attualità
Niger,
crocevia globale
E D'iMPROVVISO Il mondo
SI ricorda
del Sahel
di Gian Marco Boellisi
È da anni ormai che si parla di una potenziale
“Guerra Mondiale Africana” che sarebbe sul procinto
di scoppiare. Sebbene la maggior parte degli
analisti abbia sempre ipotizzato che l’epicentro di
questo conflitto possa essere il Congo, oggi forse
bisogna ricredersi.
Infatti all’indomani del colpo di stato avvenuto in
Niger vi sono serie possibilità che quest’area del
continente diventi teatro di un conflitto dagli
esiti imprevedibili tra due coalizioni di stati
africani. È bene ricordare come quest’area sia una
delle più martoriate del pianeta, eternamente
lacerata da povertà, organizzazioni criminali,
terrorismo di matrice islamica e dittature militari.
Proprio in virtù di questa grave crisi ormai in atto
da svariati decenni, negli ultimi anni si è
assistito a un numero impressionante di colpi di
stato nell’area, tanto da soverchiare completamente
gli equilibri di potere nella regione.
Si sono avuti due colpi di stato in Mali, due in
Burkina Faso, uno in Ciad, uno in Sudan e uno in
Guinea. Quindi il golpe in Niger non è altri che
l’ultimo di una lunga serie, il quale risulta essere
l’ennesimo colpo all’influenza europea e in generale
occidentale nell’area, motivo principale per cui
l’attenzione mediatica mondiale si è concentrata
enormemente su questo avvenimento. Risulta quindi di
enorme interesse capire le cause del golpe così da
comprendere verso dove la scacchiera politica del
Sahel potrà virare nei prossimi mesi.
La destituzione del presidente eletto Mohamed Bazoum
è avvenuta il 26 luglio 2023. Verso le 7:00 del
mattino membri della guardia presidenziale hanno
bloccato ogni accesso al palazzo presidenziale. Da
quel che hanno riferito alcuni testimoni, vi sono
stati isolati scontri nelle immediate vicinanze del
palazzo, ma nel resto della capitale Niamey la vita
è proceduta in maniera del tutto regolare. A
svolgere il colpo di stato sono state le forze della
guardia presidenziale guidata dal generale Omar
Tchiani, motivo per il quale il tutto è avvenuto
all’interno del palazzo presidenziale senza che
truppe esterne accorressero nella direzione dei
palazzi del potere. Una volta arrestato il
presidente, la tv nazionale ha interrotto le
trasmissioni riportando l’annuncio dei militari,
recitato dal maggiore Amadou Abdramane, direttamente
da dentro il palazzo presidenziale. Vista l’estrema
rapidità dell’azione militare, i cittadini nigerini
sono venuti a sapere del colpo di stato solamente
dalla televisione.
Nella tarda mattinata del 27 luglio il capo di stato
maggiore delle forze armate, Abdou Sidikou Issa, ha
dichiarato a sua volta il sostegno alle truppe di
Tchiani, di fatto estendendo l’appoggio al colpo di
stato a tutte le forze armate e facendo così
riuscire la scommessa golpista. Era infatti
impossibile che il terremoto del colpo di stato si
assestasse a un nuovo equilibrio senza l’appoggio di
tutto l’esercito nigerino. Sempre il 27 il generale
Tchiani si autoproclama capo della giunta di
transizione, chiudendo così il cerchio del passaggio
di potere in mano ai militari.
A detta di Tchiani l’intervento dell’esercito è
stato necessario per salvaguardare la sicurezza del
Niger unita all’incapacità atavica di Bazoum di
affrontare le sfide interne e internazionali alle
quali il paese è stato posto negli ultimi anni. Al
di là dei meri proclami propagandistici, la ragione
del colpo di stato di Tchiani è riconducibile alla
volontà di Bazoum di ridimensionare i poteri della
guardia presidenziali, arrivati secondo l’ex
presidente a livelli non più accettabili all’interno
dello stato nigerino. Tchiani quindi ha giocato
d’anticipo, deponendo il presidente e assumendo il
controllo dello stato.
L’ex presidente Mohamed Bazoum era stato eletto nel
2021 a seguito di elezioni che oggi ai telegiornali
vengono definite democratiche, mentre all’epoca era
state colme di contestazioni da parte delle
opposizioni, momenti di tensione e brogli elettorali
di natura abbastanza conclamata. Al sentire quindi
dell’elezione democratica di Bazoum la prima
reazione spontanea tendenzialmente dovrebbe essere
un sorriso. L’esito del voto infatti era da
ritenersi scontato in quanto Bazoum era un il
delfino preferito del suo predecessore, Mahamadou
Issoufou, il quale a detta delle opposizioni tramite
una serie di irregolarità, rapporti clientelari e
della buona e vecchia corruzione di massa avrebbe
garantito la vittoria al suo fedelissimo. La cosa
che fa riflettere allo stesso tempo è come lo stesso
Issoufou sia stato oggetto di un tentato colpo di
stato a pochi giorni dalla transizione con Bazoum e
che sia stato proprio Tchani a sventarlo impedendo
ai golpisti di prendere il potere due anni fa. Chi
di colpo stato ferisce di colpo di stato perisce.
Nel complesso Bazoum è stato considerato
unanimamente un presidente filo-occidentale, in
continuità con l’operato del predecessore Issoufou,
tanto da essere ritenuto l’ultimo bastione
dell’Occidente nel Sahel. La vicinanza
dell’esecutivo Bazoum ai paesi europei e non solo è
testimoniata da vari fattori.
Primo fra tutti, la presenza di numerosi contingenti
militari stranieri in territorio nigerino. Infatti
qui vi sono stanziati diverse centinaia di militari
francesi, oltre che italiani, americani, tedeschi e
canadesi. La motivazione è presto detta: con la
caduta di Mali e Burkina Faso verso regimi
militaristi anti-occidentali e il conseguente
fallimento dell’Operazione Barkhane, il Niger è
risultato l’unico paese potenzialmente alleato per
poter gestire le numerose agende internazionali
presenti in quest’area. Infatti oltre al crescente
pericolo jihadista della regione, il Niger vanta una
posizione strategica di prim’ordine, confinando con
la Libia e in generale collegando geograficamente
l’Africa Sub-Sahariana all’Africa Settentrionale. Da
qui infatti si può avere un controllo capillare dei
traffici di migranti diretti verso il Mediterraneo,
nonché delle merci e carichi di stupefacenti che le
organizzazioni criminali fanno arrivare in Europa
partendo dal Sud America.
Dulcis in fundo, il Niger è un paese ricchissimo di
materie prime, tra cui oro, carbone, petrolio, ferro
e uranio. Di quest’ultimo il Niger è particolarmente
ricco e un eventuale taglio delle esportazioni
dovuto al golpe è stata una delle paure maggiori
delle cancellerie europee da quel 26 luglio in poi.
Infatti è importante ricordare come il Niger
rappresenti il 15% delle importazioni francesi
d’uranio, sua ex madrepatria coloniale, nonché il
20% dell’intera Unione Europea.
In generale, nel 2021 il Niger ha rappresentato il
primo fornitore d’uranio dell’Unione, con Russia e
Kazhakistan a tallonarlo in seconda e terza
posizione. Il Niger risulta essere uno dei pesi
massimi a livello mondiale per quanto riguarda la
disponibilità di questo prezioso minerale,
ricoprendo nel 2022 la posizione di settimo
produttore mondiale con una quota del 10% della
produzione globale d’uranio.
Per quanto riguarda la Francia nello specifico, i
suoi interessi in Niger sono molto profondi, sia per
quanto riguarda le forniture d’uranio (Parigi
importa più di un terzo del fabbisogno d’uranio
dall’estero) sia per quanto riguarda l’influenza
politica che l’Eliseo cerca di mantenere in tutti i
paesi che furono sue ex colonie. Anche in caso di
interruzione improvvisa delle forniture nigerine,
cosa che è stata annunciata dal generale Tchiani,
Parigi avrebbe a stock scorte d’uranio sufficienti
per coprire i consumi dei prossimi due anni.
Che sia vero o no, il cambio di regime a Niamey e le
sue dichiarate posizioni anti-occidentali potrebbero
portare nel breve periodo a un’interruzione netta
delle forniture d’uranio verso i paesi europei e non
solo. Questo scoprirebbe un nodo di fondamentale
criticità, ovvero il fatto che le sanzioni europee
non potranno colpire la Russia sull’industria
nucleare, dalla quale i paesi di Bruxelles si
ritroverebbero a dipendere dall’oggi al domani in
maniera critica.
Questo e altri fattori hanno alimentato i sospetti
che dietro il colpo di stato a Niamey ci fosse una
regia russa. Tuttavia, indipendemente da come sono
andati i fatti, il problema nucleare europeo permane
ed evidenzia analogamente a quanto osservato l’anno
scorso con il gas naturale quanto la catena di
approvigionamento non sia diversificata abbastanza
tanto da far fronte all’uscita di scena per un
motivo o per l’altro di uno dei paesi fornitori.
Quello che la Francia ha osservato negli ultimi anni
è una caduta libera della propria influenza in
quella che viene definita la Françafrique. Infatti
sia per un il fallimento clamoroso delle missioni
militari antiterrorismo francesi nell’area sia per
una generale insofferenza nei confronti
dell’Occidente, la retorica anti-francese si è
radicata sempre maggiormente tra la popolazione dei
paesi dell’area, andando a cancellare tutto il
capitale politico conservato da Parigi all’indomani
della decolonizzazione.
Una dimostrazione di quanto appena affermato è come,
non appena ricevuta la notizia dell’avvenuto colpo
di stato, i cittadini di Niamey siano scesi per le
strade a manifestare contro la Francia, oltre ad
assaltare l’ambasciata di Parigi nei giorni
successivi, e parallelamente a ineggiare alla Russia
e a Putin con tanto di bandiere russe per le strade
di tutto il Niger. Ciò a dimostrazione di come in
Niger, analogamente a molti altri paesi del Sahel,
la Russia venga percepita come principale
alternativa all’influenza neo-colonizzatrice
occidentale. Ciò sia per ragioni storiche, basti
pensare ai grandi investimenti che fece l’Unione
Sovietica nei confronti dei movimenti ribelli
durante la decolonizzazione, sia per ragioni
prettamente economiche, essendo Mosca molto attiva
negli investimenti nel continente nero da alcuni
anni a questa parte.
Lo schema viene ripetuto sempre nello stesso modo, e
se ne avuta la testimonianza già negli passati in
Republica Centrafricana, Burkina Faso, Mali e
Guinea. Al di là delle singole motivazioni, se la
Francia è colpevole negli ultimi decenni di aver
mantenuto una presa decisa sulle economie e non solo
dei paesi che una volta furono sue colonie, pensare
alla Russia come liberatrice e portatrice delle
libertà a lungo desiderate è pura utopia ma
soprattutto pura follia.
Una delle possibilità che ancora aleggia a seguito
del golpe a Niamey è la possibilità dello scoppio di
un conflitto tra i vari stati dell’area. A poche ore
dall’annunciata presa di potere l’Ecowas,
l’organizzazione degli Stati dell’Africa occidentale
di cui anche il Niger è membro, ha fermamente
condannato le azioni dei militari, intensificando
sempre più nei giorni successivi la propria retorica
fino a paventare la possibilità di un intervento
armato per ristabilire l’ordine “democraticamente
eletto”. A queste affermazioni è seguita la risposta
di Tchiani, il quale ha parlato di un piano
d’invasione premeditato da parte dell’Occidente e ha
anche affermato che qualora gli Stati dell’Ecowas
tentino l’invasione il presidente Bazoum e alcuni
ministri del precedente governo verrebbero
giustiziati immediatamente.
Ciò dimostra molto efficacemente quanto
l’instabilità del Sahel, oltre a essere una tragedia
per le popolazioni locali, rientra in un gioco molto
più ampio che influenza le dinamiche di tutto
l’ordine internazionale. Lo scenario che si andrebbe
delineando quindi è quello di un conflitto tra due
coalizioni di stati africani, quelli “filo-russi”
(Mali, Niger, Burkina Faso e forse Guinea) e quelli
“filo-occidentali” (i rimanenti stati dell’Ecowas).
La Guinea è in forse poiché, sebbene anch’essa abbia
subito un colpo di stato di natura anti-occidentale,
la sua posizione geografica limita molto il suo
campo d’azione, essendo isolata dagli altri alleati
nella zona. In Mali e in Burkina Faso la situazione
è differente, essendo qui instauratesi negli ultimi
anni giunte militari in aperta collaborazione con
Mosca, e in particolare con le milizie mercenarie
della Wagner. Proprio in virtù di questa comunanza
d’interessi, le giunte di Mali e Burkina Faso hanno
già risposto alle minacce dell’Ecowas che un
intervento in Niger equivarrebbe a una dichiarazione
di guerra e che ciò provocherebbe una risposta
militare analoga.
Da questa vicenda si può evincere come l’Africa
Sub-Sahariana sia diventata un teatro di uno scontro
per procura più ampio tra le maggiori potenze a
livello internazionale. Infatti sia la Francia sia
l’Unione Europea stanno assistendo a un arretramento
costante e inesorabile della propria influenza nel
Sahel, senza che siano messe in atto delle azioni
curative per prevenire un ulteriore deterioramente
delle relazioni con i paesi ivi presenti. Ancora,
l’ignavia dei paesi occidentali sta portando via via
sempre più paesi appartenenti anche ad altre aree
del continente africano nelle braccia dei sempiterni
nemici dell’Occidente: Russia e Cina.
La portata internazionale dell’eventuale intervento
in Niger è testimoniata da come il Regno Unito abbia
annunciato che sosterrà l’Ecowas qualora decida di
entrare in Niger. Sul possibile coinvolgimento
manu militari della Francia non vi è neanche da
metterlo in dubbio. Se si avrà l’intervento militare
o meno, solo il tempo lo potrà mostrare. A seguito
di questa vicenda l’Ecowas si è dimostrata
un’organizzazione internazionale non così influente
come avrebbe voluto, non riuscendo a mostrare
un’immagine coesa dei propri membri e soprattutto
non avendo il tatto politico di ciò che accade in
seno ai propri stati firmatari. Già il fatto che si
potrebbe prospettare una guerra civile interna all’Ecowas
ne decreterebbe la prematura fine prima ancora di
aver contato qualcosa dal punto di vista
internazionale.
Un’analisi a parte andrebbe fatta su come il colpo
di stato in Niger sia stato trattato dai media
internazionali. Infatti sin dalle prime ore si è
avuta una copertura mediatica quasi completa degli
eventi, insistendo spesso sulla gravità del golpe e
sul fatto che fosse stato deposto un presidente
democraticamente eletto. Al di là della cacofonia
che il termine democratico possa avere riferito alle
elezioni di Bazoum, è come se il mondo intero si
fosse ricordato improvvisamente dell’esistenza del
Sahel. Ciò tuttavia non si è visto quando qualche
anno fa i governi di Mali, Burkina Faso, Guinea e
Sudan venivano rovesciati a favore di giunte
militari altrettanto efferate e le relative notizie
venivano poste nei notiziari in seconda serata.
Un esempio più recente fra tutti è il Sudan,
annunciato con tanto scalpore ma poi con eguale
velocità dimenticato. La guerra civile è ancora in
corso, ma il mondo sembra già essersi dimenticato di
dove si trovi Khartum sulla cartina geografica. La
tendenza dei media quindi sembra essere cambiata
tutta d’un tratto da quel 26 luglio. Le ragioni
potrebbero essere molteplici, ma tendenzialmente
riconducibili a due filoni.
Il primo è alimentare la narrazione sempre più
presente delle “democrazie contro dittature”,
potenziata prepotentemente dall’inizio della guerra
in Ucraina in poi e ora applicata a ogni situazione
di crisi internazionale. Probabilmente figlia di
quell’esigenza di far sentire una parte del mondo
“nel giusto”, poco ci si sofferma su cosa voglia
dire “democraticamente eletto” e soprattutto a quale
contesto sia applicata tale dizione, come in una
semplificazione ai minimi termini in modo da
descrivere fenomeni complessi con parole fruibili
all’opinione pubblica mondiale. Della serie, anche
il presidente Mubarak era democraticamente eletto
dal popolo egiziano, eppure si è sempre stentato a
definire l’Egitto di allora una democrazia compiuta.
Ma questo fino al 2011 alla comunità internazionale
ha interessato molto poco a quanto pare.
Il secondo filone è quello più pragmatico se
vogliamo, il quale è ricondotto alla crisi
anti-occidentale che sta attraversando il Sahel.
Infatti le cancellerie occidentali sono ben consce
di quanto la propria influenza si stia sgretolando
in questa parte del mondo, e attirare l’attenzione
sul colpo di stato in Niger potrebbe essere un
tentativo estremo di mobilitare l’opinione pubblica
mondiale nel favorire o quanto meno nel non
interferire contro un intervento armato che
riporterebbe “l’ordine democraticamente eletto” al
potere a Niamey. Questo nell’ottica ancora più ampia
per ricordare al pubblico come l’impero del male
odierno, costituto fondamentalmente da Cina, Russia
e alcuni stati del Sud Globale, non sia benevolo e
democratico ma solo interessato alla conquista e
alla supremazia. Come se negli ultimi 150 anni gli
stati europei abbiano fatto qualcosa di diverso.
Probabilmente questo dimostra banalmente come
l’Occidente si ostini ancora oggi a non comprendere
il resto del mondo, sentendosi superiore per valori
e status sociale e arroccandosi sempre più in una
torre d’avorio morale che fa sempre più fatica a
stare in piedi. Il risultato di questo processo è
davanti agli occhi di tutti: un’opinione pubblica
globale sempre più avversa alle policies
occidentali e sempre più ostile ad avvallare
politiche che solo qualche anno fa sarebbe passate
in sordina come nulla fosse.
In conclusione, gli avvenimenti in Niger delle
ultime settimane mostrano come lo scenario politico
del Sahel sia in continua evoluzione e come gli
equilibri del potere siano più labili di quanto si
possa pensare. I colpi di stato in Africa sembrano
essere ormai una routine negli ultimi anni, ma ciò
non deve far dimenticare che chi ne subisce le
conseguenze sono in primis le popolazioni locali.
Che si insedino governi filo-occidentali o
filo-russi, il risultato è il medesimo:
l’accrescimento della tensione nell’area che porta a
un sempre più fragile equilibrio. Analogamente a
quanto testimoniato dalla lancinante guerra in
Ucraina dell’ultimo anno e mezzo, è bene ricordare
che questi equilibri non sono eterni e che basta la
follia di un istante per portare intere nazioni
nell’oscuro baratro della guerra senza quartiere. |