[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

188 / AGOSTO 2023 (CCXIX)


attualità

Niger, crocevia globale
E D'iMPROVVISO Il mondo SI ricorda
del Sahel
di Gian Marco Boellisi

 

È da anni ormai che si parla di una potenziale “Guerra Mondiale Africana” che sarebbe sul procinto di scoppiare. Sebbene la maggior parte degli analisti abbia sempre ipotizzato che l’epicentro di questo conflitto possa essere il Congo, oggi forse bisogna ricredersi.

 

Infatti all’indomani del colpo di stato avvenuto in Niger vi sono serie possibilità che quest’area del continente diventi teatro di un conflitto dagli esiti imprevedibili tra due coalizioni di stati africani. È bene ricordare come quest’area sia una delle più martoriate del pianeta, eternamente lacerata da povertà, organizzazioni criminali, terrorismo di matrice islamica e dittature militari. Proprio in virtù di questa grave crisi ormai in atto da svariati decenni, negli ultimi anni si è assistito a un numero impressionante di colpi di stato nell’area, tanto da soverchiare completamente gli equilibri di potere nella regione.

 

Si sono avuti due colpi di stato in Mali, due in Burkina Faso, uno in Ciad, uno in Sudan e uno in Guinea. Quindi il golpe in Niger non è altri che l’ultimo di una lunga serie, il quale risulta essere l’ennesimo colpo all’influenza europea e in generale occidentale nell’area, motivo principale per cui l’attenzione mediatica mondiale si è concentrata enormemente su questo avvenimento. Risulta quindi di enorme interesse capire le cause del golpe così da comprendere verso dove la scacchiera politica del Sahel potrà virare nei prossimi mesi.

 

La destituzione del presidente eletto Mohamed Bazoum è avvenuta il 26 luglio 2023. Verso le 7:00 del mattino membri della guardia presidenziale hanno bloccato ogni accesso al palazzo presidenziale. Da quel che hanno riferito alcuni testimoni, vi sono stati isolati scontri nelle immediate vicinanze del palazzo, ma nel resto della capitale Niamey la vita è proceduta in maniera del tutto regolare. A svolgere il colpo di stato sono state le forze della guardia presidenziale guidata dal generale Omar Tchiani, motivo per il quale il tutto è avvenuto all’interno del palazzo presidenziale senza che truppe esterne accorressero nella direzione dei palazzi del potere. Una volta arrestato il presidente, la tv nazionale ha interrotto le trasmissioni riportando l’annuncio dei militari, recitato dal maggiore Amadou Abdramane, direttamente da dentro il palazzo presidenziale. Vista l’estrema rapidità dell’azione militare, i cittadini nigerini sono venuti a sapere del colpo di stato solamente dalla televisione.

 

Nella tarda mattinata del 27 luglio il capo di stato maggiore delle forze armate, Abdou Sidikou Issa, ha dichiarato a sua volta il sostegno alle truppe di Tchiani, di fatto estendendo l’appoggio al colpo di stato a tutte le forze armate e facendo così riuscire la scommessa golpista. Era infatti impossibile che il terremoto del colpo di stato si assestasse a un nuovo equilibrio senza l’appoggio di tutto l’esercito nigerino. Sempre il 27 il generale Tchiani si autoproclama capo della giunta di transizione, chiudendo così il cerchio del passaggio di potere in mano ai militari.

 

A detta di Tchiani l’intervento dell’esercito è stato necessario per salvaguardare la sicurezza del Niger unita all’incapacità atavica di Bazoum di affrontare le sfide interne e internazionali alle quali il paese è stato posto negli ultimi anni. Al di là dei meri proclami propagandistici, la ragione del colpo di stato di Tchiani è riconducibile alla volontà di Bazoum di ridimensionare i poteri della guardia presidenziali, arrivati secondo l’ex presidente a livelli non più accettabili all’interno dello stato nigerino. Tchiani quindi ha giocato d’anticipo, deponendo il presidente e assumendo il controllo dello stato.

 

L’ex presidente Mohamed Bazoum era stato eletto nel 2021 a seguito di elezioni che oggi ai telegiornali vengono definite democratiche, mentre all’epoca era state colme di contestazioni da parte delle opposizioni, momenti di tensione e brogli elettorali di natura abbastanza conclamata. Al sentire quindi dell’elezione democratica di Bazoum la prima reazione spontanea tendenzialmente dovrebbe essere un sorriso. L’esito del voto infatti era da ritenersi scontato in quanto Bazoum era un il delfino preferito del suo predecessore, Mahamadou Issoufou, il quale a detta delle opposizioni tramite una serie di irregolarità, rapporti clientelari e della buona e vecchia corruzione di massa avrebbe garantito la vittoria al suo fedelissimo. La cosa che fa riflettere allo stesso tempo è come lo stesso Issoufou sia stato oggetto di un tentato colpo di stato a pochi giorni dalla transizione con Bazoum e che sia stato proprio Tchani a sventarlo impedendo ai golpisti di prendere il potere due anni fa. Chi di colpo stato ferisce di colpo di stato perisce.

 

Nel complesso Bazoum è stato considerato unanimamente un presidente filo-occidentale, in continuità con l’operato del predecessore Issoufou, tanto da essere ritenuto l’ultimo bastione dell’Occidente nel Sahel. La vicinanza dell’esecutivo Bazoum ai paesi europei e non solo è testimoniata da vari fattori.

 

Primo fra tutti, la presenza di numerosi contingenti militari stranieri in territorio nigerino. Infatti qui vi sono stanziati diverse centinaia di militari francesi, oltre che italiani, americani, tedeschi e canadesi. La motivazione è presto detta: con la caduta di Mali e Burkina Faso verso regimi militaristi anti-occidentali e il conseguente fallimento dell’Operazione Barkhane, il Niger è risultato l’unico paese potenzialmente alleato per poter gestire le numerose agende internazionali presenti in quest’area. Infatti oltre al crescente pericolo jihadista della regione, il Niger vanta una posizione strategica di prim’ordine, confinando con la Libia e in generale collegando geograficamente l’Africa Sub-Sahariana all’Africa Settentrionale. Da qui infatti si può avere un controllo capillare dei traffici di migranti diretti verso il Mediterraneo, nonché delle merci e carichi di stupefacenti che le organizzazioni criminali fanno arrivare in Europa partendo dal Sud America.

 

Dulcis in fundo, il Niger è un paese ricchissimo di materie prime, tra cui oro, carbone, petrolio, ferro e uranio. Di quest’ultimo il Niger è particolarmente ricco e un eventuale taglio delle esportazioni dovuto al golpe è stata una delle paure maggiori delle cancellerie europee da quel 26 luglio in poi. Infatti è importante ricordare come il Niger rappresenti il 15% delle importazioni francesi d’uranio, sua ex madrepatria coloniale, nonché il 20% dell’intera Unione Europea.

 

In generale, nel 2021 il Niger ha rappresentato il primo fornitore d’uranio dell’Unione, con Russia e Kazhakistan a tallonarlo in seconda e terza posizione. Il Niger risulta essere uno dei pesi massimi a livello mondiale per quanto riguarda la disponibilità di questo prezioso minerale, ricoprendo nel 2022 la posizione di settimo produttore mondiale con una quota del 10% della produzione globale d’uranio.

 

Per quanto riguarda la Francia nello specifico, i suoi interessi in Niger sono molto profondi, sia per quanto riguarda le forniture d’uranio (Parigi importa più di un terzo del fabbisogno d’uranio dall’estero) sia per quanto riguarda l’influenza politica che l’Eliseo cerca di mantenere in tutti i paesi che furono sue ex colonie. Anche in caso di interruzione improvvisa delle forniture nigerine, cosa che è stata annunciata dal generale Tchiani, Parigi avrebbe a stock scorte d’uranio sufficienti per coprire i consumi dei prossimi due anni.

 

Che sia vero o no, il cambio di regime a Niamey e le sue dichiarate posizioni anti-occidentali potrebbero portare nel breve periodo a un’interruzione netta delle forniture d’uranio verso i paesi europei e non solo. Questo scoprirebbe un nodo di fondamentale criticità, ovvero il fatto che le sanzioni europee non potranno colpire la Russia sull’industria nucleare, dalla quale i paesi di Bruxelles si ritroverebbero a dipendere dall’oggi al domani in maniera critica.

 

Questo e altri fattori hanno alimentato i sospetti che dietro il colpo di stato a Niamey ci fosse una regia russa. Tuttavia, indipendemente da come sono andati i fatti, il problema nucleare europeo permane ed evidenzia analogamente a quanto osservato l’anno scorso con il gas naturale quanto la catena di approvigionamento non sia diversificata abbastanza tanto da far fronte all’uscita di scena per un motivo o per l’altro di uno dei paesi fornitori.

 

Quello che la Francia ha osservato negli ultimi anni è una caduta libera della propria influenza in quella che viene definita la Françafrique. Infatti sia per un il fallimento clamoroso delle missioni militari antiterrorismo francesi nell’area sia per una generale insofferenza nei confronti dell’Occidente, la retorica anti-francese si è radicata sempre maggiormente tra la popolazione dei paesi dell’area, andando a cancellare tutto il capitale politico conservato da Parigi all’indomani della decolonizzazione.

 

Una dimostrazione di quanto appena affermato è come, non appena ricevuta la notizia dell’avvenuto colpo di stato, i cittadini di Niamey siano scesi per le strade a manifestare contro la Francia, oltre ad assaltare l’ambasciata di Parigi nei giorni successivi, e parallelamente a ineggiare alla Russia e a Putin con tanto di bandiere russe per le strade di tutto il Niger. Ciò a dimostrazione di come in Niger, analogamente a molti altri paesi del Sahel, la Russia venga percepita come principale alternativa all’influenza neo-colonizzatrice occidentale. Ciò sia per ragioni storiche, basti pensare ai grandi investimenti che fece l’Unione Sovietica nei confronti dei movimenti ribelli durante la decolonizzazione, sia per ragioni prettamente economiche, essendo Mosca molto attiva negli investimenti nel continente nero da alcuni anni a questa parte.

 

Lo schema viene ripetuto sempre nello stesso modo, e se ne avuta la testimonianza già negli passati in Republica Centrafricana, Burkina Faso, Mali e Guinea. Al di là delle singole motivazioni, se la Francia è colpevole negli ultimi decenni di aver mantenuto una presa decisa sulle economie e non solo dei paesi che una volta furono sue colonie, pensare alla Russia come liberatrice e portatrice delle libertà a lungo desiderate è pura utopia ma soprattutto pura follia.

 

Una delle possibilità che ancora aleggia a seguito del golpe a Niamey è la possibilità dello scoppio di un conflitto tra i vari stati dell’area. A poche ore dall’annunciata presa di potere l’Ecowas, l’organizzazione degli Stati dell’Africa occidentale di cui anche il Niger è membro, ha fermamente condannato le azioni dei militari, intensificando sempre più nei giorni successivi la propria retorica fino a paventare la possibilità di un intervento armato per ristabilire l’ordine “democraticamente eletto”. A queste affermazioni è seguita la risposta di Tchiani, il quale ha parlato di un piano d’invasione premeditato da parte dell’Occidente e ha anche affermato che qualora gli Stati dell’Ecowas tentino l’invasione il presidente Bazoum e alcuni ministri del precedente governo verrebbero giustiziati immediatamente.

 

Ciò dimostra molto efficacemente quanto l’instabilità del Sahel, oltre a essere una tragedia per le popolazioni locali, rientra in un gioco molto più ampio che influenza le dinamiche di tutto l’ordine internazionale. Lo scenario che si andrebbe delineando quindi è quello di un conflitto tra due coalizioni di stati africani, quelli “filo-russi” (Mali, Niger, Burkina Faso e forse Guinea) e quelli “filo-occidentali” (i rimanenti stati dell’Ecowas).

 

La Guinea è in forse poiché, sebbene anch’essa abbia subito un colpo di stato di natura anti-occidentale, la sua posizione geografica limita molto il suo campo d’azione, essendo isolata dagli altri alleati nella zona. In Mali e in Burkina Faso la situazione è differente, essendo qui instauratesi negli ultimi anni giunte militari in aperta collaborazione con Mosca, e in particolare con le milizie mercenarie della Wagner. Proprio in virtù di questa comunanza d’interessi, le giunte di Mali e Burkina Faso hanno già risposto alle minacce dell’Ecowas che un intervento in Niger equivarrebbe a una dichiarazione di guerra e che ciò provocherebbe una risposta militare analoga.

 

Da questa vicenda si può evincere come l’Africa Sub-Sahariana sia diventata un teatro di uno scontro per procura più ampio tra le maggiori potenze a livello internazionale. Infatti sia la Francia sia l’Unione Europea stanno assistendo a un arretramento costante e inesorabile della propria influenza nel Sahel, senza che siano messe in atto delle azioni curative per prevenire un ulteriore deterioramente delle relazioni con i paesi ivi presenti. Ancora, l’ignavia dei paesi occidentali sta portando via via sempre più paesi appartenenti anche ad altre aree del continente africano nelle braccia dei sempiterni nemici dell’Occidente: Russia e Cina.

 

La portata internazionale dell’eventuale intervento in Niger è testimoniata da come il Regno Unito abbia annunciato che sosterrà l’Ecowas qualora decida di entrare in Niger. Sul possibile coinvolgimento manu militari della Francia non vi è neanche da metterlo in dubbio. Se si avrà l’intervento militare o meno, solo il tempo lo potrà mostrare. A seguito di questa vicenda l’Ecowas si è dimostrata un’organizzazione internazionale non così influente come avrebbe voluto, non riuscendo a mostrare un’immagine coesa dei propri membri e soprattutto non avendo il tatto politico di ciò che accade in seno ai propri stati firmatari. Già il fatto che si potrebbe prospettare una guerra civile interna all’Ecowas ne decreterebbe la prematura fine prima ancora di aver contato qualcosa dal punto di vista internazionale.

 

Un’analisi a parte andrebbe fatta su come il colpo di stato in Niger sia stato trattato dai media internazionali. Infatti sin dalle prime ore si è avuta una copertura mediatica quasi completa degli eventi, insistendo spesso sulla gravità del golpe e sul fatto che fosse stato deposto un presidente democraticamente eletto. Al di là della cacofonia che il termine democratico possa avere riferito alle elezioni di Bazoum, è come se il mondo intero si fosse ricordato improvvisamente dell’esistenza del Sahel. Ciò tuttavia non si è visto quando qualche anno fa i governi di Mali, Burkina Faso, Guinea e Sudan venivano rovesciati a favore di giunte militari altrettanto efferate e le relative notizie venivano poste nei notiziari in seconda serata.

 

Un esempio più recente fra tutti è il Sudan, annunciato con tanto scalpore ma poi con eguale velocità dimenticato. La guerra civile è ancora in corso, ma il mondo sembra già essersi dimenticato di dove si trovi Khartum sulla cartina geografica. La tendenza dei media quindi sembra essere cambiata tutta d’un tratto da quel 26 luglio. Le ragioni potrebbero essere molteplici, ma tendenzialmente riconducibili a due filoni.

 

Il primo è alimentare la narrazione sempre più presente delle “democrazie contro dittature”, potenziata prepotentemente dall’inizio della guerra in Ucraina in poi e ora applicata a ogni situazione di crisi internazionale. Probabilmente figlia di quell’esigenza di far sentire una parte del mondo “nel giusto”, poco ci si sofferma su cosa voglia dire “democraticamente eletto” e soprattutto a quale contesto sia applicata tale dizione, come in una semplificazione ai minimi termini in modo da descrivere fenomeni complessi con parole fruibili all’opinione pubblica mondiale. Della serie, anche il presidente Mubarak era democraticamente eletto dal popolo egiziano, eppure si è sempre stentato a definire l’Egitto di allora una democrazia compiuta. Ma questo fino al 2011 alla comunità internazionale ha interessato molto poco a quanto pare.

 

Il secondo filone è quello più pragmatico se vogliamo, il quale è ricondotto alla crisi anti-occidentale che sta attraversando il Sahel. Infatti le cancellerie occidentali sono ben consce di quanto la propria influenza si stia sgretolando in questa parte del mondo, e attirare l’attenzione sul colpo di stato in Niger potrebbe essere un tentativo estremo di mobilitare l’opinione pubblica mondiale nel favorire o quanto meno nel non interferire contro un intervento armato che riporterebbe “l’ordine democraticamente eletto” al potere a Niamey. Questo nell’ottica ancora più ampia per ricordare al pubblico come l’impero del male odierno, costituto fondamentalmente da Cina, Russia e alcuni stati del Sud Globale, non sia benevolo e democratico ma solo interessato alla conquista e alla supremazia. Come se negli ultimi 150 anni gli stati europei abbiano fatto qualcosa di diverso.

 

Probabilmente questo dimostra banalmente come l’Occidente si ostini ancora oggi a non comprendere il resto del mondo, sentendosi superiore per valori e status sociale e arroccandosi sempre più in una torre d’avorio morale che fa sempre più fatica a stare in piedi. Il risultato di questo processo è davanti agli occhi di tutti: un’opinione pubblica globale sempre più avversa alle policies occidentali e sempre più ostile ad avvallare politiche che solo qualche anno fa sarebbe passate in sordina come nulla fosse.

 

In conclusione, gli avvenimenti in Niger delle ultime settimane mostrano come lo scenario politico del Sahel sia in continua evoluzione e come gli equilibri del potere siano più labili di quanto si possa pensare. I colpi di stato in Africa sembrano essere ormai una routine negli ultimi anni, ma ciò non deve far dimenticare che chi ne subisce le conseguenze sono in primis le popolazioni locali.

 

Che si insedino governi filo-occidentali o filo-russi, il risultato è il medesimo: l’accrescimento della tensione nell’area che porta a un sempre più fragile equilibrio. Analogamente a quanto testimoniato dalla lancinante guerra in Ucraina dell’ultimo anno e mezzo, è bene ricordare che questi equilibri non sono eterni e che basta la follia di un istante per portare intere nazioni nell’oscuro baratro della guerra senza quartiere.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]