N. 64 - Aprile 2013
(XCV)
NOOR INAYAT KHAN
STORIA DI UNA CORAGGIOSA PRINCIPESSA
di Danilo Caruso
La
vita
dell’impavida
principessa
Noor
Inayat
Khan,
che
si
batté
contro
la
barbarie
nazista,
è
una
fulgida
pagina
di
impegno
a
difesa
della
libertà
e
della
giustizia.
Pronipote
dell’ultimo
re
musulmano
in
India,
nacque
a
Mosca,
al
Cremlino,
il
primo
gennaio
1914.
Era
figlia
di
Hazrat
Inayat
Khan,
un
musicista
e
maestro
religioso
che
era
stato
invitato
alla
corte
dello
Zar
per
far
conoscere
il
sufismo:
una
corrente
mistica
all’interno
dell’Islam
che
persegue
l’unione
con
Dio
(anche
attraverso
esperienze
mistiche
stimolate
dalla
musica),
l’introspezione
interiore
e la
separazione
dalla
mondanità.
Sua
madre,
Meena
Ray
Baker,
un’Americana
del
New
Mexico,
aveva
conosciuto
Hazrat
negli
USA:
convertitasi
all’Islamismo
col
nome
di
Begum
Sharaia
Ameena,
i
due
si
sposarono
a
Londra
nel
1913
(lei
fu
diseredata
dai
familiari
che
non
approvavano).
Ebbe
tre
fratelli:
Claire,
Vilayat,
Hidayat.
Nel
1916
la
sua
famiglia
si
trasferì
in
Inghilterra
e
poi
nel
1921
in
Francia,
nelle
vicinanze
di
Parigi,
in
una
casa
regalata
da
un
ricco
sostenitore
olandese
delle
dottrine
sufiche
del
padre
(morto
il 5
febbraio
1927
dopo
essere
ritornato
da
pochi
mesi
in
India).
Noor
studiò
psicologia
infantile
alla
Sorbona
di
Parigi,
musica
al
conservatorio
imparando
a
suonare
l’arpa
e il
pianoforte
(compose
delle
opere
musicali).
Fu
scrittrice:
collaborò
a
riviste,
autrice
di
poesie,
e
racconti
per
bambini
da
leggere
su
radio
Parigi.
Il
suo
libro
“Venti
racconti
Jataka”
venne
stampato
in
Inghilterra
nel
‘39.
In
quell’anno,
con
la
sorella,
frequentò
un
corso
per
diventare
infermiera,
e
interruppe
il
suo
fidanzamento
con
un
compagno
del
conservatorio
poiché
il
previsto
matrimonio
fu
respinto
dai
familiari.
In
seguito
all’invasione
nazista
nel
‘40,
con
la
famiglia,
tranne
il
fratello
Hidayat,
lasciò
la
Francia
per
l’Inghilterra.
Di
convinzioni
pacifiste,
ereditate
dal
padre,
decise
tuttavia,
assieme
al
fratello
Vilayat
(arruolatosi
nella
marina),
di
partecipare
alla
lotta
contro
il
nazismo.
Il
19
novembre
del
‘40
entrò
nella
Women’s
auxiliary
air
force
assumendo
il
nome
di
Nora
Baker
(divenne
operatrice
di
collegamento
radiofonico
con
gli
aerei
militari)
e
nel
‘43
nello
Special
operations
executive.
Nonostante
i
suoi
superiori
non
la
ritenessero
perfettamente
idonea
a
un’attività
in
territorio
nemico,
per
via
della
conoscenza
del
francese
e
della
perizia
nella
radiofonia
nella
notte
tra
il
16 e
il
17
giugno
‘43
fu,
prima
donna,
paracadutata
nella
Francia
occupata,
col
nome
in
codice
di
Madeleine
e
con
la
falsa
identità
di
Jeanne-Marie
Regnier,
per
svolgere
il
compito
di
operatrice
di
radio
clandestina
nella
rete
d’informazione
partigiana
con
sede
nella
zona
di
Parigi.
Una
settimana
dopo
gli
agenti
di
questa
rete
cominciarono
a
essere
tutti
arrestati.
La
principessa
Noor
pur
rischiando
decise
di
non
far
ritorno
in
Inghilterra
e di
rimanere
a
sostenere
da
sola
le
operazioni
radiofoniche.
Il
13
ottobre
a
causa
di
uno
spregevole
tradimento
venne
catturata:
davanti
all’appartamento
parigino
in
cui
alloggiava
aveva
notato
un
paio
di
uomini,
essendo
andati
via
dopo
che
si
era
messa
al
riparo
entrò
in
casa
dove
però
l’attendevano
altri
per
arrestarla
(le
trovarono
le
trascrizioni
annotate
dei
messaggi
inviati
e
ricevuti,
cosa
fatta
per
un’istruzione
mal
interpretata:
il
che
consentì
ai
Tedeschi
di
mantenere
in
modo
fittizio
l’attività
al
fine
di
prendere
altri
agenti
inviati).
Durante
il
periodo
di
carcerazione
a
Parigi
cercò
di
fuggire
infruttuosamente
due
volte.
La
prima
il
giorno
stesso
dell’arresto:
chiese
di
andare
in
bagno
da
dove
senza
manette
fuggì
sul
tetto
dell’edificio
non
trovando
ulteriore
via
di
fuga;
la
seconda
a
fine
novembre
in
collaborazione
con
altri
due
detenuti:
evasi
dalle
celle
furono
catturati.
Essendosi
rifiutata
di
sottoscrivere
un
impegno
d’onore
a
non
tentare
di
scappare
più,
il
27
novembre
fu
trasferita
in
un
carcere
nei
pressi
di
Karlsruhe,
dove
rimarrà
in
stato
di
isolamento,
con
mani
e
piedi
legati
fra
di
loro,
fino
al
12
settembre
del
‘44.
Portata
nel
campo
di
concentramento
di
Dachau
fu
uccisa
il
13,
dopo
essere
stata
violentemente
picchiata,
con
un
colpo
d’arma
da
fuoco
alla
nuca
da
un
ufficiale
delle
SS,
Friedrich
Wilhelm
Ruppert,
poi
condannato
all’impiccagione
dagli
Alleati
come
criminale
di
guerra
nel
maggio
del
‘46.
Un
testimone
del
suo
omicidio
riferì
nel
‘58
che
ella
non
mostrò
segni
di
paura
sino
alla
fine,
mantenendo
un
altissimo
contegno,
la
sua
ultima
parola
fu:
«Liberté!».
Non
diede
mai
informazioni
al
nemico
di
nessun
tipo.
Fu
uccisa
assieme
a
tre
donne
combattenti
del
SOE:
Yolande
Beekman,
Eliana
Plewman,
Madeleine
Damerment
(quest’ultima
era
stata
paracadutata
come
lei
dopo
il
suo
arresto).
I
cadaveri
furono
inceneriti
in
un
forno
crematorio,
vicino
al
quale
oggi
una
lapide
rievoca
queste
uccisioni.
Le
sono
stati
conferiti
in
Inghilterra
la
Croce
di
san
Giorgio
(la
più
alta
onorificenza
civile,
concessa
solamente
ad
altre
tre
donne;
gazzetta
ufficiale
inglese
del
5-4-1949,
qualche
giorno
dopo
morì
la
madre),
la
Menzione
militare,
e il
cavalierato
dell’Ordine
dell’Impero
britannico
(marzo
‘44);
in
Francia
la
Croce
di
guerra
1939-1945.
Ogni
14
luglio,
anniversario
della
presa
della
Bastiglia,
una
banda
musicale
militare
la
ricorda
suonando
davanti
alla
casa
in
cui
trascorse
la
giovinezza
a
Suresnes
(dove
è
stata
apposta
una
lapide
in
sua
memoria).
È
ricordata
inoltre
nel
monumento
inglese
a
Valençay
intitolato
The
Spirit
of
Partnership
nella
lista
di
104
agenti
caduti,
e da
una
lapide
alla
Scuola
di
agricoltura
di
Grignon
che
recita:
«À
la
mémoire
de
NOOR
INAYAT
KHAN
dite
MADELEINE,
George
Cross,
Croix
de
guerre,
Héroïne
de
la
résistance,
1914-1944.».