UNA NUOVA TEORIA COSMOLOGICA
UN UNIVERSO DA "RIDATARE"?
di Francesco Cappellani
In un recente articolo pubblicato su
questa rivista (Cappellani 2023) si
descriveva il nuovo telescopio
Euclid lanciato nello spazio
nell’estate del 2023 che, date le
sue caratteristiche tecnologiche
altamente sofisticate per la
rivelazione di radiazione galattica
nel visibile e nell’infrarosso,
“permetterà di misurare con alta
precisione il redshift
cosmologico delle galassie, cioè lo
stiramento della lunghezza d’onda
della luce emessa dovuto alla
velocità di allontanamento della
sorgente luminosa, causato
dall’espansione in progressiva
accelerazione dell’universo a
partire, sembra, da 5 miliardi di
anni fa, quando una misteriosa
energia oscura prende il sopravvento
sulla attrazione gravitazionale. La
misura del redshift permette
di calcolare il tasso di espansione
dell’universo e la forza
dell’energia oscura che ne provoca
l’accelerazione. In particolare si
spera che le misure effettuate da
Euclid riferite a migliaia di
galassie di ogni età ci possano dire
se questa energia repulsiva del
vuoto cosmico sia rimasta con una
densità costante negli ultimi 10
miliardi di anni”.
Lo scopo di Euclid e altre complesse
ricerche è quello di tentare di
risolvere il misterioso problema
della materia e dell’energia oscura
che costituirebbero, dalle più
recenti stime del 2022,
rispettivamente il 26,8% e il 68,3%
di tutta la materia ed energia
dell’universo. La materia ordinaria,
detta barionica in quanto costituita
principalmente da barioni, cioè
neutroni e protoni, sarebbe il
rimanente 4,9% ed è tutto ciò che
noi riusciamo a vedere nel cosmo in
quanto la materia oscura non emette
né assorbe o riflette luce a
qualsiasi lunghezza d’onda ed è
quindi invisibile per i nostri
sistemi di osservazione, ma
influisce in modo determinante per i
suoi effetti gravitazionali sulle
masse presenti nell’universo.
Proprio questi effetti, inspiegabili
con la sola massa visibile, ha
“costretto” a immaginare una nuova
forma di materia distribuita in
tutto l’universo che però, a oggi,
malgrado un grande numero di
esperimenti sempre più sofisticati
in corso, non si è riusciti a
decifrare, manca cioè una qualsiasi
prova sperimentale che certifichi in
modo inappellabile che la materia
oscura sia realmente presente.
Non siamo riusciti a rivelare
particelle, ammesso che sia composta
di particelle, di questa materia, si
è semplicemente assunto che esiste,
arrivando, dopo decenni di affannosi
studi, a definire il Modello
Cosmologico Standard, denominato
ɅCDM,
Lambda Cold Dark Matter, che,
anche se non perfetto, riesce a
spiegare ragionevolmente le
dinamiche cosmiche, cioè il
comportamento di stelle e galassie.
Si tratta di un modello matematico
della teoria del Big Bang con tre
componenti principali: la costante
cosmologica Lambda che dipende
dall’accelerazione dell’espansione
dell’universo ed è associata
all’energia oscura, la materia
oscura e la materia ordinaria. In
questo modello la materia oscura ha
un ruolo fondamentale nella
formazione ed evoluzione delle
galassie estendendosi non solo nelle
regioni attorno alle galassie, ma
anche diffondendosi come una sottile
ragnatela ovunque nel cosmo di cui
ne costituisce, a larga scala, la
struttura. Le recenti simulazioni
dell’assemblaggio delle galassie ci
presentano infatti un universo
pervaso da una rete di materia
oscura filamentosa di bassa densità
che si estende negli spazi
intergalattici e connette gli aloni
molto densi di materia oscura dove
si trovano gli ammassi galattici.
Ma esistono davvero massa ed energia
oscura? Il dibattito è in corso da
anni, al momento non ci sono
risposte definitive, forse, per
evitare il ricorso alla dark
matter, le leggi sulla
gravitazione generale dovrebbero
essere riviste o modificate, e poi
confermate con le osservazioni
astronomiche, ma nulla di tutto ciò
finora è stato portato a termine.
In questo dibattito si è inserito
Rajendra Gupta, professore di Fisica
nella facoltà di Scienze
dell’Università di Ottawa, con due
recentissime pubblicazioni, una del
2023 (Gupta 2023) e l’altra del 15
marzo 2024 (Gupta 2024), dove
l’autore dimostra che l’età
dell’universo è di 26,7 miliardi di
anni, cioè circa il doppio di quella
di 13,797 miliardi di anni stimata
col modello
ɅCDM
e che “ci sono diversi articoli che
mettono in dubbio l’esistenza della
materia oscura, ma il mio è il
primo, per quanto ne so, che elimina
la sua esistenza cosmologica pur
essendo coerente con le principali
osservazioni cosmologiche che
abbiamo avuto il tempo di
confermare”.
Una autentica bomba nel mondo
dell’astrofisica. Il modello
cosmologico di Gupta si basa sulla
combinazione di due teorie: TL
“tired light” (luce stanca), e CCC,
“covarying coupling constants”
(costanti di accoppiamenti
covariabili). È noto che la luce
proveniente da oggetti cosmici
lontani subisce uno spostamento
verso il rosso (redshift)
dovuto all’espansione dell’universo
che provoca uno stiramento della
lunghezza d’onda (effetto Doppler)
della radiazione luminosa. Maggiore
è il redshift maggiore è
l’età dell’oggetto cosmico da cui
proviene, perché significa che
arriva da una zona più lontana e ha
viaggiato per un tempo più lungo
prima di raggiungere i nostri
strumenti di misura.
Da misure sperimentali sempre più
accurate di questo fenomeno si è
arrivati, risalendo a ritroso, a
determinare la data dell’origine
dell’universo pari a 13,7 miliardi
di anni fa. Una spiegazione
alternativa alla connessione tra il
redshift e la distanza
spazio-temporale fu proposta nel
1929 dall’astronomo svizzero Fritz
Zwicky, il fisico che per primo
aveva ipotizzato l’esistenza della
materia oscura, che introdusse la
teoria TL basata sulla possibilità
che sulle immense distanze cosmiche
i fotoni di luce perdano energia,
nel caso di un universo statico,
interagendo con particelle, campi di
forze o altro; alla perdita di
energia corrisponde un allungamento
della lunghezza d’onda e quindi un
redshift crescente con la distanza
della sorgente.
Questa teoria non ebbe molto credito
e negli anni fu abbandonata, ma
Gupta nel suo modello cosmologico ha
riconsiderato la TL agganciandola
all’espansione dell’universo
spiegando che le due teorie sul
redshift non si escludono a
vicenda ma possono integrarsi per
suggerire la spiegazione di fenomeni
non chiariti dal modello cosmologico
standard attuale, reinterpretando
“il redhift come un fenomeno
ibrido, piuttosto che solamente
legato all’espansione”.
Il secondo pilastro della teoria di
Gupta si basa su un’ipotesi
formulata dal fisico teorico Paul
Adrien Maurice Dirac, uno dei padri
della fisica quantistica, che
proponeva che alcune costanti
fisiche fondamentali che governano
le interazioni tra particelle
potrebbero variare in modo correlato
nel tempo. Gupta ha calcolato che
l’evoluzione di queste costanti, non
più immutabili ma “covarianti”,
porta a un indebolimento delle forze
della natura su una scala di tempi
cosmici; ciò provocherebbe
l’espansione accelerata
dell’universo causato dalle mutevoli
interazioni tra particelle
conosciute, senza ricorrere
all’ipotesi dell’energia oscura,
inoltre estende il periodo di
formazione delle galassie
primordiali, come quelle scoperte
nel cosmo profondo dal JWST, il
telescopio spaziale James Webb.
Infatti le osservazioni del JWST
hanno fornito nuovi dati sulla
struttura di questi oggetti
formatisi circa 300 milioni di anni
dopo il Big Bang, che presentano
spostamenti verso il rosso molto
elevati, e appaiono più vecchi
rispetto all’età oggi calcolata del
cosmo, analogamente a stelle come
Methuselah e altre, con dimensioni e
masse incompatibili col modello
attuale dell’universo che potrebbe
essere molto più antico.
Queste incongruenze e l’attenta
considerazione di alcuni parametri
cosmologici hanno portato Gupta a
formulare il suo modello CCC+TL e a
testarlo con varie osservazioni
recenti, ottenendo un buon accordo
anche sulla distribuzione delle
galassie e su come si sia modificata
la radiazione proveniente
dall’universo primordiale, il fondo
cosmico a microonde.
Gupta, riferendosi ai risultati
ottenuti, conclude con le due
affermazioni fondamentali citate
all’inizio, e cioè che “nella
cosmologia standard si dice che
l’espansione accelerata
dell’universo sia causata
dall’energia oscura, ma in realtà è
dovuta alle forze della natura che
si indeboliscono mentre si espande,
non all’energia oscura” e che “i
risultati del suo studio (quello del
2024), confermando il lavoro
precedente sull’età dell’universo di
26,7 miliardi di anni, ci ha
permesso di scoprire che l’universo
non ha bisogno della materia oscura
per esistere”.
Attualmente la teoria di Gupta
rimane in competizione col modello
cosmologico convenzionale
dell’universo, in quanto andrà
validata nel tempo confrontandola
con dati sperimentali sempre più
accurati grazie allo sviluppo di
telescopi e rivelatori più sensibili
che avranno un ruolo cruciale nel
testare il nuovo modello e
supportarlo o rifiutarlo. La teoria
di Gupta, dunque, non sembra in
grado di dare una spiegazione
corretta, al contrario del modello
standard, su alcuni fenomeni come le
rotazioni delle galassie e la
formazione degli ammassi di
galassie, ma sicuramente ha aperto
nuove possibili vie per la
comprensione delle proprietà
fondamentali dell’universo.
Se il modello di Gupta verrà
confermato, magari con aggiunte,
revisioni e modifiche in base a
nuove evidenze, avrà conseguito
l’incomparabile merito di avere
eliminato l’enigma, da decenni
irrisolto, della smisurata presenza
nel cosmo di massa ed energia
oscura, teorizzate per spiegare il
comportamento gravitazionale dei
corpi celesti, ma finora mai
rivelate, da cui sembrava
impossibile affrancarsi.
Riferimenti bibliografici:
Francesco Cappellani, Euclid, un
telescopio spaziale, la materia e
l’energia oscura, in “InStoria”,
n. 192, dicembre 2023.
Rajendra P. Gupta, JWST early
Universe observation and
ɅCDM
cosmology in “Monthly Notices of
the Royal Astronomical Society”,
Vol. 524, Issue 3, September 2023.
Rajendra P. Gupta, Testing CCC+TL
Cosmology with Obeserved Baryion
Acoustic Oscillation Features in
“The Astrophisical Journal”, Vol.
964, Number 1. March 15, 2024.