N. 120 - Dicembre 2017
(CLI)
Tresca, mistero d’oltreoceano
L’anarchico italiano ucciso a New York
di Gaetano Cellura
Sulla sua morte almeno tre le domande senza risposta. È stata la mafia a farlo fuori? Fu vittima del fascismo? Oppure del comunismo? Ma forse è solo la prima (unita alla seconda) che attende ancora una vera risposta.
L’anarchico
Carlo
Tresca
non
era
uno
che
le
mandava
a
dire.
E
Generoso
Pope,
imprenditore
e
uomo
politico
italo-americano
di
New
York,
lo
sapeva.
Per
essere
stato
da
lui
definito
(nel
1934
su
Il
Martello)
“estorsore
e
gangster,
quadrupede
analfabeta,
somaro
indorato”.
Anche
Vittorio
Vidali,
comunista
friulano,
il
“Comandante
Carlos”
delle
Brigate
Internazionali,
non
era
sfuggito
ai
suoi
strali:
“capo
di
spie,
ladri
e
assassini,
dove
c’è
lui
aleggia
l’odore
della
morte”
lo
qualificò
Tresca
sempre
sul
Martello.
Lo
sapevano
i
preti,
che
continuamente
stuzzicava,
e i
fascisti
che
derideva.
Alcuni
suoi
amici,
tra
cui
lo
scrittore
John
Dos
Passos,
indagarono
a
lungo
sull’omicidio
di
Tresca
e
chiesero
a
Fiorello
La
Guardia,
sindaco
di
New
York,
di
aiutarli
nella
ricerca
di
esecutori
e
mandanti.
Ma
tutto
fu
inutile.
Anche
per
lo
scarso
impegno
della
giustizia
americana.
Il
giornalista
Ezio
Taddei,
collaboratore
del
Martello,
emigrato
a
New
York
per
sfuggire
alle
persecuzioni
fasciste,
indicò
un
mese
dopo
l’omicidio,
pubblicamente
in
un
meeting,
la
mafia
(per
mano
di
Carmine
Galante
e di
Frank
Garofalo)
come
responsabile
della
fine
violenta
dell’anarchico
italiano.
Carlo
Tresca
nasce
a
Sulmona,
in
Abruzzo,
il 9
marzo
del
1879.
Ha
dunque
64
anni
quando
viene
freddato
mentre
attraversa
a
piedi
la
Fifth
Avenue.
Succede
all’inizio
del
1943,
l’anno
dello
sbarco
degli
Alleati
in
Sicilia.
Negli
Stati
Uniti
Tresca
arriva
nel
1904
per
sfuggire
a
una
condanna
per
la
sua
attività
politica.
È
già
laureato
in
giurisprudenza
e ha
diretto
il
sindacato
dei
ferrovieri
e il
giornale
Il
Germe
di
cui
era
anche
editore.
A
Filadelfia,
dove
si
stabilisce,
porta
con
sé
la
propria
attività
politica
e
sindacale
che
mai
separa
dal
giornalismo.
Attraverso
giornali
come
Il
Proletario
e
La
Plebe
guida
la
Federazione
dei
socialisti
italiani
d’America,
i
minatori
e i
lavoratori
dei
mulini,
verso
le
idee
anarchiche
e
verso
il
sindacalismo
rivoluzionario.
Non
vi
fu
sciopero
negli
Stati
Uniti
o
manifestazione
per
chiedere
la
liberazione
dei
sindacalisti
arrestati
che
non
lo
videro
in
prima
fila:
dal
grande
sciopero
della
seta
di
Paterson
a
quello
dei
minatori
del
Minnesota;
dallo
sciopero
dei
tessili
a
quello
dei
lavoratori
degli
alberghi.
Allo
sciopero
dei
setaioli
di
Paterson,
dove
perse
la
vita
Valentino
Modestino,
un
lavoratore
italiano
emigrato,
era
presente
John
Reed,
che
fu
arrestato
e
passò
quattro
giorni
in
prigione.
È il
momento
in
cui
il
futuro
fondatore
del
Partito
comunista
americano
rinuncia
alle
proprie
aspirazioni
poetiche
e si
dedica,
come
inviato
speciale,
al
racconto
delle
lotte
del
proletariato
mondiale.
Nel
1914
Reed
è in
Messico
per
seguire
Pancho
Villa
e la
rivoluzione
messicana,
da
cui
nasce
il
volume
Messico
insorto;
allo
scoppio
della
Prima
guerra
mondiale
parte
per
l’Europa
e
nel
1917
si
trova
a
Pietrogrado
e a
Mosca
per
raccontare
con
I
dieci
giorni
che
sconvolsero
il
mondo
la
Rivoluzione
russa.
Quello
degli
scioperi
dei
lavoratori
americani
è il
mondo
di
Carlo
Tresca,
come
a
Sulmona
lo
era
stato
quello
dei
ferrovieri
organizzati
e
dei
braccianti
che,
finito
il
lavoro,
incontrava
nelle
taverne.
Gli
piacevano
le
donne,
bere
vino
e
mangiare
spaghetti.
Aveva
un’oratoria
fluente
che
adoperò
anche
per
difendere
Sacco
e
Vanzetti
dalla
condanna
alla
sedia
elettrica.
Max
Nomad,
nel
1951,
scrisse
di
lui
che
era
uno
degli
ultimi
mohicani
del
radicalismo
indipendente:
socialista,
anarchico,
sindacalista,
simpatizzante
comunista,
libertario
senza
dogma.
Tresca
fu
uno
dei
leader
più
seguiti
della
Mazzini
Society
di
New
York
(organismo
antifascista
e
anticomunista);
e
impedì
di
farne
parte
a
molti
antifascisti
dell’ultima
ora,
quelli
che
lo
diventarono
dopo
Pearl
Harbor.
Tra
questi
c’era
Generoso
Pope.
Si
avvicinò
al
comunismo,
andato
al
potere
in
Russia,
certo
che
farvi
causa
comune
avrebbe
rafforzato
l’opposizione
al
fascismo.
Ma
se
ne
distaccò
non
appena
iniziarono
le
purghe
staliniane,
la
caccia
agli
anarchici
nella
guerra
civile
spagnola,
e
quando
i
comunisti
rifiutarono
il
loro
sostegno
allo
sciopero
degli
albergatori
americani
nel
1934.
Ed è
il
momento
in
cui
rompe
definitivamente
con
Vittorio
Vidali
(in
seguito
sospettato
dell’omicidio
di
Trotsky).
Da
questo
nasce
la
pista
– in
verità
debole
– di
un
interesse
dei
comunisti
alla
sua
eliminazione.
Furono
i
servizi
segreti
fascisti
a
tenerla
viva,
vista
l’avversione
di
Vidali
per
gli
anarchici.
Più
concreta
si
mostra
invece
la
pista
mafiosa
e
fascista
dell’omicidio.
I
fascisti
avevano
tentato
di
assassinarlo,
con
una
bomba
durante
un
comizio,
già
nel
1926.
Tresca
aveva
bollato
Mussolini
sul
Martello
come
nemico
di
classe
e
ostacolato
in
tutti
i
modi
l’organizzazione
di
gruppi
fascisti
tra
gli
italiani
d’America.
Quanto
a
Generoso
Pope,
che
prima
di
Pearl
Harbor
faceva
di
tutto
per
scompaginare
gli
antifascisti,
abbiamo
visto
in
che
rapporti
erano.
Pope
era
legato
al
boss
mafioso
Frank
Costello,
che
controllava
periodici
come
Il
Progresso
italo-americano
e
Il
Corriere
d’America,
a
Vito
Genovese
e a
Lucky
Luciano.
Mafia
e
fascismo,
dunque,
nel
suo
omicidio.
Il
giorno
in
cui
Tresca
fu
ucciso,
si
vide
Carmine
Galante
della
famiglia
mafiosa
di
Joseph
Bonanno
allontanarsi
con
la
macchina
dal
luogo
del
delitto.
Avrebbe
agito
su
ordine
di
Vito
Genovese.
Ma
gli
venne
fornito
un
alibi
di
ferro
e
non
fu
mai
incriminato.
Un
minatore
poeta
scrisse
su
Il
Martello
questi
versi
molto
sentiti:
“Piangere
i
morti
non
fu
mai
vergogna…
/
Riposa,
o
grande
Apostolo!
Sfuggire
/
non
potrà
di
giustizia
all’operato
/
chi
t’uccise
e
chi
spinse
ad
eseguire/l’ignobile
mandato”.
Si
anelava
per
Carlo
Tresca
quella
giustizia,
contro
esecutore
e
mandante,
che
non
è
mai
arrivata.
Sulmona,
la
sua
città,
lo
ha
ricordato
con
un
convegno
storico
nei
cento
anni
della
morte
e
nell’anniversario
della
nascita,
e ha
innalzato
un
monumento
in
sua
memoria
all’ingresso
della
villa
comunale.