N. 51 - Marzo 2012
(LXXXII)
il novecento
crudeltà cosciente o crudele coscienza?
di Fabrizio Mastio
Se si analizza il passaggio dall'Ottocento al Novecento, non ci si può esimere dal considerare l'impatto che il progresso scientifico, figlio del positivismo, ebbe sui nuovi percorsi culturali e filosofici che avrebbero caratterizzato la storia contemporanea.
Se
l'Ottocento
ci
ha
lasciato
in
dote
un
forziere
ricco
di
innovazioni
e
progresso
nei
vari
campi
culturali,
dalla
biologia
all'antropologia,
dal
pensiero
politico
ad
un
diverso
approccio
storiografico
nell'analisi
della
historia,
il
Novecento
si
affaccia,
dopo
i
fasti
della
Belle
Époque,
in
maniera
quasi
idiosincratica
alla
finestra
del
mondo
dalla
quale
si
possono
scorgere,
similmente
a
un'opera
del
Canaletto,
un
paesaggio
cambiato,
popolato
da
un
uomo
per
certi
versi
diverso
sotto
il
profilo
ontologico
e
psicologico,
come
Freud
ci
insegna.
Ma
cosa
accade
in
quello
che
Eric
John
Ernest
Hobsbawm
definì
il
secolo
breve?
Il
Novecento
si
presenta
come
speranza
e
catastrofe,
sogno
e
illusione
e si
mostra
quasi
imponente
nel
suo
incedere:
è
l'epoca
nella
quale
“società
perfetta”
diventa
ossimoro
e
sfocia
nella
carneficina
delle
due
grandi
guerre
mondiali,
ma
al
tempo
stesso
quello
in
cui
è
ancora
possibile
affrancarsi
dal
dominatore
e i
pauperes
orbi
spezzano
qualche
catena.
William
Golding
dirà
a
proposito
del
Novecento:
“Non
posso
fare
a
meno
di
pensare
che
questo
deve
essere
stato
il
secolo
più
violento
nella
storia
dell'umanità”.
Severo
Ochoa
affermerà:
“Considero
fondamentale
il
progresso
scientifico,
che
nel
XX
secolo
è
stato
veramente
straordinario.
Guardo
l'incredibile
sviluppo
della
medicina
e
penso
alla
scoperta
degli
antibiotici.
L'evoluzione
e il
progresso
scientifico
a
mio
parere
caratterizzano
questo
secolo”.
Il
Novecento
è
questo:
la
corsa
verso
lo
spazio,
un
nuovo
varcare
le
colonne
d'Ercole
con
la
temerarietà
e
l'arguzia
di
Ulisse
e il
terrore
della
guerra
di
trincea
durante
la
Prima
Guerra
Mondiale,
l'uomo
contro
l'altro,
il
nemico
uomo..quasi
una
rilettura
dell'homo
homini
lupus.
Emilio
Lussu
descriveva
così
il
tragico
destino
di
soldati
che
si
lanciavano
oltre
la
trincea,
verso
il
nemico,
metafora
di
un
destino
ignoto:
“Pronti
per
l'assalto!-
ripeté
ancora
il
capitano.
Di
tutti
i
momenti
della
guerra,
quello
dell'assalto
era
il
più
terribile.
L'assalto!Dove
si
andava?
Si
abbandonavano
i
ripari
e si
usciva.
Dove?
Le
mitragliatrici,
tutte,
sdraiate
sul
ventre
imbottito
di
cartucce,
ci
aspettavano.
Chi
non
ha
conosciuto
quegli
istanti,
non
ha
conosciuto
la
guerra”.
Il
secolo
scorso
ha
in
sé
apparenza
e
realtà,
quasi
un
ritratto
orwelliano,
un
affresco
distopico
che
si
sostanzia
nei
campi
di
concentramento
nazisti
e il
reale
che
cerca
di
trasformarsi
in
sogno
nell'idealizzazione
di
società
perfette,
l'ariano
come
dominus
mundi
o
ancora
lo
stato
che
in
nome
di
un'ideologia
monopolizza
molto
più
che
un'economia:
la
vita
dei
popoli.
Il
Novecento
si
manifesta
totalitario
e
democratico
al
tempo
stesso:
la
grande
democrazia
americana
annienta
il
totalitarismo
nazi-fascista
e
annichilisce
il
Giappone
con
un
nuovo
tipo
di
bomba
dagli
effetti
devastanti,
l'arma
atomica.
La
prova
di
come
la
scienza
aiuti
la
vita
e al
contempo
possa
negarla.
Appare
quantomeno
degna
di
riflessione
l'affermazione
di
chi
ritiene
che
in
un
conflitto
bellico
perdano
sempre
gli
stessi:
i
più
deboli
di
entrambi
gli
schieramenti,
metaforicamente
i
fanti
di
Emilio
Lussu.
In
questo
senso
di
tragedia,
frutto
degli
eventi
bellici
e
dei
milioni
di
morti,
vi è
la
sintesi
della
grandezza
e
miseria
umana
che
ha
caratterizzato
il
periodo
di
cui
trattasi,
un
senso
di
disordine
storico
al
quale
si
cerca
di
porre
rimedio
in
modo
cruento
e
tragico,
ma
che
finisce
poi
per
ripetersi
quasi
in
modo
circolare
e
rinnovato,
secondo
la
teoria
dei
corsi
e
ricorsi
storici
di
Gianbattista
Vico
e
così
dopo
la
tragedia
della
Shoah,
si
costruiscono
i
gulag
di
staliniana
memoria
e lo
sterminio
si
ripete
in
maniera
quasi
didascalica
nel
regime
di
Pol
Pot,
in
Asia
o
nelle
guerre
civili
africane,
cinematograficamente
rappresentate
nel
film
“Hotel
Rwanda”.
Caduto
un
ordine,
ne
nasce
un
altro
e il
mondo
del
tardo
novecento
vede
la
fine
dei
paesi
del
socialismo
reale,
con
l'eccezione
di
Cuba
e
della
Corea
del
Nord.
Crollano
le
ideologie
e si
assiste
all'avvento
della
globalizzazione,
in
bilico
ancora
una
volta,
fra
speranza
e
illusione,
conflitti
e
progresso.
Riferimenti
bibliografici:
-
Hobsbawm
E.
J.,
Il
secolo
breve,
RCS
Libri
S.p.A.,
Milano,
1997.
-
Lussu
E.,
Un
anno
sull'altipiano,
Einaudi,
Torino,
2000.