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N. 120 - Dicembre 2017 (CLI)

SUl Congresso di Vienna
Il nuovo ordine europeo post napoleonico

di Manuel Brunati

 

La sconfitta di Napoleone, sancita dalla sua abdicazione avvenuta il 6 aprile 1814 a Fontainebleau, rappresentò il definitivo tramonto delle aspirazioni della Francia, rivoluzionaria prima e bonapartista poi, di trasformare la propria preponderanza militare in una vera e propria egemonia sul Vecchio Continente che fosse riconosciuta dalle altre grandi potenze europee.

 

Ora, a quelle stesse grandi potenze che avevano sconfitto l’imperatore dei francesi, ossia Austria, Prussia, Russia e Gran Bretagna, spettava il compito di assicurare una pace duratura a un continente devastato da un quindicennio di conflitti. Tale compito si presentava arduo, considerando quanto le conquiste napoleoniche avessero inciso non solo sulla carta geopolitica dell’Europa, rovesciando dinastie secolari e creando nuovi stati, assegnati a esponenti del clan Bonaparte, ma anche nei rapporti tra cittadini e stato, con la diffusione del concetto di legittimazione popolare del potere, che inevitabilmente andava a cozzare con il tradizionale principio di legittimazione divina dell’autorità statale.

 

Le potenze vincitrici della Francia pensarono di ovviare a questi problemi riportando indietro le lancette della storia al periodo precedente il 1789. La Rivoluzione francese veniva considerata come il male assoluto, essendo stata all’origine dello sconvolgimento degli equilibri europei oltre che della rottura delle gerarchie sociali tradizionali. Per i vincitori, quindi, era di vitale importanza impedire un nuovo possibile tentativo rivoluzionario, restaurando quell’Antico Regime che proprio la Rivoluzione aveva abbattuto, dando forma nello stesso tempo a un nuovo ordine internazionale legittimista basato sull’equilibrio di forze tra le principali potenze per impedire che emergesse un nuovo candidato all’egemonia continentale come era accaduto con Bonaparte.

 

Il compito di ridisegnare la carta politica dell’Europa fu affidato a una conferenza internazionale destinata a diventare la più importante assise diplomatica che si fosse mai vista in Europa dai tempi della Pace di Vestfalia, passata alla Storia col nome di Congresso di Vienna, essendosi tenuta nella capitale austriaca a partire dal novembre 1814.

 

Al Congresso non presero parte solo i ministri plenipotenziari delle grandi potenze vincitrici di Napoleone ma furono invitati i delegati di numerosi stati minori, come Spagna, Svezia, Portogallo, Baviera e Stato Pontificio. Ai lavori del Congresso partecipò, nonostante la sconfitta, anche la Francia, rappresentata dal camaleontico Charles Maurice de Talleyrand, ex vescovo già ministro degli esteri di Napoleone e poi artefice dell'abdicazione dell'imperatore.

 

Ammettendo alla conferenza anche la Francia le potenze vincitrici agirono con grande lungimiranza: austriaci, prussiani, russi e britannici si lasciarono saggiamente convincere dalle parole dell’astuto Talleyrand, il quale argomentò come, in una Francia eccessivamente indebolita e colpita da ulteriori amputazioni territoriali, la restaurata monarchia borbonica di Luigi XVIII sarebbe stata più facilmente preda di possibili sollevazioni di matrice rivoluzionaria o bonapartista.

 

Come dimostreranno le vicende della fuga di Napoleone dal suo esilio dell’Elba e del suo temporaneo ritorno al potere (i famosi “Cento giorni”), Talleyrand non aveva poi tutti i torti. La Francia, quindi, nonostante la sconfitta, fu nuovamente inserita nel contesto europeo come elemento di stabilizzazione.

 

La Storia non si fa con le ipotesi, ma se cento anni dopo gli Alleati vincitori della Grande Guerra non avessero umiliato la Germania sconfitta addossandole la responsabilità del conflitto e imponendole una pace punitiva, forse la propaganda nazista non avrebbe potuto far leva sui sentimenti di rivincita dei tedeschi e le cose sarebbero potute anche andare diversamente. La Conferenza di Versailles del 1919 non fece quindi altro che confermare, con gli errori che vi furono commessi, la lungimiranza e l’equilibrio dei partecipanti al Congresso di Vienna.  

 

Quindi la Francia nuovamente borbonica non subì mutilazioni territoriali significative, venendo semplicemente ricondotta all’interno delle frontiere precedenti al 1792, mentre ai suoi fu creato un cordone di stati cuscinetto (Paesi Bassi, Wurttemberg, Svizzera e Regno di Sardegna) volto a prevenirne eventuali future velleità espansionistiche.

 

Le decisioni del Congresso si concentrarono poi sulla risistemazione dell'area tedesca e di quella italiana, oltre alla definizione dell'assetto della Polonia, che cadde sotto l'influenza russa, venendo infatti trasformata in un regno la cui corona fu assegnata allo zar Alessandro I.

 

A proposito della Germania i delegati a Vienna ratificarono la dissoluzione del Sacro Romano Impero, risalente al 1806. Gli stati tedeschi furono ridotti da 350 ad appena 39, tra i quali figuravano i cinque regni di Baviera, Hannover, Sassonia, Wurttemberg e Prussia. Quest'ultima uscì dalla conferenza di Vienna ingrandita della Renania, della Pomerania svedese e di una parte dei territori sassoni. Fu poi costituita la Confederazione germanica, organizzazione che riuniva tutti i principati tedeschi, la cui presidenza fu assegnata all'imperatore d'Austria Francesco I d’Asburgo

 

L'Austria subentrò alla Francia nel controllo della penisola italiana. Sulle ceneri del Regno napoleonico d’Italia fu creato il Regno Lombardo Veneto, che riuniva la vecchia Lombardia austriaca ai territori della ex Repubblica di Venezia. Il nuovo regno fu posto sotto la diretta sovranità austriaca.

 

In Toscana come a Modena furono restaurati rispettivamente il granduca Ferdinando III e il duca Francesco IV, l'uno fratello l'altro cugino dell'imperatore. Il ducato di Parma fu assegnato a titolo vitalizio a Maria Luisa, moglie di Napoleone e figlia di Francesco d’Asburgo. Al sud le corone di Napoli e Sicilia furono unificate da Ferdinando di Borbone, parente e alleato degli Asburgo, nell'unico Regno delle due Sicilie.

 

Indipendenti dal dominio austriaco rimasero solamente lo Stato pontificio, su cui tornò a regnare Papa Pio VII, e il Regno di Piemonte e Sardegna governato dai Savoia, che ottennero la Liguria dalla soppressa Repubblica di Genova.

 

L’Europa uscita dai trattati di Vienna era quindi monarchica, con la sola eccezione della repubblicana Svizzera, di cui proprio al Congresso fu riconosciuta la neutralità perpetua.

 

Tuttavia l’assolutismo dell’età della Restaurazione differiva profondamente rispetto al dispotismo in auge nel XVIII secolo. I monarchi assoluti del Settecento avevano infatti cercato di legittimare la loro azione di governo ricercando un certo consenso nell’opinione pubblica, portando avanti un programma riformatore ispirato almeno parzialmente alle idee illuministiche e combattendo, anche duramente, le prerogative dei ceti privilegiati, in particolare del clero.

 

Al contrario, i sovrani dell’epoca post napoleonica tesero ad appoggiarsi maggiormente ai valori tradizionali, in particolare quelli religiosi: nel clima della restaurazione monarchia e Chiesa cattolica, ancora scosse a causa degli sviluppi rivoluzionari, si ritrovarono unite in nome del contrasto a quella Rivoluzione che aveva minacciato di spazzare via definitivamente entrambe. Non a caso nell’età della Restaurazione si parla della ritrovata “alleanza fra trono e altare”.

 

Il Congresso di Vienna si chiuse con la firma dei trattati il 9 giugno 1815, nove giorni prima che Napoleone, fuggito dal suo nuovo regno-prigione dell’Isola d’Elba, venisse definitivamente sconfitto a Waterloo. Nonostante i tentativi di Bonaparte di intavolare negoziati per cercare di mantenere il trono appena riconquistato, le potenze europee, di nuovo coalizzate contro di lui, rifiutarono ogni possibile accordo con il “bandito corso” che fu anzi dichiarato “nemico pubblico dell’umanità”.

 

A settembre dello stesso anno, a tutela del nuovo ordine europeo, Austria, Russia e Prussia firmarono l’accordo promosso dallo Zar Alessandro che istituiva la “Santa Alleanza” e che impegnava i componenti a intervenire per impedire ogni tentativo di sovvertimento delle decisioni prese a Vienna. Ne restò fuori la Gran Bretagna, anche se il governo conservatore di Lord Liverpool sottoscrisse ugualmente una “quadruplice alleanza” con Austria, Prussia e Russia, ricostruendo il tradizionale schieramento antifrancese. In seguito, nel 1818, anche la Francia di Luigi XVIII verrà ammessa nella Santa Alleanza, a riprova del suo pieno reinserimento nel sistema europeo.

 

Senza dubbio il tentativo del Congresso di Vienna di riportare l’Europa indietro di vent’anni cancellando le profonde trasformazioni dell’epoca rivoluzionaria e napoleonica fu per molti aspetti anacronistico e donchisciottesco. Ciò dovette apparire evidente fin da subito alle monarchie restaurate che reagirono con una spietata repressione poliziesca per arginare l’opera di società segrete nate sul modello della Massoneria con lo scopo di ottenere dai sovrani la concessione di una costituzione, oppure, come in casi come quello italiano, l’indipendenza nazionale.

 

Ad animare questi circoli erano spesso ex ufficiali e funzionari dei vecchi regimi napoleonici che però proprio a causa della clandestinità a cui erano costretti non poterono mai contare sull’appoggio popolare, il che condannò al fallimento le loro iniziative e loro stessi all’esilio, alla prigionia o al patibolo.

 

Dal punto di vista dell’equilibrio dei poteri e della stabilità del sistema internazionale il lavoro dei delegati di Vienna fu comunque lodevole. Con il Congresso di Vienna fu inaugurata la prassi di convocare periodicamente conferenze diplomatiche internazionali nelle quali discutere delle questioni più spinose che quindi potevano essere risolte pacificamente.

 

Fino allo scoppio della Grande Guerra nel 1914 il continente europeo fu così risparmiato da una guerra generale, cioè un conflitto che coinvolgesse contemporaneamente tutte le grandi potenze. Questo rese il XIX secolo molto più tranquillo rispetto ai due precedenti, caratterizzati da un susseguirsi pressoché ininterrotto di conflitti.

 

Dal 1815 fino alla guerra di Crimea del 1853-1856 l’intera Europa visse un quarantennio di pace e in seguito, anche se furono combattute delle guerre come quelle per l’indipendenza italiana (1859-1860, 1866 e 1870) o per l’unificazione tedesca (1870-1871), si trattò di conflitti locali, limitati nel tempo e nello spazio.



 

 

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