel
1948,
grazie
a
personaggi
indiscutibilmente
legati
al
nazismo
come
il
milionario
delle
acciaierie
Krupp,
alla
protezione
di
uomini
del
calibro
di
Otto
Wolff
von
Amerongen,
cofondatore
del
club
Bilderberg,
gruppo
di
ricchi
potenti
ultimamente
salito
alla
ribalta
delle
cronache
economiche
mondiali.
Otto
Skorzeny
riuscì
a
sfuggire
anche
a
Simon
Wiesenthal,
il
cacciatore
di
nazisti
che
lo
inseguì
fino
a
Madrid,
giungendo
al
paradosso
di
proporsi
come
spia
nel
servizio
segreto
israeliano,
il
Mossad
e
nella
CIA
americana.
Gli
altri
protagonisti
della
liberazione
di
Mussolini
ebbero
altri
destini.
Il
maggiore
Mors
nel
gennaio
del
1944
fu
trasferito
sul
fronte
russo
con
il
sospetto
che
tale
destinazione
fosse
la
punizione
per
le
proteste
avanzate
contro
Skorzeny,
volte
a
ristabilire
la
verità
dei
fatti
accaduti
sul
Gran
Sasso.
L’ispettore
Gueli,
determinante
nell’ordinare
una
anomala
passività
del
reparto
a
custodia
del
Duce,
riparò
nel
Nord
Italia
aderendo
alla
Repubblica
Sociale
Italiana
per
essere
condannato
dopo
la
liberazione
a
otto
anni
di
detenzione
per
crimini
di
guerra.
Conosciamo
bene
invece
il
destino
del
protagonista,
suo
malgrado,
dell’operazione
Quercia.
La
liberazione
di
Mussolini
e la
conseguente
costituzione
della
Repubblica
Sociale
Italiana
nel
Nord
Italia,
avrebbero
gettato
per
quasi
un
biennio
il
Paese
nell’angoscia
della
prosecuzione
di
una
guerra
ormai
persa
e
nella
drammaticità
di
una
cruenta
e
sanguinosa
guerra
civile.
Riferimenti
bibliografici:
G.
Fissore,
Operazione
Quercia
in
Focus
Storia,
n.
63,
gennaio
2012
M.
Mucha,
El
archivo
secreto
in
La
Aventura
de
la
Historia,
n.
165
anno
XIII
M.
Patricelli,
Settembre
1943
i
giorni
della
vergogna,
Editori
Laterza,
Roma-Bari
2009
O.
Skorzeny,
Memorie
segrete,
Garzanti,
Milano,
1954.