N. 32 - Agosto 2010
(LXIII)
I giochi dell’antilope d’ebano
BERLINO 1936
di Simone Valtieri
I
magnificenti
giochi
di
Berlino
sono
i
soli
dell’intera
storia
olimpica
ricordati
non
tanto
per
i
risultati
sportivi
quanto
per
il
contesto.
“Non
ci
fosse
stato
Jesse
Owens,
il
personaggio
simbolo
dei
Giochi
di
Berlino
sarebbe
stato
Adolf
Hitler”
scrive
il
giornalista
sportivo
Elio
Trifari,
ed
in
effetti
visto
il
quadro
politico
globale
gli
occhi
del
mondo
più
che
sulle
gare
erano
puntati
sull’ex
imbianchino
di
Braunau,
salito
al
potere
in
Germania
con
un’ascesa
fulminante.
Dopo
il
crollo
di
Wall
Street
del
1929
e la
conseguente
crisi
economica
gli
Stati
Uniti
avevano
ridotto
drasticamente
gli
investimenti
esteri,
facendo
sì
che
con
effetto
domino
le
economie
di
molti
Paesi
europei
subissero
a
loro
volta
dei
duri
colpi.
Il
picco
della
Grande
Depressione
arrivò
in
Germania
un
anno
più
tardi,
i
disoccupati
divennero
in
poco
tempo
oltre
quattro
milioni
e
mezzo,
la
Socialdemocrazia
al
governo
dimezzò
i
consensi
mentre
il
rancore
verso
i
vincitori
della
guerra
continuava
ad
aumentare.
È in
questo
clima
che
il
Partito
Nazionalsocialista
tedesco
inizia
a
riscuotere
successi
sempre
maggiori
concentrando
gli
sforzi
sulla
classe
media
duramente
colpita
dalla
crisi
e
passando
dal
2,4%
di
voti
ottenuti
nelle
elezioni
del
’28,
al
18%
del
’30
fino
all’incredibile
37,4%
del
’32.
L’anno
dopo
il
governo
presieduto
dal
generale
Kurt
von
Schleicher
cade
ed
il
capo
di
stato
Paul
von
Hindenburg,
anziché
sciogliere
le
camere,
affida
i
poteri
al
segretario
del
partito
nazista
Adolf
Hitler.
È
esattamente
in
quel
giorno
che
i
giochi
di
Berlino
’36
diventano
un
problema
planetario.
Le
olimpiadi
erano
state
assegnate
alla
repubblica
di
Weimar
già
nel
1929,
quando
Berlino
sconfisse
la
concorrenza
di
Buenos
Aires,
Alessandria,
Budapest,
Roma
e
soprattutto
Barcellona,
battuta
nella
votazione
finale
per
43
preferenze
a
16.
Hitler
ha
l’enorme
fortuna
di
ritrovarsi
tra
le
mani
il
giocattolo
olimpico
da
sfruttare
ed
adoperare
come
mezzo
di
propaganda,
una
cassa
di
risonanza
potentissima
per
amplificare
nel
mondo
la
grandezza
del
suo
Reich.
Negli
oltre
tre
anni
e
mezzo
che
passano
tra
il
giuramento
di
Hitler
come
cancelliere
del
Reichstag,
avvenuto
il
30
gennaio
1933,
e il
giorno
della
cerimonia
d’apertura
delle
undicesime
olimpiadi
estive,
il
1°
agosto
1936,
il
mondo
si
interroga
sul
da
farsi:
partecipare
o
boicottare
i
giochi?
Il
dibattito
si
acuisce
dopo
il
varo
delle
leggi
antisemite
di
Norimberga
del
1935
(contenevano
limitazioni
ai
diritti
civili
degli
ebrei),
in
conseguenza
delle
quali
il
presidente
del
Cio
Henri
de
Baillet-Latour
è
costretto
a
minacciare
la
revoca
dei
giochi
per
impedire
che
il
regime
siluri
Theodor
Lewald,
ebreo,
primo
promotore
e
presidente
del
comitato
organizzatore.
In
Francia
il
dibattito
inizia
nel
1933,
con
l’atto
formale
del
vicepresidente
della
Camera
che
invita
al
boicottaggio
dei
giochi,
e si
conclude
a
poche
settimane
dal
via
dell’evento
con
la
decisione
a
sorpresa
del
governo
socialista
per
il
sì
alla
partecipazione.
In
Gran
Bretagna
alle
proteste
dei
sindacati
si
accostano
le
richieste
di
alcuni
politici,
con
il
conservatore
Locker
Lampson
in
prima
fila,
per
bloccare
i
passaporti
tedeschi
alla
frontiera.
A
spingere
verso
una
decisione
favorevole
alla
presenza
degli
sportivi
britannici
a
Berlino
sarà
a
sorpresa
proprio
un
ebreo,
Harold
Abrahams,
olimpionico
nei
100
metri
a
Parigi
e
immortalato
nella
pellicola
di
Hugh
Hudson,
Momenti
di
Gloria.
Altre
velleitarie
iniziative
contro
i
giochi
“nazisti”
vengono
organizzate
in
Israele,
con
le
cosiddette
Maccabiadi
svoltesi
a
Tel
Aviv
nel
1935,
in
America,
con
il
“World
Labor
Atletic
Carnival”
di
New
York,
e in
Spagna,
con
una
manifestazione
sportiva
di
sette
giorni,
sospesa
dopo
l’inaugurazione
a
causa
di
scontri
a
fuoco
tra
esercito
rivoluzionario
ed
autonomisti.
È in
tale
clima
di
ribellione
che
Hitler
comprende
l’importanza
dei
cinque
cerchi
e
quanto
efficace
possa
essere
la
sua
propaganda
in
un’occasione
del
genere:
il
mondo
deve
capire
quanto
la
Germania
ariana
sia
grande,
per
mezzo
di
giochi
globali
imponenti
che
il
Reich,
figlio
della
razza
pura,
dovrà
vincere.
A
tale
scopo
vengono
intraprese
una
serie
di
importanti
opere,
come
la
costruzione
di
uno
stadio
da
100
mila
spettatori
al
posto
del
cinodromo,
in
realtà
una
riconversione
di
quello
che
avrebbe
dovuto
essere
l’impianto
per
i
giochi
del
1916
(assegnati
alla
Germania
ma
mai
disputati
a
causa
della
Grande
Guerra);
lo
stadio
del
nuoto
ospita
18
mila
persone
e il
villaggio
olimpico,
esclusivamente
maschile
(le
donne
alloggiano
alla
Friedrich
Friesen
Haus)
è
composto
di
150
abitazioni
modernissime
fornite
di
telefono
e
servite
da
quaranta
ristoranti.
Ancora
più
importante
per
l’immagine
della
“nuova”
Germania
è il
lavoro
svolto
da
Leni
Riefenstahl,
egregia
regista
che
oltre
a
curare
le
riprese
cinematografiche
dell’evento,
si
occupa
delle
scenografie
e
della
cerimonia
di
inaugurazione.
La
Riefenstahl
merita
un
capitolo
a
parte:
il
suo
film
Olympia
è un
capolavoro
della
tecnica,
diviso
in
due
parti
(“Festa
dei
popoli”
e
“Festa
della
bellezza”)
per
la
durata
totale
di
quattro
ore.
Leni
inizia
la
carriera
cinematografica
dopo
gli
studi
di
danza
e
recitazione.
Si
fa
conoscere
in
Germania
come
attrice
protagonista
di
una
serie
di
film
ambientati
tutti
in
montagna
negli
anni
’30.
Il
misticismo
e il
verismo
della
sua
prima
opera
da
regista,
La
luce
azzurra,
colpisce
a
tal
punto
il
Führer
che
la
incarica
di
occuparsi
di
un
documentario
di
propaganda
sul
congresso
del
partito:
La
vittoria
della
fede.
Da
questo
momento
diventerà
la
protetta
di
Hitler,
il
quale
le
assegnerà
tutti
i
più
importanti
documentari,
oltre
naturalmente
al
film
dei
giochi.
Dopo
la
guerra
si
reinventerà
come
fotografa,
opererà
in
Africa
e
nelle
profondità
degli
abissi.
Morirà
nel
2003
alla
sorprendente
età
di
101
anni.
Leni
manterrà
fino
alla
sua
veneranda
morte
i
misteri
della
sua
giovinezza
legata
al
Nazismo.
Nelle
sue
memorie
negherà
qualsiasi
coinvolgimento
sentimentale
col
Führer,
dal
quale
inizierà
a
rendersi
autonoma
sul
finire
degli
anni
‘30,
fatto
che
le
costerà
la
repentina
discesa
nell’anonimato.
La
sua
meraviglia
Olympia
anticipa
però
al
mondo
la
grandezza
della
regista,
che
a
dispetto
delle
enormi
pressioni
ricevute
dal
regime,
dedica
ad
Hitler
solo
due
minuti
di
immagini
sulle
oltre
quattro
ore
di
pellicola,
di
cui
rende
protagonista
invece
un
campione
dalla
pelle
d’ebano:
Jesse
Owens.
Le
prove
generali
dei
giochi
erano
in
pratica
state
fatte
a
febbraio,
con
le
olimpiadi
invernali
di
Garmisch
Partenkirchen,
dove
i
tedeschi
erano
però
stati
sonoramente
battuti
dagli
atleti
norvegesi,
capaci
di
ottenere
sette
ori
e
quindici
medaglie
totali
contro
i
tre
ori
ed i
tre
argenti
teutonici.
Il
1°
agosto
1936
l’Olympiatadion
stracolmo
ruota
intorno
ad
un
compiaciuto
Hitler
che
inaugura,
di
fronte
a
3955
atleti
provenienti
da
49
nazioni,
i
giochi
più
“grandi“
della
storia.
Tutti
stavolta
in
Germania
si
aspettano
la
vittoria
nel
medagliere
(arriverà,
non
senza
qualche
artificio)
oltre
alla
promessa
e
netta
affermazione
della
razza
ariana.
A
mettere
i
bastoni
tra
le
ruote
al
Führer
ci
penserà
Owens,
questo
ragazzone
di
colore
proveniente
dall’Alabama,
e
qualcosa
c’era
già
stato
nell’aria
che
poteva
preventivare
un
tale
successo,
precisamente
il
25
maggio
1935.
Quel
giorno
ad
Ann
Arbor,
nel
Michigan,
va
in
scena
il
“Big
Ten”,
in
cui
le
dieci
migliori
università
del
Midwest
si
sfidano
per
la
supremazia
sportiva
nel
territorio.
Il
suddetto
ventiduenne,
si
presenta
ai
blocchi
di
partenza
delle
100
yards
alle
14.45:
nove
secondi
e
quattro
decimi
più
tardi
è
primo
sul
traguardo
della
sua
prova,
eguagliando
il
record
del
mondo.
Non
finisce
qui.
Nei
successivi
75
minuti,
cioè
entro
le
quattro
del
pomeriggio,
James
Cleveland
Owens,
per
tutti
“Jesse”,
stabilisce
altri
tre
record
del
mondo,
una
cosa
impensabile
anche
per
il
miglior
Bolt
di
oggi,
non
fosse
altro
per
il
fatto
che
oggi
le
prestazioni
hanno
raggiunto
un
livello
estremo.
Corre
le
220
yards
in
20”3,
divora
la
stessa
distanza
ad
ostacoli
in
22”6
e
fra
i
due
record
trova
il
tempo
per
un
“saltino”
di
8.13
metri
nel
lungo.
Quel
giorno
è
nata
una
stella,
per
la
leggenda
ripassare
il 9
agosto
a
Berlino.
In
Germania
forse
lo
ignorano,
ma
sono
costretti
ad
accorgersi
di
lui
già
alla
prima
occasione,
il
1°
agosto
stesso,
giorno
dell’inaugurazione,
quando
Owens
corre
batterie
e
quarti
di
finale
dei
100
ammutolendo
lo
stadio.
Chi
è
quest’uomo
che
vola
sulla
distanza
più
breve
a
tal
punto
che
trova
anche
il
tempo
di
voltarsi
prima
del
traguardo
a
guardare
gli
avversari?
La
risposta
arriva
il
giorno
successivo
alle
17
quando,
sotto
lo
sguardo
impietrito
di
Hitler,
Owens
vince
la
finale
davanti
ad
un
altro
nero,
Ralph
Metcalfe,
e a
quattro
bianchi.
Il
Fuhrer
non
lo
premierà
e,
salvato
da
un
provvidenziale
temporale,
si
allontanerà
dall’Olympiastadion.
Non
ci
saranno
piogge,
ma
altri
“imprevisti”
a
far
scomparire
Hitler
i
giorni
successivi
in
concomitanza
con
l’apparizione
sul
gradino
più
alto
del
podio
del
fenomenale
Jesse.
Il
fatto
più
significativo
avviene
durante
la
gara
del
salto
in
lungo
del
4
agosto
con
l’epica
sfida
è
tra
Owens
e il
tedesco
“Luz”
Long.
Jesse
sbaglia
i
primi
due
salti,
rischiando
seriamente
di
non
qualificarsi
per
la
finale.
E’
agitato,
nervoso
e in
un
ambiente
a
lui
ostile.
A
tranquillizzarlo
ci
pensa
proprio
il
suo
rivale,
il
saltatore
“ariano”
Long,
che
lo
avvicina
e
gli
fa
forza.
Owens
si
qualifica
all’ultimo
balzo
utile
e
durante
la
finale
dà
vita
in
finale
a
uno
storico
duello
col
tedesco,
vinto
all’ultimo
salto
con
la
eccelsa
misura
di 8
metri
e 6
centimetri.
Le
parole
scambiate
tra
i
due
durante
tutta
la
durata
della
prova
e
l’abbraccio
dopo
la
gara
tra
Owens
e
Long
disturberanno
non
poco
il
Fuhrer.
I
due
atleti
diventeranno
poi
cari
amici,
si
scriveranno
spesso
fino
alla
morte
del
tedesco
avvenuta
durante
la
seconda
guerra
mondiale
nei
pressi
di
Ragusa.
Owens
non
termina
qui
le
sue
fatiche,
il 5
agosto
vince
semifinale
e
finale
dei
200
metri
e
due
giorni
dopo
porta
la
4x100
statunitense
al
primo
posto
col
primato
del
mondo
di
39”8.
I
giochi
di
Hitler
sono
definitivamente
rovinati,
a
poco
servirà
sbandierare
i 33
ori
degli
atleti
tedeschi,
per
la
maggior
parte
meritati,
di
fronte
all’umiliazione
subita
da
questo
ragazzo.
Le
Olimpiadi
non
sono
solo
Owens,
ci
mancherebbe,
le
storie
di
ogni
gara
ed i
sacrifici
che
si
nascondono
dietro
qualsivoglia
affermazione,
anche
degli
atleti
di
casa,
sono
tante
ed
affascinanti,
ma
l’importanza
dei
successi
del
ragazzo
di
Oakville,
Alabama,
venuto
dalla
povertà
e
salito
in
sette
giorni
in
vetta
al
mondo,
mantiene
un
significato
immenso
che
soprattutto
in
questa
occasione,
nei
giochi
figli
del
periodo
più
tragico
della
storia
recente,
travalica,
abbatte,
distrugge
quelli
che
sono
i
confini
dello
sport.
In
appendice,
non
si
possono
non
menzionare
anche
i
giocatori
di
una
squadra,
la
nazionale
italiana
di
calcio,
fortissima,
capace
di
vincere
il
titolo
olimpico
a
mani
basse
proprio
nel
bel
mezzo
del
quadriennio
’34-’38
che
porterà
nella
bacheca
azzurra
anche
le
due
prestigiose
coppe
Rimet.
Come
allo
stesso
modo
non
si
può
dimenticare
l’impresa
di
una
ragazzina
bolognese
di
vent’anni,
dal
nome
orientale
e
dalla
capacità
di
librarsi
sugli
ostacoli
più
rapidamente
di
tutte
le
altre:
Trebisonda
Valla,
per
tutti
“Ondina”,
diventerà
la
prima
atleta
italiana
a
conquistare
un
oro
olimpico,
negli
80
metri
ad
ostacoli,
vincendo
una
incredibile
gara
in
cui
le
prime
quattro
- le
più
quotate
Anni
Steuer
(tedesca),
Elizabeth
Taylor-Campbell
(canadese)
e la
sua
amica
Claudia
Testoni
-
finiscono
nell’ordine
in
appena
9
millesimi.