arte
ODILON REDON
IL LITOGRAFO DEL DOLORE
di Costanza Marana
Il mondo onirico ed evanescente della
poetica di Odilon Redon (Bordeaux, 1840-
Zurigo, 1916) irrompe nella scena
artistica nella seconda metà
dell’Ottocento. Il suo imprinting
evoca le atmosfere descritte da
Baudelaire, l’opprimente spleen,
l’immaginifico, la marcescenza del
visivo, il senso del mistero.
Spirito coltivato in un clima di
solitudine, esule dagli affetti
familiari, poiché trascorre la sua
infanzia in campagna a causa di una
fragilità fisica che richiedeva un’aria
sana. Nella residenza dello zio a
Peyrelebade, tra le filiere dei vigneti
e una foschia che rende l’ambiente
rarefatto intorno, germoglia il senso
dell’immaginario e dell’invisibile in
Odilon.
L’atmosfera di abbandono avvolge il
paesaggio colorandolo di una malinconia
dolce. Qui coltiva uno sfrenato
individualismo, una sensibilità poetica
e un suo personale modo di osservare e
meditare sul creato che lo circonda. Il
motus delle nuvole sopra di lui
lo affascina, i suoi rovi, i suoi
sentieri: egli crea un legame
indissolubile con la natura, la
interiorizza e la sublima nei suoi
pensieri.
Negli studi risulta irregolare, prenderà
lezioni di pittura da vari maestri a
Parigi, Stanislas Gorin e Gérôme, ma,
insofferente ai dettami scolastici e
consapevole di un suo disagio innato in
situazioni accademiche, fa ritorno alla
città natale. Segue il suo istinto e si
accompagna a mentori che stimolano la
sua curiosità e intelletto come il
botanico Armand Clavaud, desideroso di
conoscere il legame tra natura e uomo, i
segreti del mondo vegetale,
approcciandosi a Darwin e Spinoza. Il
suo maestro per eccellenza sarà
l’incisore Rodolphe Bresdin, di indole
anticonformista, dotato di una psiche
complessa che riverserà nelle sue
acqueforti visionarie. Questa amicizia
segna nel profondo Odilon che comincia a
riflettere sulla visione che Bresdin gli
trasmette.
Gli oggetti cominciano ad acquisire una
dimensione diversa ai suoi occhi, celano
significati nascosti, reconditi. La
materia come portatrice di misteri
ineludibili, come una coltre da
sollevare, appropriandosi del senso più
profondo dell’essere. Non c’è un
desiderio di verità, ma una volontà di
sublimare il presente attraverso
l’osservazione. Redon, grazie
all’incontro con Bresdin, varca la
soglia dell’immaginario e crea una sua
personale poetica. Egli infatti
connoterà le sue opere del “non finito”
e dello “sfumato”, a differenza del
dettaglio che regna sovrano nelle
acqueforti dell’amico incisore.
Varcato il limite del sensoriale, Odilon
trascende l’elemento visibile e approda
a una conoscenza ideale-filosofica che
tratta delle interrelazioni tra gli
oggetti. Egli osserva il creato nella
sua dialettica tra conscio e inconscio e
riporta su tela quest’atmosfera
trasognata al limite del surreale.
Questo habitus verrà contaminato
dall’incontro con il “verismo” di Corot
e il naturalismo della Scuola di
Barbizon. Odilon apprende come
razionalizzare l’elemento fantastico e
fa suo il monito: “mettere sempre
accanto a una certezza un’incertezza”.
Nel cammino verso la maturità artistica
e personale un passo importante sarà la
partecipazione nel 1868 alla guerra
franco-prussiana. L’impatto di una
situazione esasperata come quella
bellica e la convivenza collettiva
durante il conflitto sdoganeranno parte
della sua “timidità”. Si apre al mondo e
all’incontro con i vari artisti di
Montparnasse a Parigi, e frequenta dei
salotti letterari in voga.
Interiorizzato il suo nuovo essere e
sentire, egli decide di scrivere un
diario dei suoi pensieri A sé stesso.
Il tassello definitivo verso lo
sprigionarsi della piena personalità di
Odilon sarà la morte del padre nel 1874,
che inibiva molti dei suoi slanci
artistici. Si perfeziona nella tecnica
dei disegni a carboncino e delle
litografie ad olio; dopo una prima fase
dedicata solo all’utilizzo del colore
nero, egli dipingerà esclusivamente con
tutti i colori, stigmatizzando una nuova
era dove ha la piena percezione del suo
ego. Dallo scuro della notte alla luce e
al cromatismo. La sua continua ricerca
verso la sua vera essenza approda a un
idealismo artistico, dove
l’indeterminatezza e il mistero dominano
la scena. «I miei disegni non ispirano e
non definiscono. Non determinano niente.
[…] forme in divenire o che si
configurano a seconda dello stato
d’animo di chi guarda».
In opere come La notte
(1910-1911) si percepiscono le
vibrazioni di figure che provengono
dall’interno del proprio essere, un
misticismo latente si respira
nell’atmosfera rappresentata. I contorni
non sono mai netti, il precetto della
poetica di Mallarmè e Verlaine
dell’“evocato, sfumato e non colore”
trova risonanza in Odilon.
Egli attraverso l’arte compie un viaggio
verso l’ignoto anelando alla
rivelazione, un cammino taumaturgico
verso la liberazione dal sensoriale e
dal conoscibile. Non esiste univocità,
ma “non sense”, ambiguità e ambivalenza.
Egli denigra ogni tentativo di dare un
habitus letterario alle sue opere che,
seppure ispirate da scritti di
Baudelaire, Poe e Flaubert, serbano
un’indipendenza artistica. Rifiuta
strenuamente chi vuole catalogarlo nel
simbolismo di cui non approva
l’esoterismo, occultismo e gli artifizi
scenici.
Innegabile il collegamento con lo
scrittore Huysmans che lo definisce
quale “Principe dei sogni misteriosi,
paesaggista delle acque sotterranee e
dei deserti sconvolti dalla lava” – “ il
sottile litografo del dolore, il
negromante della matita”. Nel suo
romanzo “A rebours” il
protagonista si circonderà di opere di
Redon. |