N. 100 - Aprile 2016
(CXXXI)
E
a
Trapani
sventolò
la
bandiera
francese
Nunzio Nasi e il “nasismo”
di Gaetano Cellura
[
è
stata
una
vita
politica
lunghissima,
quella
di Nasi: deputato
di
Trapani
dal
1886
al
1926,
eletto
con
una
messe
di
voti
anche
negli
anni
dell’interdizione
dai
pubblici
uffici
e
decaduto
solo
con
l’avvento
del
regime
fascista,
dopo
la
sua
adesione
all’Aventino.
Fu
anche
presidente
della
provincia
e
più
volte
consigliere
comunale
della
sua
città.
Un
uomo
politico
“totale”.
Considerato
antigiolittiano,
appoggiò
sia
Crispi
che
Giolitti
secondo
il
momento.
Guadagnandosi
così
il
consenso
elettorale,
ampio
e
forte,
dei
conservatori
e
della
sinistra.
La
sua
prima
preoccupazione
era
quella
di
curare
gli
interessi
del
collegio
elettorale:
e
questo
fece
la
sua
fortuna
politica.
Erano
gli
anni
giolittiani
del
“se
vuoi
stare
a
lungo
a
Roma,
devi
stare
poco
a
Roma
e
molto
nel
tuo
collegio”.
Nunzio
Nasi
(1850-1935)
ci
si
calava
alla
perfezione
in
questo
modo
di
concepire
e di
rappresentare
la
politica.
Diventato
per
la
prima
volta
ministro
del
Regno
il
29
giugno
del
1898
(al
ministero
delle
Poste
prese
il
posto
di
Secondo
Frola),
continuò
a
comportarsi
allo
stesso
modo
di
quando
era
semplice
parlamentare.
Un
errore
di
cui
patì
le
conseguenze.
Alle
Poste
rimase
quasi
un
anno.
Poi
(dal
febbraio
del
1901)
fu,
per
due
anni
e
mezzo,
al
ministero
della
Pubblica
Istruzione,
dove
gli
successe
un
altro
siciliano:
Vittorio
Emanuele
Orlando.
Siciliani
erano
stati
anche
il
suo
successore
alle
Poste,
Antonino
Paternò
Castello,
e il
suo
predecessore
alla
Pubblica
Istruzione,
l’agrigentino
Nicolò
Gallo
che
fu
presidente
della
Camera.
Nasi
conosceva
un
solo
modo
di
governare:
quello
di
gonfiare
le
spese
di
rappresentanza
e
per
i
viaggi.
Nel
1904
i
suoi
avversari
politici,
alcuni
dei
quali
siciliani,
lo
accusano
di
appropriazione
indebita
di
denaro
pubblico.
Si
trattava
di
piccole
somme,
e di
una
vicenda
di
sottrazione
di
libri
e
materiale
di
cancelleria.
Che
bastarono
a
farlo
condannare
dall’Alta
Corte
di
Giustizia
del
Senato
a
undici
mesi
di
reclusione
–
gli
venne
concesso
di
scontarli
nella
propria
abitazione
– e
a
quattro
anni
di
interdizione
dai
pubblici
uffici.
Fu
difeso
dagli
avvocati
Filippo
Bonacci
e
Angelo
Muratori.
Non
poteva
più
fare
il
deputato.
Ma
nonostante
il
divieto
viene
eletto
lo
stesso
alla
Camera,
dove
il
collegio
di
Trapani,
proprio
per
l’interdizione
dell’eletto,
rimane
senza
rappresentanza.
Nella
sua
città,
cui
non
aveva
lesinato
benefici,
Nasi
è
molto
amato.
E la
sua
condanna
viene
vista
come
il
risultato
di
una
lotta
interna
alla
massoneria
italiana
di
cui
aveva
scalato
i
vertici,
come
una
persecuzione
politica
e
come
l’ennesimo
oltraggio
dei
settentrionali
alla
Sicilia.
In
qualche
modo
si
ripete
quanto
era
successo
per
il
deputato
di
Palermo
Raffaele
Palizzolo,
detto
u
Cignu.
Portato
in
trionfo
dopo
la
sua
assoluzione
quale
mandante
dell’omicidio
di
Notarbartolo.
Scoppiarono
rivolte
nella
Sicilia
orientale
e
nacque
persino
un
movimento
politico
“nasista”.
A
Trapani
furono
bruciati
i
ritratti
del
re e
della
regina
e fu
proclamata
la
repubblica.
La
bandiera
francese
sventolò
dal
balcone
del
municipio.
Su
uno
scoglio,
nei
pressi
del
porto
della
città,
si
trova
la
Casina
Nasi,
dedicatagli
dai
trapanesi.
Nel
regionale
museo
cittadino
si
può
ammirare
un
suo
ritratto,
realizzato
da
Giacomo
Balla,
che
lo
mostra
seduto
al
tavolo
di
lavoro
del
Ministero.
Suo
figlio,
Virgilio
Nasi,
sarà
parlamentare
della
Repubblica
nelle
file
della
sinistra.
Fuori
dalla
Sicilia,
la
condanna
di
Nasi
per
peculato
“rafforzò
la
convinzione
–
come
scrive
Denis
Mack
Smith
nella
sua
Storia
d’Italia
–
che
l’isola
fosse
totalmente
corrotta,
e
Ferri
affermò
una
volta
in
pieno
parlamento
che
esistevano
solo
poche
oasi
di
onestà
in
tutto
il
Mezzogiorno”.
È
vero
che
il
Mezzogiorno
era
sotto
l’oppressione
della
mafia
e
della
camorra,
ma
la
corruzione
politica
del
paese
era
una
malattia
che
si
chiamava
giolittismo.
Su
questo
tipo
di
scandali,
e
sulla
corruzione
e le
minacce
nei
collegi
elettorali,
dove
comprare
o
condizionare
il
voto
erano
diventati
consuetudine,
Giovanni
Giolitti
fondò
il
proprio
potere
più
che
decennale.
Esaltato
dagli
storici
del
futuro,
che
lo
paragonarono
a
Cavour,
non
fu
apprezzato
da
Gobetti
e da
Salvemini.
Il
primo
riteneva
Giolitti
uno
statista
di
vedute
limitate
verso
i
supremi
interessi
e
prigioniero
dei
problemi
del
presente,
della
loro
soluzione.
Il
secondo
lo
chiamava
(addirittura)
il
ministro
della
malavita:
per
le
manipolazioni
elettorali
che
gli
garantivano
vittorie
schiaccianti.
Non
deve
dunque
meravigliare
il
comportamento
dei
trapanesi
di
fronte
alla
condanna
del
loro
deputato.
“Nessuno
sembrava
preoccuparsi
molto
–
continua
Mack
Smith
–
quando
si
scopriva
che
ministri
e
prefetti
si
arricchivano
grazie
alle
loro
cariche,
e
l’opinione
comune
era
che
Nasi
aveva
avuto
semplicemente
sfortuna
nel
veder
scoperti
i
suoi
abusi
del
pubblico
denaro”.