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N. 43 - Luglio 2011 (LXXIV)

La nozione di "basileia" tra V e IV secolo

Posizioni a confronto
di Paola Scollo

 

La discussione su natura, forme e significati delle costituzioni, politeiai, è al centro delle riflessioni degli intellettuali in ogni epoca: si pone agli albori della cultura e procede, in parallelo, con l’affermazione della figura dell’intellettuale, divenendo elemento indispensabile di un percorso che trae, dall’analisi problematica del reale, la linfa vitale del suo sviluppo.

 

Un primo germe può già essere individuato nei poemi di Omero. Odisseo e Nestore possiedono i tratti tipici dell’intellettuale: si distinguono per eloquenza e sapienza. Il fitto intreccio tra intellettuale e potere scaturisce dalla crescente consapevolezza della funzione politica della poesia, intesa non come semplice manifesto di propaganda, ma come dibattito costruttivo sui problemi che coinvolgono la collettività, sulle norme che regolano la vita e garantiscono il benessere.

 

In tal senso, il primo ad aver ben chiara questa consapevolezza è il poeta ateniese Solone, alla ricerca di un equilibrio fra esigenze del singolo e della collettività. Il tema politico è poi presente nelle tragedie di Eschilo, dove assume spesso la forma dell’elogio del regime democratico di Atene.

 

Euripide, invece, mostra una visione della politica sempre più disincantata, ben evidente nello Ione, laddove l’elogio di Atene, ormai privo di valore, viene relegato alla parte conclusiva del dramma.

 

Il tema politico svolge un ruolo marginale in Erodoto: a determinare i destini degli uomini è una volontà superiore e astratta. Tuttavia, nel III libro delle Storie è presente un’analisi di pregi e difetti delle tre principali forme di governo: monarchia, aristocrazia e democrazia. Ed Erodoto mostra di essere favorevole alla prima.

 

Di contro, la prospettiva politica è dominante nell’opera di Tucidide: la riflessione su istituzioni e persone è chiave di indiscutibile valore per comprendere la dinamica degli eventi storici. Occorre comunque ricordare che Tucidide non approva una particolare forma di governo: la sua ricerca non conduce all’adesione a un preciso modello politico di riferimento. Le istituzioni per Tucidide sono valutabili a partire dalle persone che le rappresentano: a imprimere il sigillo del buon governo non è la struttura politica, ma il valore del singolo individuo. Di qui l’entusiastica approvazione dell’organizzazione politica di Pericle: una forma di governo che non è imitazione, mimesis, ma esempio, parádeigma, per altri. Pericle, nell’immagine di Tucidide, riesce a coniugare spinte ed esigenze differenti: prima fra tutte, l’equilibrio tra ordine e democrazia. Al termine della guerra del Peloponneso tutto muta.

 

La polis rimane il modello politico di riferimento per la Grecia in età classica. La condizione di cittadino, polites, identifica l’uomo greco, perché coniuga dimensione privata e collettiva.

 

La polis è la conseguenza politica e culturale più evidente delle guerre persiane: è, anzitutto, la vittoria dello spirito democratico e anti - tirannico dei Greci sul modello politico dei barbari, sottoposti a un sovrano. In tal senso, la nozione di monarchia, basileia, appare estranea e barbara nell’immagine dei Greci.

 

Tuttavia, nel corso del IV secolo, il progressivo declino dell’esperienza della polis democratica impone ulteriori riflessioni e teorie. Le discussioni sui temi della politica non sono più finalizzate alla ricerca della migliore costituzione tra quelle esistenti. Si impone, piuttosto, la ricerca di una nuova organizzazione statale che, ancor prima della libertà, sia in grado di assicurare la sopravvivenza stessa del mondo greco.

 

A partire da questo momento, emergono spinte antidemocratiche che anticipano gli orientamenti filomonarchici di epoca ellenistica e l’analisi delle costituzioni diviene spesso dibattito sulla monarchia.

 

Nelle opere di Platone e di Aristotele, ad esempio, viene prospettata la figura di un re filosofo, che mostra evidenti affinità con i sovrani dei regni ellenistici. La nozione di pambasileia, nella Politica di Aristotele, evoca i tratti della regalità di epoca successiva. Isocrate individua in Filippo II di Macedonia il promotore del processo di unificazione dei popoli greci nella lotta contro i barbari.

 

In ogni caso, queste riflessioni si collocano in un orizzonte ben più vasto di dottrine e interpretazioni politiche e/o filosofiche, che intendono indagare i rapporti tra basileus e polis alla luce di consapevolezze e sensibilità altre.

 

Platone pone la riflessione sullo Stato al centro degli interessi della sua attività speculativa. Nella Repubblica il tema politico viene spesso a intrecciarsi con temi metafisici, estetici e pedagogici. Viene qui elaborato il progetto di uno stato ideale finalizzato al raggiungimento del bene della collettività. Nel V libro della Repubblica (473 d - e) immagina la libertà degli uomini alla sola condizione che i filosofi diventino re oppure i re filosofi.

 

In sintesi, il governante deve essere in grado di coniugare capacità politica e filosofica: «A meno che negli Stati non divengano re i filosofi, o coloro che oggi si dicono re e sovrani non divengano veri o seri filosofi, e che non si vedano riuniti in un solo individuo il potere politico e la filosofia, a meno che d’altra parte quei molti, che oggi separatamente tendono all’uno e all’altra, non siano assolutamente eliminati, non vi sarà rimedio alcuno ai mali degli Stati e neppure a quelli dell’umanità: mai, se non a questa condizione, il regime che abbiamo idealmente delineato, potrà nascere per quanto è realizzabile, né mai vedrà la luce del sole».

 

Lo stesso motivo ricorre nella Lettera VII (326 a 7 - b 4), laddove Platone ammette che «solo la vera filosofia consente di distinguere ciò che è giusto sia nella vita pubblica che in quella privata», ma soprattutto che le generazioni umane non potrebbero mai liberarsi dai mali se prima non giungano al potere i filosofi veri oppure se i governanti delle città non divengano, per sorte divina, veri filosofi.

 

La riflessione prosegue nel Politico. Qui Platone considera necessario «che anche tra le forme di governo sia retta in maniera eminente e sia anzi l’unica vera forma di governo quella in cui si possano trovare governanti che realmente possiedono la scienza politica e non paiano soltanto possederla, sia che governino secondo le leggi sia che governino senza leggi, su cittadini che li accettano volontariamente o contro la loro volontà, siano essi poveri o ricchi: nessuno di questi fattori deve essere assolutamente preso in considerazione per valutare in alcun modo la correttezza di una forma di governo» (293 e 5 - d 2).

 

Nel III libro delle Leggi il filosofo individua poi «due madri delle costituzioni», da cui tutte le forme di governo derivano (693 d 1 - e 3): «l’una è giusto chiamarla monarchia, l’altra democrazia, e al vertice della prima è la stirpe dei Persiani, della seconda ci siamo noi; pressoché tutte le altre, come dicevo, sono variazioni di queste». Di qui la necessità che la costituzione si ponga a metà tra monarchia e democrazia, perché «una città non potrà mai essere ben governata senza condividere ambedue queste forme».

 

L’importanza di una costituzione mista, che possa assicurare alla città indipendenza, concordia e saggezza, viene ulteriormente manifestata nel VII libro delle Leggi (756 e 9 - 10), laddove si parla di «natura intermedia tra la costituzione monarchica e quella democratica».

 

Occorre comunque ricordare che Platone individua aspetti negativi anche in queste due forme di governo: la monarchia persiana presenta un eccesso di schiavitù, douleía, e di dispotismo, despoteía, (698 a 5 - 7); la costituzione attica una forma di libertà, eleuthería, assoluta e svincolata da ogni autorità (698 b 1 - 2). Eppure, Platone ricorda come nel passato queste due costituzioni godessero di notevole prosperità (701 e 1 - 8).

 

Ad esempio, al re persiano Dario (522 - 485 a.C. ca.) è da riconoscere il merito di aver sviluppato nei Persiani concordia e senso di appartenenza a una stessa comunità, quindi di essersi guadagnato favori con ricchezze e doni (Leggi III 695 c 6 - d 6).

 

E nella Lettera VII (332 a 6 - b 5) Dario è indicato colui che, «non potendo fidarsi né di fratelli né di amici, ma solo di quelli che lo avevano aiutato nell’impresa contro l’eunuco di origine meda, divise il regno in sette parti, ciascuna delle quali era la più grande dell’intera Sicilia, e le assegnò a essi: ebbe in tal modo collaboratori fedeli, che non entrarono mai in conflitto né con lui né fra di loro. E diede l’esempio di come deve essere un buon legislatore e un buon re, poiché stabilì quelle leggi che fino a oggi hanno mantenuto in vita l’impero persiano».

 

Sul filo di questa direttrice, nel IV libro delle Leggi (711 e 8 - 712 a 3) Platone delinea la figura del sovrano ideale: «quando in uno stesso uomo il massimo potere si trovi a cospirare con l’intelligenza e con la saggezza, allora si determina la nascita della forma più perfetta di costituzione e delle leggi migliori, ma in caso contrario non possono assolutamente nascere».

 

La riflessione di Platone si orienta, in ultima analisi, in direzione di un progetto politico utopistico: viene auspicata una forma di costituzione mista, che sia in grado di coniugare monarchia e democrazia con organismi collegiali, culminanti nel “consiglio notturno”, a cui è riservato il compito di tutelare lo spirito delle leggi.

 

Precettore del giovane Alessandro di Macedonia e autore di un trattato sulla monarchia, Perì basileias, anche Aristotele offre un contributo alle discussioni sulla monarchia e sul re filosofo sorte all’interno dell’Accademia.

 

Tuttavia, Aristotele afferma che, per quanto i sovrani debbano essere docili e obbedienti nei confronti dei filosofi, talvolta, la filosofia può fungere da ostacolo all’esercizio del potere (fr. 467). Inoltre, il re filosofo non può esercitare ruolo attivo nella gestione delle città. La differenza di prospettiva da Platone è evidente: Aristotele crede nell’esistenza, nella dimensione del reale, di una migliore fra le costituzioni.

 

L’analisi delle costituzioni non è quindi finalizzata alla ricerca dello stato perfetto, ma si limita all’indagine dei meccanismi che determinano la nascita e la morte delle strutture di governo. Nel III libro della Politica Aristotele distingue cinque forme di monarchia: «quella dei tempi eroici (fondata sul consenso e dotata di poteri ben definiti: il comando militare, il potere giudiziario e l’autorità religiosa); quella barbarica (legale, dispotica ed ereditaria); quella che si chiama esimnetia (una forma di tirannide elettiva); quella degli Spartani (un comando militare ereditario e vitalizio); quella che si ha quando una sola persona è signora di tutto. In questo caso, essa ha un’autorità simile a quella che un popolo o una città ha sopra gli interessi comuni. Essa è dello stesso tipo della famiglia. Come infatti il governo domestico è una specie di regno della casa, così il regno è esercitato su una o più città o su uno o più popoli» (1285 b 20 - 33).

 

Aristotele circoscrive poi la sua analisi a due sole forme di regno: la monarchia assoluta, pambasileia, e la monarchia spartana, una forma di strateghía fondata sulla legge, katà nomon.

 

Al termine dell’indagine, Aristotele non giunge a fornire un nome specifico per la forma di governo ideale, che si limita a indicare come “governo dei migliori”. Si tratta, peraltro, di una costituzione che può assumere forme differenti e che si modella in base alle circostanze.

 

Di qui l’importanza della virtù e del valore di chi detiene il potere. La politica, d’altra parte, è per Aristotele strettamente connessa alla dimensione etica, perché ha come scopo prioritario quello di assicurare la felicità collettiva, non individuale: «Le forme degenerate compiono eliminazioni badando all’interesse loro proprio, mentre quelle non degenerate fanno la stessa cosa prendendo come norma il bene comune» (1284 b 4 - 7).

 

L’uomo è, per natura, animale sociale, quindi realizza i propri fini all’interno della comunità. La felicità si realizza nel vivere secondo virtù e la virtù è la medietas. Di conseguenza, la migliore fra le costituzioni è una forma di democrazia, non lontana da quella del V secolo, guidata dal ceto medio.

 

Per concludere, Aristotele tende a eliminare ogni pur possibile riferimento alle forme di governo di epoca storica: la monarchia è relegata a una dimensione remota, mitica, quindi barbara.

 

Agli inizi del IV secolo, l’attività degli oratori della cosiddetta “seconda generazione” è terreno fertile di riflessioni politiche: è la principale forma di partecipazione del singolo alla vita pubblica.

 

I temi fondamentali della politica di Atene e, più in generale, della Grecia sono al centro delle orazioni di Isocrate. Pur rimanendo fedele alla polis come modello politico di riferimento, Isocrate esprime un compiuto pensiero politico filomonarchico, concreto e proiettato verso un ideale panellenico.

 

È vivo, infatti, il desiderio di un superamento dei particolarismi delle poleis greche, grazie agli sforzi di un sovrano che si ponga da guida nella lotta contro l’impero persiano. Sul filo di questa direttrice, delinea la figura del monarca ideale, che presenta i caratteri della regalità del basileus di età ellenistica.

 

Le esortazioni di Isocrate a Filippo II di Macedonia e ai sovrani di Salamina ben evidenziano questa prospettiva. Ad esempio, nel Filippo, rivolgendosi al sovrano macedone, dice (154): «Affermo la necessità che tu sia il benefattore dei Greci, regni sui Macedoni e domini sul maggior numero possibile di barbari. Se tu agirai in questo modo, tutti ti saranno grati, i Greci per i benefici da te ricevuti, i Macedoni se tu li governerai come un re, non come un tiranno, gli altri popoli se, liberati per opera tua dal dispotismo dei barbari, otterranno la protezione dei Greci».

 

Nell’orazione A Nicocle compone una sorta di manuale per il basileus (9 - 35). In ordine, il sovrano deve conservare la città nella prosperità e renderla da piccola grande; deve cercare di comportarsi in modo più saggio degli altri; deve eccellere in virtù e ritenere che educazione e zelo possano in sommo grado beneficare la natura dell’uomo; deve frequentare i più saggi e conoscere poeti e oratori famosi, ascoltando gli uni e divenendo scolaro degli altri; trovare dentro di sé l’esortazione ad adempiere ai propri compiti, perché con quanta più decisione disprezza la stoltezza altrui, tanto più esercita la sua intelligenza. Occorre che il sovrano sia amante degli uomini e della città, perché «non è possibile comandare bene cavalli, cani, uomini o qualunque altra cosa, se non ci si compiace di ciò di cui ci si deve prender cura».

 

È poi necessario cercare leggi giuste, utili e coerenti; fare in modo che il lavoro sia per i sudditi fonte di guadagno; tentare di giudicare in maniera imparziale le dispute tra sudditi, perché «è conveniente e utile che l’opinione dei re sia immutabile riguardo alla giustizia». Il sovrano deve amministrare la città così come amministra il patrimonio familiare, «in modo splendido e regale nell’apparato esterno, negli affari con oculata attenzione, per acquistare buona fama e contemporaneamente essere in grado di sostenere le spese». Infatti, per Isocrate è possibile conquistare poteri assoluti solo attraverso la virtù degli amici, la benevolenza dei cittadini e la saggezza. Il sovrano deve mostrare di onorare la verità in modo che i suoi discorsi siano più degni di fede dei giuramenti degli altri; non deve ricorrere all’ira, alla severità eccessiva o alle punizioni esagerate. Non deve entrare in competizione per cose di poco conto, ma solo per quelle che generano vantaggi. Inoltre, non deve invidiare coloro che dispongono di grandi domini, ma solo coloro che sono capaci di utilizzare nel modo migliore ciò di cui dispongono. Il sovrano deve ritenere che la miglior prova di regalità consista «nel non essere schiavo di nessun piacere, ma nel dominare le passioni più dei concittadini».

 

Di qui le conclusioni di Isocrate: «qualunque cosa tu voglia appurare con esattezza di ciò che conviene ai re sapere, cerca di saperlo usando sia dell’esperienza che della speculazione astratta: infatti la filosofia ti mostrerà le strade, mentre l’esercitarti nelle azioni stesse farà in modo che tu possa sfruttare bene le circostanze. Rifletti su ciò che capita e ciò che si abbatte sul capo dei cittadini privati come dei re: se tu, infatti, ricorderai gli avvenimenti passati, deciderai meglio sul futuro».

 

Come risulta evidente, nell’orazione A Nicocle sono espressi i temi della produzione di carattere filosofico e/o politico di età ellenistica. Si tratta di una visione politica reale e ispirata a un profondo panellenismo in cui la filosofia ha posizione notevole. Isocrate è già proiettato nella dimensione cosmopolitica e universale dell’Ellenismo, anche se il punto di vista privilegiato, oltre che modello di riferimento, rimane quello della polis.

 

D’altra parte, nel Filippo afferma che (107): «i Greci non sono abituati a tollerare le monarchie, mentre gli altri popoli non possono vivere senza tale forma di governo». Alla luce di queste riflessioni, la basileia è percepita quale forma di governo estranea, anche da parte di chi, come Isocrate, si fa interprete delle tendenze filomonarchiche dell’epoca.

 

Nel corso dell’epoca ellenistica, venute meno libertà e indipendenza, il polites greco è ormai suddito. Di conseguenza, la riflessione sulla basileia si infittisce, generando una copiosa produzione letteraria volta a contribuire alla formazione della cultura politica degli intellettuali, quindi non necessariamente indirizzata al basileus.

 

La visione senz’altro più complessa e articolata della situazione politica del periodo giunge dalle pagine di Polibio. Tuttavia, sono soprattutto i filosofi a definire il ruolo della dimensione politica nella vita dell’individuo.

 

Epicuro, ad esempio, consiglia di astenersi dai tumulti della sfera politica; di contro, gli Stoici proprio nella dimensione collettiva, quindi politica, vedono realizzato il fine, telos, dell’esistenza.

 

E proprio dal pensiero filosofico, per il tramite di Panezio, si sviluppa l’ideologia del mondo romano, che considera l’impegno politico aspetto fondamentale e imprescindibile della vita del buon cittadino.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

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