.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


.

ANTICA


N. 132 - Dicembre 2018 (CLXIII)

Roma, Amor e Maia

Il nome segreto di Roma

di Alfredo Incollingo

 

Per secoli gli storici antichi e moderni hanno tentato di ricostruire il significato e l’origine del nome Roma. La tradizione più accreditata vuole che esso derivi da Romolo, il mitico fondatore della città nell’aprile del 753 a.C, che ribattezzò in suo onore l’insediamento originario sul colle Palatino. Il toponimo potrebbe derivare dall’etrusco Ruma, ovvero mammella, in riferimento alla leggenda dei gemelli Romolo e Remo allattati da una lupa, prima di essere trovati dal pastore Faustolo e da sua moglie Acca Larenzia.

 

Il grammatico latino Servio Mario Onorato, invece, sosteneva la sua discendenza dall’antico nome del Tevere, Rumen o Rumon, richiamando l’importanza del fiume per la nascita e la prosperità della città.

 

L’enigma che più di tutti affascinò gli storici latini e moderni riguardò il suo nome segreto. Si racconta, infatti, che Roma non fosse il vero toponimo che, al contrario di quello notorio, aveva un’importante valenza magica. Chi l’avesse conosciuto, avrebbe potuto dominare la Città Eterna e il suo impero. La rivelazione del nome segreto era un reato gravissimo, come lo spegnimento del fuoco di Vesta, che avrebbe causato gravi sventure all’Urbe e ai suoi abitanti. Il tribuno della plebe Quinto Valerio Sorano venne condannato a morte per averlo rivelato nella sua opera I misteri svelati.

 

Ogni città aveva il suo dio protettore, che veniva invocato dagli assedianti davanti le mura cittadine durante l’assedio per ingraziarsi il favore della divinità. Se la guerra si fosse conclusa a loro favore, i romani erano soliti innalzare un tempio in onore del dio o della dea per ringraziarli del loro sostegno.

 

 Per questo motivo i romani erano molto attenti a non diffondere il nome segreto di Roma e la segretezza che lo circondava spinse molti intellettuali latini a interrogarsi sulla sua reale esistenza. Si proposero diversi nomi divini con cui identificare il nume tutelare dell’Urbe: Angerona, la dea del silenzio, Giove, Opi, dea dell’abbondanza, ma anche Cerere, Flora o Pomona.

 

Giovanni Pascoli, nel suo Inno a Roma (1911), scritto per celebrare il Natale di Roma di quell’anno e il cinquantenario del Regno d’Italia, affermava addirittura che gli appellativi della Città Eterna fossero tre, ovvero Roma, quello pubblico, Flora, quello sacro, e Amor, il nome segreto.

 

«Il nome arcano è tempo/che si riveli, poi ch’è il tempo sacro./Risuoni il nome che nessun profano/sapea qual fosse, e solo nei misteri/segretamente s’inalzò tra gl’inni:/mentre sull’ombra attonita una strana/alba appariva, un miro sole, e i cavi/cembali intorno si scotean bombendo -/Amor! oh! l’invincibile in battaglia!» (vv. 2 – 10).

 

Accogliendo le tesi dello scrittore bizantino Giovanni Lorenzo Lido nel De mensibus, il poeta italiano citava il palindromo di Roma quale numen cittadino, in riferimento anche alla mitica progenitrice dei romani, la dea Venere. Enea, antenato di Romolo e Remo, era figlio del troiano Anchise e della dea dell’amore (amor, in latino).

 

Il triste esilio di Publio Ovidio Nasone, inaspettatamente, potrebbe fornirci una prova certa su quale fosse il vero nome di Roma. Il poeta latino venne esiliato a Tomi, l’odierna Costanza, in Romania, nell’8 d.C. per crimini gravissimi, a noi del tutto ignoti.

 

Probabilmente, i suoi versi licenziosi, che contraddicevano la politica conservatrice dell’imperatore Augusto, o la connivenza piuttosto ambigua con la principessa Livia potrebbero aver spinto Ottaviano a esiliare il poeta sulmonese. Una risposta fondata a questo enigma storico potrebbe trovarsi tra i versi dei Fasti, in riferimento al nome segreto di Roma.

 

L’opera, che racconta le feste e i miti legati all’anno civile e religioso romano, è rimasta incompiuta e si conclude precocemente al mese di giugno. Nel raccontare l’etimologia dei mesi, arrivando a maggio, il poeta si sofferma sulla fondazione dell’Urbe e, in riferimento ad essa, dà grande importanza alla costellazione delle Pleiadi e alla stella più luminosa, Maia.

 

Secondo Felice Vinci e Arduino Maiuri, che per primi hanno esposto queste osservazioni, ci sarebbe un legame diretto tra Maia e la fondazione romana. È probabile quindi che la disposizione degli insediamenti sui Sette Colli rispecchi la disposizione delle Pleiadi, con al centro Maia in corrispondenza del Palatino.

 

Il solco primigenio, al cui interno sorse la Città Quadrata, poteva rispecchiare, ove possibile, la fisionomia della costellazione. Romolo avrebbe poi dedicato la città a Maia, la Bona Dea di cui si parla molto nei Fasti ovidiani.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

A. Cattabiani, Simboli, miti e misteri di Roma, Newton Compton, Roma 2016;

F. Vinci, A. Maiuri, Mai dire Maia. Un’ipotesi sulla causa dell’esilio di Ovidio e sul nome segreto di Roma (nel bimillenario della morte del poeta), in “Appunti Romani di Filologia: studi e comunicazioni di filologia, linguistica e letteratura greca e latina”, XIX, 2017, Fabrizio Serra Editore, Pisa-Roma 2017.



 

 

COLLABORA


scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 


[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE]


 

.