contemporanea
SULLA SECONDA DECADE DELL’ONU
THE "BASIC NEEDS" THEORY
di Luisa Tamiro
Nel corso degli anni Settanta, le
Nazioni Unite si dimostrarono favorevoli
a una serie di conferenze di respiro
internazionale, le quali posero
l’accento sull’interconnessione tra
crescita economica e sviluppo inteso
come tutela ambientale per esempio, o,
ancora sicurezza alimentare. Venne posto
in risalto come proprio quei Paesi che
presentarono crescite modeste a livello
di Pil, allo stesso tempo furono colpiti
da povertà dilagante ed alti tassi di
disoccupazione, ragion per cui fu
necessario un cambio di strategia
fondata sulla risoluzione immediata dei
problemi di povertà e distribuzione del
reddito e delle ricchezze.
Fu proprio in questi anni che prese
corpo il famigerato approccio ai bisogni
fondamentali, soprattutto all’interno
del mondo accademico il quale si prodigò
di delineare con maggiore nitore gli
scopi e i risultati da raggiungere. A
tal proposito, l’Assemblea generale il
24 ottobre 1970 proclamò la Seconda
Decade dell’Onu per lo sviluppo,
adottando contestualmente una strategia
internazionale. La pianificazione della
decade fu a carico del comitato per la
pianificazione allo sviluppo formato da
diciotto gruppi di esperti nominati dal
Segretario generale, a tale
pianificazione parteciparono anche il
Segretariato delle Nazioni Unite e il
Consiglio economico e sociale, e a
livello intergovernativo anche il
comitato economico dell’Ecosoc prese
parte.
La strategia internazionale di sviluppo
pose l’accento su specifiche riforme a
livello quantitativo e qualitativo
puntando sull’impiego, istruzione,
salute e nutrizione. Tutte misure furono
destinate a migliorare la partecipazione
giovanile allo sviluppo, quindi il
benessere dell’infanzia, e, soprattutto
favorire l’integrazione negli sforzi
allo sviluppo. La responsabilità di
concretizzare queste misure giacque in
capo ai paesi in via di sviluppo,
sebbene fossero assistiti dai paesi
industrializzati, dacché nell’agenda
programmatica vi furono una serie di
propositi oltre alle specifiche misure
delineate poc’anzi, come ad esempio la
divisione del lavoro, l’espansione e la
diversificazione del processo
produttivo, per arrivare poi a una
formula di cooperazione al Sud del
mondo.
Sebbene gli obiettivi prefissati per la
crescita economica all’interno della
prima decade non furono raggiunti, i
propositi concernenti la seconda decade
furono ancora più esigenti in termini di
risultati, e, possono essere esplicati
in tal modo:
1) Growth target: cioè obiettivo
di crescita nei paesi in via di
sviluppo, e, si prefissò come risultato
da raggiungere una media annuale di
crescita del prodotto lordo che
ammontava al 6 per cento; andando a
considerare invece la crescita del
prodotto pro-capite all’interno sempre
dei paesi in via di sviluppo, questa
avrebbe dovuto essere del 3,5 per cento,
accelerandola nella seconda metà della
decade dividendo per settori e
prevedendo una crescita del 4 per cento
nel settore agricolo, e, dell’8 per
cento nel settore manifatturiero.
2) Domestic saving and trade: per
quanto concerne il risparmio interno
lordo, la percentuale avrebbe dovuto
essere pari allo 0,5 per cento,
arrivando poi alla bilancia commerciale,
quindi esportazioni maggiori del 7 per
cento e importazioni meno del 7 per
cento.
3) Integrated sectorial policies:
cioè politiche settoriali integrate, dal
momento in cui lo scopo precipuo che
sottese l’etica dello sviluppo fu
fornire le stesse opportunità a tutti
gli individui, per migliorare i loro
standard e tenori di vita sarebbe stato
necessario portare a termine un’equa
distribuzione di reddito e ricchezza,
innalzando il livello di occupazione,
creando infrastrutture, puntando dunque
sull’istruzione, la salute e di
conseguenza la salvaguardia
dell’ambiente.
Ogni paese in via di sviluppo, avrebbe
dovuto elaborare i propri obiettivi di
occupazione per assorbire le richieste
della forza lavoro; quindi prestare
attenzione all’istruzione, promuovendo
l’alfabetizzazione, e, la creazione di
strutture scientifiche e tecnologiche.
Inoltre ciascun paese in via di sviluppo
avrebbe dovuto stilare un piano per la
salute, dunque il trattamento delle
malattie, così come i livelli di
nutrizione avrebbero dovuto essere
migliorati in termini di apporto
calorico e contenuto proteico; e infine
come ribadito ab inizio, occorse puntare
sull’inclusionedelle giovani generazioni
in merito alla partecipazione al
processo di sviluppo, incoraggiando
anche il coinvolgimento delle donne.
La strategia previde che i paesi in via
di sviluppo avessero dovuto ricoprire la
massima responsabilità per il
finanziamento del loro sviluppo,
mobilitando tutte le loro risorse
interne, e assicurandone un uso
efficiente. Già dal 1972, i paesi
economicamente avanzati dovettero
fornire l’1 per cento del loro prodotto
interno lordo sotto forma di
finanziamenti ai pvs; peculiare
importanza venne ascritta alla cosidetto
official development assistance
cioè una forma di assistenza che previde
un trasferimento di prodotto interno
lordo dai paesi avanzati verso quelli in
via di sviluppo, che ammontasse allo 0,7
per cento, maggiorato dunque rispetto a
quello già previsto in precedenza.
Un ruolo di primo piano fu ascritto al
capitale privato straniero, sempre nel
quadro della strategia, all’interno
della quale i paesi in via di sviluppo
avrebbero dovuto adottare misure
appropriate, al fine di fare un uso
efficiente di tale capitale,
investendolo nelle aree interessate;
questi flussi di capitale vennero
implementati proprio dalle misure
adottate da parte dei paesi avanzati, in
linea con i piani di sviluppo dei paesi
riceventi. I least-developed
countries cioè i paesi meno
sviluppati vennero identificati nel
quadro della strategia come un vero e
proprio target cioè obiettivo a cui
tendere in termini di miglioramento e
garanzia del progresso economico e
sociale, mettendo loro nella posizione
di trarre beneficio dalle politiche
sulle quali fu fondata la seconda decade
dell’Onu per lo sviluppo. Tra queste
vanno menzionati i programmi di
assistenza tecnica e aiuto finanziario,
o ancora, le misure per espandere e
diversificare le strutture produttive,
così da poter permettere di partecipare
alle dinamiche afferenti il commercio
internazionale.
La scienza e la tecnologia, hanno da
sempre avuto un ruolo chiave nel
processo di sviluppo, sin da quando le
Nazioni Unite si cimentarono in tale
campo. Basti pensare che i paesi in via
di sviluppo, dagli anni Settanta in poi
furono disposti a investire lo 0,5 per
cento in ricerca e sviluppo. Il
programma di ricerca avrebbe promosso lo
sviluppo di tecnologie confacenti alle
richieste dei paesi e delle regioni in
questione. L’assistenza allo sviluppo
assicurò il trasferimento di tecnologia
dai paesi avanzati a quello in via di
sviluppo, come parte integrante della
strategia, anche attraverso un programma
mirato a promuovere e realizzare questo
tipo di trasferimenti che fu redatto
dalle organizzazioni internazionali
assieme ai paesi sviluppati e non.
Lo sviluppo umano rappresentò la
componente essenziale nella strategia
della seconda decade. Già dagli anni
Sessanta, si coltivò l’idea che la
crescita economica costituisse la base
per lo sviluppo umano e sociale, ragion
per cui i paesi avanzati di concerto con
le organizzazioni internazionali si
prodigarono ad aiutare i pvs a
raggiungere gli obiettivi in materia di
impiego, o per meglio dire occupazione,
strettamente interconnessi però con le
politiche in materia di istruzione e di
salute. Ad esempio l’accento venne posto
sui programmi di formazione per i
docenti, garantendo un cospicuo flusso
di risorse di carattere pedagogico. I
pvs furono assistiti nella redazione dei
piani per la salute, comprendenti
apposite strutture dove curare le
malattie, auspicandone la debellazione
attraverso campagne di respiro
internazionali. Furono adottate
politiche di sviluppo e produzione di
cibo ad alto contenuto proteico,
attraverso assistenza di carattere
tecnico-finanziario.
La strategia pose l’accento sulla
sovranità piena e completa dei pvs sulle
loro risorse naturali. A tal proposito
questi ultimi introdussero tutta una
serie di misure volte a modernizzare e a
rendere efficiente la produzione
agricola, promuovendo in parallelo lo
sviluppo industriale, “per raggiungere
una più rapida espansione e
diversificazione delle loro economie” ,
stimolando la crescita delle industrie
che utilizzarono materie prime, dando
man forte allo sviluppo di inputs per il
settore agricolo e lo stesso
industriale, e sicuramente favorendo
risultati incoraggianti per le
esportazioni. I paesi avanzati e le
organizzazioni internazionali, sulla
base di tali progressi, continuarono ad
assistere i pvs, nel processo di
espansione delle infrastrutture di base,
sempre attraverso politiche di
assistenza finanziaria e tecnica.
La strategia internazionale per lo
sviluppo approvata il 24 ottobre 1970 si
rivelò deludente per i paesi in via di
sviluppo, in termini di disponibilità
dei mezzi utili per gli obiettivi di
crescita di tali paesi, e, quest’ipotesi
sottese la Dichiarazione sui problemi
economici approvata dalla IV conferenza
dei capi di stato o di governo dei Paesi
non allineati del settembre 1973, poiché
una volta raggiunti gli obiettivi della
seconda decade, il prodotto nazionale
lordo dei paesi in via di sviluppo
sarebbe aumentato di solo 85 dollari,
diversamente dai paesi industrializzati
che avrebbero registrato un incremento
di pari ammontare a 1200 dollari.
Dunque, un evento di rilievo fu lo shock
petrolifero che configurò un passo
decisivo per la definizione del potere
economico internazionale, dato il
tentativo dei Pvs di affrancarsi da
quella situazione di dipendenza
economica. La dichiarazione del 1973, a
tal proposito prefigurò una strategia
per il perseguimento dell’indipendenza e
dello sviluppo economico nell’ottica
delle relazioniinternazionali.
L’ONU e l’UNCTAD furono gli strumenti
ideali per la garanzia di tali principi,
tant’è vero che l’Assemblea generale
venne esortata per l’approvazione di una
Carta dei diritti e doveri degli Stati,
per poter realizzare le aspirazioni
politiche ma soprattutto economiche per
tutti quei Paesi in prima linea che si
batterono per ottenere sviluppo e
indipendenza. Così il 9 aprile del 1974
venne convocata una sessione
straordinaria in seno all’Assemblea
generale per confutare circa la
questione delle materie prime e
naturalmente dello sviluppo, per
arrivare al 1 maggio dello stesso anno,
in cui venne adottata per consensus una
Dichiarazione e un Programma per lo
stabilimento di un nuovo ordine
economico internazionale; questi due
documenti contemplarono un mondo in cui
tutti gli Stati avrebbero potuto
scegliere la loro strada verso lo
sviluppo, attraverso l’esercizio della
piena ed effettiva sovranità sulle
attività di carattere economico e sulle
risorse naturali.
Dato il crescente divario tra i Paesi
sviluppati e quelli in via di sviluppo,
gli stati membri dell’ONU proclamarono
la loro volontà di instaurare un nuovo
ordine economico internazionale (NOEI),
fondato su equità, eguaglianza,
interdipendenza, e un sistema di
cooperazione in grado di correggere le
disuguaglianze e le ingiustizie. Le
Nazioni Unite, in qualità di
organizzazione internazionale capace di
trattare le problematiche afferenti la
cooperazione economica, avrebbero dovuto
istituire un forum per la realizzazione
di questi assunti o pilastri, che
stettero alla base della costruzione di
un nuovo paradigma soprattutto a livello
economico.
L’Assemblea generale, il 12 dicembre del
1974, approvò la Carta dei diritti e dei
doveri economici degli Stati, dove per
diritti si fece lapalissiano riferimento
ai Pvs, i doveri invece sottesero
l’etica dei Paesi industrializzati. La
realizzazione dei principi contemplati
all’interno del Nuovo ordine economico
internazionale, venne alla luce solo nel
1976 con la conseguente approvazione da
parte dell’UNCTAD di un Programma
integrato per le materie prime, e, nel
1977 venne convocata un’ulteriore
conferenza per la creazione di un fondo
comune per le materie prime appunto, che
non venne però mai alla luce. Tuttavia
l’intero dibattito fondato sulla
realizzazione di un nuovo ordine
economico internazionale ebbe esiti
deludenti, tali da spostare l’attenzione
su un nuovo approccio allo sviluppo, il
quale pose l’accento
sull’implementazione dei cosiddetti
basic needs cioè i bisogni
ineluttabili che compresero componenti
essenziali per la vita quali il cibo,
l’assistenza sanitaria, l’accesso
all’istruzione.
Questo nuovo approccio nacque proprio
dai risultati poco gratificanti che
derivarono da quei progetti di sviluppo
imperniati su variabili macroeconomiche
come il prodotto nazionale lordo, i
tassi di risparmio e di investimento,
che sostennero la crescita però senza
alcun cenno di sviluppo. Questa nuova
strategia fu adottata dall’OIL nel 1976,
e su quest’ultima venne imperniato
l’operato della Banca mondiale guidata
da Robert McNamara. Dal lavoro dell’OIL
e della Banca Mondiale,
emerse anche la strategia della
Redistribution with Growth, cioè la
riduzione della povertà e della
disuguaglianza nei redditi individuali
poté essere raggiunta attraverso il
trasferimento del Pil derivante dalle
politiche di sviluppo, nei confronti
degli strati più poveri della
popolazione, con politiche sociali
apposite e di reinserimento lavorativo.
Peculiare importanza venne conferita
agli investimenti di capitale umano,
alle politiche che alleviarono la
povertà, quest’ultima di fatto diventò
il dossier principale su cui puntò la
strategia della Banca Mondiale, la quale
facendo leva su una serie di rapporti,
come quello Pearson del 1969, valutò
l’azione delle Nazioni Unite in tema di
sviluppo.
Per la verità il concetto dei basic
needs che sottese il nuovo approccio
allo sviluppo fu per la prima volta
utilizzato nel discorso annuale del
Presidente della Banca Mondiale
nell’anno 1972, fu proprio in tale
occasione che quest’ultimo cercò di
trovare una probabile conciliazione tra
la crescita e la giustizia intesa in
senso sociale, riportando le condizioni
in cui versarono i popoli del Sud del
mondo, impossibilitati a soddisfare i
loro bisogni appunto essenziali o meglio
primari. Per cui la crescita dovette
essere ripensata in termini di bisogni
umani come diritto a godere di una sana
ed equa nutrizione, salute, abitazione e
occupazione. La percentuale stimata di
coloro i quali furono costretti a vivere
in condizioni di assoluta povertà
ammontò al 40 percento, di fatto il
Presidente McNamara fece una dicotomia
tra povertà per così dire relativa e
assoluta, quest’ultima venne definita
come “una condizione di vita limitata
tale da impedire la realizzazione dei
geni con il quali si è venuti al mondo”
.
Riallacciandosi a tale asserzione, nel
1976, in occasione della conferenza
mondiale sull’impiego, detta World
Conference on Employment lanciata
dall’OIL, venne spiegato come i basic
needs inclusero due componenti, che
poterono essere ricondotti al diritto di
godere del consumo privato per quanto
riguarda le famiglie, e ai servizi
essenziali forniti alla comunità in
generale su larga scala come l’accesso
all’acqua, alla sanità, al trasporto
pubblico e a tutte le strutture di
carattere culturale.
La teoria dei bisogni fondamentali
propugnò una concezione eminentemente
naturalistica del sociale, collocando
così l’uomo all’interno della natura,
questa collocazione implicò che l’essere
umano avesse bisogno di appagare i
propri bisogni primari, essenziali alla
sopravvivenza, non disgiunti da quelli
che forgiarono l’uomo dal punto di vista
culturale. E a questo punto va fatto
riferimento alla dichiarazione
dell’UNESCO, in tema di sviluppo, il
quale dovette essere centrato
sull’essere umano e sui bisogni di cui
questo si fece portavoce, quindi si può
notare come emerse in quegli anni una
nuova dimensione, eminentemente umana,
che puntò a centralizzare l’uomo, a
essenzializzarlo o sintetizzarlo nei
bisogni indispensabili che
caratterizzarono la vita di tutti i
giorni, la quotidianità.
Le variabili macroeconomiche ebbero
altresì importanza, contestualizzata
però all’interno dell’ambito economico,
che da solo non poté permettere uno
sviluppo duraturo o confacente alle
necessità dell’uomo in quanto tale. Non
è la mera logica del mercato a dover
prevalere, piuttosto un paradigma nuovo
che riesca a coniugare crescita in
termini di sviluppo umano con crescita
intesa in termini di variabili
macroeconomiche. L’aspetto strettamente
economico fu messo da parte, dacché ha
dimostrato esiti fallimentari non solo
in termini di prestazioni ma soprattutto
in termini di esiti, di risultati e
targets prefissati.
La decade si chiuse con la pubblicazione
di un rapporto redatto da una
commissione indipendente delle Nazioni
Unite, presieduta dall’ex
cancellieretedesco Willy Brandt; tale
rapporto riportante il seguente titolo
North-South: a Programme for Survival,
noto comunemente come Brandt Report
implicò la partecipazione all’interno
della commissione redattrice di figure
di rilievo in ambito economico come Raul
Prebisch, Luis Echeverria, Enrique
Iglesias, Mahbub Ul Haq, e Gamani Corea.
In tale rapporto venne teorizzato un
nuovo paradigma economico improntato sul
Keynesismo globale necessario per
incrementare gli aiuti allo sviluppo,
l’apertura dei mercati situati al Nord,
alle importazioni dal Sud, e in ultimo
la ristrutturazione del sistema
economico internazionale.
Facendo un parallelismo con il punto
quarto del discorso inaugurale di
Truman, trattato all’inizio di questo
lavoro, si può dedurre che il rapporto
Brandt teorizzò un ideale di uomo libero
e indipendente dalla
fame,dall’oppressione; è stato inoltre
osservato che l’estrema povertà
dilagante nel Sud del mondo fu dovuta a
dinamiche interne che rimasero tali
nonostante l’ingente flusso di aiuti
proveniente dal Nord del mondo; quando
si parla di immutabilità di tali
dinamiche si fa lapalissiano riferimento
ai regimi di governo, dunque alle forme
dittatoriali che afflissero i sistemi
sociali e culturali all’interno delle
aree interessate.
Quindi sicuramente l’aiuto da parte del
Nord sarebbe stato necessario al fine di
abbattere tali regimi, dunque un aiuto
dal punto di vista politico orientato
verso la creazione di sistemi
democratici e, dal punto di vista
economico un incremento di aiuti
attraverso l’aumento di esportazioni dal
Sud verso il Nord. Queste aspettative
furono perfettamente calzanti con il
discorso pronunciato il 22 ottobre dal
Presidente degli Stati Uniti, Ronald
Reagan, il quale promosse un approccio
allo sviluppo imperniato sulla libertà
di mercato, sulla liberalizzazione di
capitali e commercio, tutti principi che
sottesero la ratio della
globalizzazione.
Sebbene il report Brandt avesse avuto un
effetto transitorio all’interno del
dibattito sullo sviluppo, esso inaugurò
l’avvento di una nuova era, in cui a
essere messi in risalto furono i diritti
umani, ossia la dimensione umana, come
determinante a creare la nuova
prospettiva dello sviluppo. Già dagli
anni 80’ si assistette alla formazione
delle basi o dei prodromi per un nuovo
paradigma di sviluppo, intenso in senso
strettamente umano; si delinearono così
le premesse per una nuova dimensione di
sviluppo.
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