N. 14 - Luglio 2006
IL NUOVO RAZZISMO IN RUSSIA
2005: 28 persone uccise e 366 aggredite a
causa della discriminazione razziale
di Leila Tavi
Venerdì 17 giugno si è conclusa la visita di una
settimana in Russia dell’inviato speciale dell’ONU per
l’inchiesta sul razzismo, Doudou Diène.
L’esito dell’inchiesta è preoccupante: la
criminalità contro gli stranieri è aumentata in
Russia del 33% dall’inizio dell’anno.
Il
senegalese Diène ha dichiarato, in una conferenza
stampa a Mosca, che la lotta alla discriminazione
razziale in Russia non può più prescindere
dall’istituzione di un’autorità nazionale per la lotta
al razzismo.
Il 4 maggio 2006 Amnesty International ha pubblicato
un rapporto sulla Russia dal titolo Russian Federation.
Violent racism out of control, in cui sono enumerati
molti esempi che riguardano aggressioni a stranieri di
poliziotti e gravi crimini commessi da skinhead,
giudicati e puniti dai tribunali russi alla stregua di
fenomeni di hooliganismo.
“Some Russian authority are turning a blind eye”,
ha commentato Kate Allen, la direttrice di
Amnesty International UK, che considera la
violenza contro gli stranieri in Russia ormai “out
of control”.
Ad essere attaccati non solo studenti e immigrati di
origine africana e del Sud-Est asiatico, sono
vittime dei pestaggi e delle violenze degli
skinhead anche le minoranze etniche, le comunità
Rom, gli ebrei, gli attivisti per la tutela dei
diritti umani e addirittura i cittadini della
Federazione che provengono dagli stati del Caucaso
settentrionale.
A Mosca e a Pietroburgo le aggressioni sono all’ordine
del giorno.
In occasione delle partite di calcio gli immigrati
africani sanno che non è prudente uscire di casa,
soprattutto se la squadra locale ha perso e, a segnare
per gli avversari, magari è stato un giocatore di
origine africana: a causa della sconfitta gli
estremisti di destra si scagliano con rabbia
contro qualsiasi straniero che non abbia la pelle
bianca.
Durante i festeggiamenti della Pasqua ortodossa, il 20
aprile di quest’anno, anniversario della nascita di
Adolf Hitler, è stata annunciata una vera e propria
caccia all’uomo a Mosca e nessuno straniero è
uscito di casa per paura di venir malmenati, se non
addirittura uccisi.
Spesso gli attacchi sono mortali, come quello del 2004
a Pietroburgo in cui è stata uccisa davanti ai suoi
familiari Khursheda Sultonov, una bambina di
nove anni di etnia tajik, pugnalata ferocemente
al petto, al ventre e alle braccia da una banda di
minorenni.
Nel marzo scorso otto ragazzi, autori dell’omicidio
di Khursheda, sono stati condannati, in relazione
al reato commesso, solo per hooliganismo. Yusuf, padre
di Khursheda, si è ha dichiarato, in un’intervista con
la CCN, affranto e costernato per la sentenza emessa
dal tribunale.
Sempre nel 2004 a Pietroburgo un’altra vittima, Vu
Anh Tuan, uno studente di 20 anni di nazionalità
vietnamita, è stato assaltato e pugnalato a morte da
una banda di diciotto skinhead all’uscita della
metropolitana.
Nel febbraio 2004 Amaru Antoniu Lima, uno
studente di medicina della Guinea-Bissau, è stato
accoltellato a Voronezh, nella Russia meridionale.
Nel marzo 2004 Abdul Wase Abdul Karim, un
Afgano di 28 anni di etnia tajik sfuggito alle
persecuzioni dei Talebani, è stato picchiato a morte
fuori alla metropolitana di Mosca da una banda armata
di spranghe.
Quattro efferati crimini che si aggiungono a una lista
di 300 aggressioni nel 2004 registrate
dall’Ufficio per i diritti umani con sede a Mosca.
Una parte dei crimini non viene neanche denunciata
dalle vittime per paura di ritorsioni e a causa della
negligenza e superficialità con cui tali casi sono
trattati nei commissariati e nei tribunali russi.
Gli attivisti delle ONG che cercano di convincere le
vittime a denunciare le aggressioni sono stati, a loro
volta, più volte minacciati, come ad esempio Dmitry
Krayukhin, a capo del gruppo per la difesa dei
diritti umani United Europe, con sede a
Orel, nella Russia centrale.
Nel giugno 2004 Nikolai Girenko, un esperto di
conflitti etnici e razziali ed estremismi di destra, è
stato ucciso a Pietroburgo da un colpo di pistola nel
pianerottolo davanti alla porta di casa sua.
Senza un adeguata campagna di sensibilizzazione da
parte delle autorità governative la discriminazione
razziale in Russia sarà presto una vera e propria
piaga sociale.
Non è sufficiente che il presidente Vladimir Putin
abbia ammesso il problema, è necessario agire in
fretta per fermare la spirale di odio e di violenza
nelle metropoli russe.
Dal 15 al 17 luglio si svolgerà a Pietroburgo il G8 e
la Russia detiene attualmente la presidenza del
Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.
Gli attivisti delle ONG sono decisi a manifestare
davanti ai partecipanti del G8, se sarà necessario.
Secondo un’inchiesta del novembre 2004 il 60% dei
Russi sono xenofobi.
Il politologo Timur Musajev, direttore del
Centro “Politica nazionale”, sostiene che il
razzismo e l’antisemitismo trovano subdolamente spazio
e consensi anche nella satira televisiva.
I gruppi di estrema destra riconoscono come “guida
spirituale” Alexandr Ivanov Sukharevsky, leader
dell’NNP, Partito nazionalpopolare.
Da 10.000 estremisti di destra del 2002 si è passati a
ben 500.000 nel 2004.
Tra i gruppi ricordiamo l’ “Unione slava”, l’“Unità
nazionale russa”, il “Movimento contro
l’immigrazione clandestina”, lo “Schultz 88”
e la “Ronda bianca”.
Eppure non c’è stata nazione durante la Seconda Guerra
mondiale che abbia lottato contro il
nazionalsocialismo allora come l’Unione sovietica.
I Russi associano la parola “pobeda”,
vittoria, inequivocabilmente al trionfo sul nazismo.
Per Yuri Filippov, commentatore politico
dell’agenzia Ria Novosti, il fenomeno
dilagante del razzismo in Russia è una conseguenza
delle politiche liberali del governo che, se da una
parte hanno permesso l’apertura della società russa,
dall’altra non sono state in grado di portare nella
società russa tolleranza, un dialogo pacifico e il
costruttivo confronto con l’alterità.
Molto ha a che vedere con la dissoluzione
dell’Unione sovietica.
Quando l’entusiasmo iniziale per la il crollo del
regime ha lasciato spazio alla disillusione per
l’economia di mercato, che porta con sé
inevitabilmente fenomeni quali la disoccupazione, la
recessione, l’inflazione, la stagnazione e la
stagflazione, gli estremismi hanno avuto terreno
fertile per attecchire in una società, repressa per
lungo tempo, in cui non era possibile neanche pensare
di dare sfogo a qualsivoglia impulso irrazionale.
Il fenomeno del razzismo, latente durante tutti gli
anni del regime, è esploso improvvisamente come
reazione impulsiva e irrazionale all’immigrazione,
alla crisi economica e alla guerra in Cecenia.
In questo contesto le ideologie dell’estrema destra
acquistano un fascino messianico che attrae i
giovani.
Secondo Boris Kagarlitsky, direttore dell’Istituto
di studi sulla globalizzazione di Mosca, alla
Russia sono mancati dopo il 1991, un momento di
riflessione e l’esperienza degli anni ’60, a
differenza della Germania federale, dove la società ha
maturato, dopo la sconfitta del nazionalsocialismo, un
lungo processo di catarsi grazie alla Mitschuld.
Per Kagarlitsky la società russa contemporanea si
sente umiliata, offesa e ignorata a livello
internazionale, perciò si è sviluppata una sorta di
vittimismo intorno alla dissoluzione del 1991.
L’estremismo di destra attecchisce facilmente con dei
presupposti del genere; è come un virus che si insinua
in un organismo indebolito.
Secondo un’indagine della Fondazione “Opinione e
Società” il 12% della popolazione russa
simpatizza con il fascismo.
Per l’Obshchjestvjennaja Palata, la
Camera civile, un nuovo organismo consultivo del
governo russo inaugurato ai primi di febbraio, il 53%
della popolazione concorda con lo slogan nazionalista
“La Russia ai Russi!”.
Lo scorso aprile si è svolta a Pietroburgo una marcia
di protesta in memoria di Lamzar Samba,
studente senegalese e attivista per i diritti degli
Africani in Russia, ucciso il 7 aprile in pieno giorno
da un colpo di fucile.
Sullo striscione con cui gli studenti africani hanno
sfilato si leggeva: “Piter – Kladbishe dlja
inostrancev”, Pietroburgo - cimitero per gli
stranieri.
Nel 2006 gli episodi di violenza si sono ripetuti con
preoccupante regolarità.
A gennaio Aleksandr Koptsev, uno skinhead
di vent’anni, ha fatto irruzione in una sinagoga
di Mosca e ha ferito otto persone con un coltello da
caccia.
A Pietroburgo una serie di crimini si è succeduta
dall’inizio dell’anno.
A febbraio un uomo del Mali è stato accoltellato; il
24 marzo un uomo del Ghana è stato picchiato a morte
nella metropolitana; il giorno seguente, il 25 marzo,
Liana Sisoko, una bambina di nove anni di madre
russa e padre del Mali, è stata picchiata brutalmente
e ferita al viso e al collo con un coltello da due
giovani.
Per i giovani africani oggi studiare in Russia è una
tradizione che risale ai tempi del regime sovietico,
quando i governi dei paesi africani inviavano la
futura classe dirigente a formarsi in Unione
sovietica.
Molti africani che hanno compiuto i loro studi tra gli
anni ’70 e ’80 in Unione sovietica ricordano
quegli anni come un’esperienza positiva. Adesso
nessuno dei laureati rimane dopo gli studi a causa
dell’ostilità della gente.
La diffidenza della gente nei confronti delle comunità
Rom è invece il risultato di pregiudizi radicati nella
società russa.
Gli ultimi casi di intolleranza razziale nei confronti
dei Rom sono stati pubblicati nel dicembre 2005 in un
rapporto del Sova, acronimo per Centro
di ricerca sulla xenofobia e i crimini razziali.
Gli accampamenti Rom di Rakhia, nella regione
di Lenigrado, sono stati attaccati nell’agosto 2005;
quelli di Iskitim, nella regione di
Novossibirsk, sono stati assaltati e incendiati a più
riprese nel mese di febbraio, aprile e novembre 2005.
Una bambina è morta a causa dell’incendio divampato
tra le baracche.
Un’altra categoria a rischio sono i cittadini della
Federazione dai tratti somatici asiatici, considerati
coloro che vengono dalla “Rossiskaia glubinka”,
la provincia lontana.
La guerra civile in Cecenia e l’immagine che il
governo russo diffonde attraverso i media dei Ceceni
hanno contribuito a far nascere tra i Russi un
sentimento di intolleranza nei confronti dei cittadini
della Federazione di origine “non slava”.
I giovani in Russia contestano la visione di un
mondo multiculturale e multirazziale, perché
considerano questi valori come appartenenti a un
passato comunista che esaltava l’homo sovieticus,
o nuovo uomo sovietico, come uomo che riconosceva
l’uguaglianza tra le razze.
La nuova generazione di Russi vuole rinnegare tale
visione del mondo solo perché appartiene a un passato
con cui non è stato possibile fino ad oggi
confrontarsi.
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Volonté politique insuffisante de Moscou face au
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http://news.bbc.uk/1/hi/world/europe/2131214 |