moderna
QUO NON ASCENDET?
NICOLAS FOUQUET: IL SOVRINTENDENTE DELLE
FINANZE CHE OSCURAVA IL RE SOLE
di Daniela Tedone
Il 9 marzo 1661, all’alba, moriva Giulio
Mazzarino. Reggente del monarca infante
Luigi XIV, il cardinale era stato il più
ricco e potente uomo della Francia del
suo tempo. Acuto nella politica, abile
nelle relazioni, spregiudicato negli
affari, era stato in grado, da straniero
di bassa estrazione sociale, di
raggiungere le vette del potere e
conservarlo negli anni burrascosi della
Fronda, orchestrando la politica europea
al fianco della regina madre Anna
d’Austria.
Negli anni, aveva accumulato una
straordinaria fortuna, conducendo nei
suoi palazzi una vita principesca, di
tenore ben superiore a quella del re, di
cui si preoccupò di allungare l’infanzia
quanto più possibile, riservando solo
gli ultimi anni della sua vita alla
formazione del futuro monarca e, di
fatto, gestendo il potere sino alla
morte.
Negli anni della Fronda, Sua Eminenza
aveva temuto profondamente di essere
annientato, politicamente e fisicamente.
Diffamato dalle mazarinades e
costretto all’esilio nel 1651 e
nuovamente nel 1652, mentre il suo
palazzo veniva assaltato al grido «A
morte l’italiano!», aveva però appreso
una lezione preziosissima, che gli mise
in mano il paese per tutti gli anni a
venire: per assicurarsi il potere,
solidamente, definitivamente, era
indispensabile non solo che fosse ricco,
ma che fosse il più ricco di Francia.
Così, nel 1653, aveva scelto di nominare
Sovrintendente delle Finanze Nicolas
Fouquet, tra i pochi a essergli rimasto
fedele durante gli anni delle eversioni
frondiste, «capace di trasformare
qualsiasi cosa toccasse in oro», il cui
operato si rivelò preziosissimo
nell’accumulazione di ingenti ricchezze,
mentre il sovrano non aveva uno scudo in
tasca.
«Non prendete Primo Ministro. Voi solo,
il padrone. Sorvegliate Fouquet»
sarebbero state le ultime
raccomandazioni del Cardinale al
monarca, che avrebbe obbedito fedelmente
al suo reggente anche a seguito della
sua dipartita. Il Sovrintendente delle
Finanze era stato tra i pochi, al
termine del Consiglio di Stato del 10
marzo 1661, il primo retto da Luigi XIV
in persona, a non mostrarsi preoccupato
dell’impronta assolutistica che il
sovrano sembrava determinato a conferire
alla politica, dichiarando espressamente
di voler governare personalmente gli
affari di Stato, raccomandando al
Cancelliere di non apporre sigilli se
non dietro suo ordine e ai Segretari di
non firmare nulla eccetto che su sua
disposizione.
Aveva altresì dichiarato espressa
volontà di non nominare alcun Primo
Ministro, ma questo non incrinò la
convinzione di Fouquet che sarebbe stato
proprio lui, presto, a essere insignito
di questo incarico. Era convinto che i
propositi di impegno politico del
monarca si sarebbero dissolti
velocemente e che tutto sarebbe presto
tornato alla normalità, previsione
condivisa dalla stessa Anna d’Austria,
che al termine del Consiglio aveva
espresso le proprie convinzioni in
merito alle dichiarazioni del figlio:
«Si stancherà presto di fare quello
capace!»
Del resto, nulla fece il monarca, che
dal Cardinale aveva finemente appreso
l’arte della dissimulazione, per
dissuadere Fouquet dalle proprie
convinzioni. Anzi, si dilettò a
rafforzarle, con premurose
rassicurazioni e incarichi
considerevoli, per continuare a
sfruttare le sue ineguagliabili abilità
finanziarie e rimpinguare il proprio
patrimonio personale con una rapidità
senza precedenti.
Eppure, la ricchezza, il prestigio e la
popolarità del re nulla avevano a che
vedere con quelle del Sovrintendente.
Nato a Parigi nel gennaio 1615, Nicolas
Fouquet apparteneva a una famiglia della
buona borghesia francese che,
arricchitasi con il commercio, si era
distinta nella noblesse de robe,
vantando un alto numero di consiglieri
nel Parlamento di Parigi ed entrando in
stretta collaborazione con gli uomini di
potere più rilevanti del tempo.
Il padre, Francois Fouquet, era entrato
nell’entourage del Cardinal
Richelieu, che durante il regno di Luigi
XIII aveva tenuto le redini del potere,
divenendone uno dei più stretti
collaboratori, e lo stesso Nicolas sin
da ragazzo entrò nelle grazie di
Mazzarino. Fu proprio lui a consigliare
al futuro Sovrintendente di
intraprendere gli studi in legge, in cui
peraltro il giovane si dimostrò
particolarmente capace, laureandosi alla
Sorbona con ottimi voti e divenendo un
abilissimo avvocato e giurista, e fu
sempre il Cardinale ad affidargli i
primi incarichi, che ricoprì
brillantemente.
Nicolas si distingueva per intelligenza
ed eleganza, raffinatezza nel gusto e
negli interessi e, non per ultimo,
ottime capacità relazionali. Era un uomo
di bell’aspetto, con cui era piacevole
conversare. Educato alla religione
cattolica, si distingueva per le sue
competenze versatili, che spaziavano
dalle discipline umanistiche, con la sua
ottima padronanza delle lettere e del
latino e la sua ampia cultura storica e
filosofica, alle scienze, con la sua
passione per la chimica, la biologia e
la botanica, abilità che gli furono
preziose per curarsi con medicamenti a
base di erbe durante la sua prigionia.
Non mancò di appassionarsi alla
geografia e all’astrologia Si pensi che
nella biblioteca della sua residenza di
Saint-Mandé erano raccolti oltre
quindicimila volumi.
Non meno importante, Nicolas amava
l’arte e fu un grande mecenate e
scopritore di talenti. Appena
ventiseienne, aveva acquistato le terre
del viscontado di Vaux che, all’epoca,
constava di una fortezza feudale
diroccata con una fattoria, un parco e
alcuni villaggi, dove commissionò la
costruzione del suo meraviglioso
castello, progettato dall’architetto
Louis Le Vau, in futuro conosciuto come
l’ideatore dello stile Louis XIV.
Ancora oggi possiamo ammirare la
magnificenza di Vaux-le-Vicomte, tra i
palazzi più prestigiosi nonché la più
grande proprietà privata di Francia.
Cinti da un signorile cancello nero in
ferro battuto, i meravigliosi giardini
di Vaux, gremiti di canali, laghetti,
cascate e fontane, accolgono il maestoso
castello realizzato quasi interamente in
pietra rosata e ocra di Creil.
Abbracciato da fossati con ponti
levatoi, il palazzo è preceduto da un
cortile d’onore attorniato da statue
mitologiche. Ha un corpo centrale
tondeggiante sovrastato da una grande
cupola in ardesia grigia e quattro
padiglioni ai lati. Sul frontone di
ingresso, in cima a tre grandi porte, è
scolpito il blasone dei Fouquet: uno
scoiattolo nell’atto di arrampicarsi,
simboleggiante l’abilità nell’ascesa
della famiglia. Gli interni, lussuosi,
eleganti, aggraziati, sono gremiti di
affreschi di Charles Le Brun e sul
soffitto di alcune camere viene esibito
il motto «Quo non ascendet?»,
ovvero «Dove non salirà?», affiancato
allo scoiattolo e all’iniziale della
famiglia.
In questo castello, il 17 agosto 1661,
si tenne una delle più illustri feste
della storia, quella che il
Sovrintendente delle Finanze organizzò
in onore del re di Francia, tanto
maestosa e stupefacente da lasciare il
sovrano attonito, livido di invidia.
Voltaire dirà nei suoi scritti: «À
six heures du soir, Fouquet était le roi
de France, à deux heures du matin il
n’était plus rien [Alle sei di sera,
Fouquet era il re di Francia, alle due
del mattino non era più nulla]».
Luigi XIV quella sera ammirò tutte le
meraviglie di cui Versailles era
sprovvista, e a cui si ispirò per la
ristrutturazione della reggia: curati
giardini, acqua, fontane, opere d’arte
meravigliose, arredamenti lussuosi,
servizi di piatti e posate pregiati,
raffinata argenteria e tovaglie e
tovaglioli veneziani. Durante la cena,
nella suggestiva atmosfera creata
dall’orchestra, vennero servite
prelibatezze culinarie uniche e proprio
in quell’occasione fu inventata la crema
chantilly. Seguirono la messa in scena
di una commedia di Molière e persino i
fuochi d’artificio, che il sovrano
ammirò, sentendosi meravigliato e
umiliato allo stesso tempo.
Si è sostenuto, erroneamente, che la
festa avesse causato la rovina del
Sovrintendente, in realtà decisa già da
tempo. Sicuramente, però, l’episodio
consolidò la risolutezza del monarca in
questo proposito. Il 5 settembre 1661,
nella piazza principale di Nantes,
Nicolas Fouquet veniva arrestato per
ordine del re.
«Ma signor D’Artagnan, sono proprio io
quello che volete?» avrebbe replicato
incredulo. Eppure era stato avvertito. I
suoi più fedeli amici, i consiglieri, i
segretari, gli artisti e le sue
affezionate amanti lo avevano messo in
guardia circa il complotto ordito dal re
insieme a Colbert, fidato intendente di
Mazzarino fino alla sua morte, che era
stato raccomandato al re direttamente
dal Cardinale.
Da mesi, i due tramavano contro il
Sovrintendente, nel comune intento di
sottrargli ogni incarico e sequestrare
le sue fortune economiche. Si mostravano
affabili nei suoi riguardi, con
allusioni continue alla fiducia che il
sovrano riponeva in lui e con
ingannevoli rimandi a una prossima
assegnazione della carica di Primo
Ministro, e, nel frattempo,
pianificavano la congiura nel dettaglio,
riuscendo persino a persuaderlo a
vendere la propria carica di procuratore
generale del Parlamento di Parigi, che
prevedeva, in caso di messa in stato
d’accusa, che venisse deferito dinanzi
al Parlamento e giudicato dai suoi pari.
Così, Fouquet sarebbe stato giudicato da
una Camera di giustizia composta da
uomini scelti direttamente da Colbert.
La sera dell’arresto, il sovrano scrisse
una lettera alla madre, chiarificatrice
del movente del suo operato: «Sono molto
contento che vedano che non sono
così sciocco come pensavano e capiscano
che la cosa migliore da fare è legarsi a
me».
Si trattava di una delle tante scelte
propagandistiche del Re Sole, l’artefice
di una delle macchine pubblicitarie più
complesse e ben riuscite della storia,
che restituì al mondo la magnificenza di
una Francia in realtà sul continuo orlo
della bancarotta e di un sovrano potente
e assoluto in realtà decisamente più
povero del suo Sovrintendente delle
Finanze, impegnato nella costante
urgenza di intessere una rete
clientelare che gli garantisse
influenza.
Perciò Fouquet era stato arrestato
pubblicamente, proprio nella piazza di
Nantes, tra le più importanti città per
i suoi affari, dove era conosciuto e
stimato. La sua famiglia e la sua
copiosa rete di conoscenti caddero
rovinosamente in disgrazia; chi perse le
proprie cariche, chi fu costretto al
domicilio coatto, chi fu imprigionato.
Pochi riuscirono a fuggire. La Corona
sequestrò tutti i beni della famiglia
Fouquet e non risparmiò quelli dei loro
amici.
Colbert, che presto assunse l’incarico
lasciato vacante dopo l’arresto di
Nicolas, orchestrò sapientemente una
campagna diffamatoria contro l’ex
Sovrintendente, accusandolo della
precarietà economica della Francia e
attribuendo alle sue ruberie la povertà
del popolo di Francia. Se è vero che gli
affari di Fouquet non furono sempre
limpidi, è ancor più vero che non lo
erano meno di quelli di tutti gli altri
funzionari del regno, Colbert in testa.
Il risultato, in un primo momento, fu
raggiunto: durante i viaggi di
trasferimento del detenuto, il popolino
inveì contro Fouquet e ne reclamò
l’impiccagione, ma, con il passare dei
mesi e l’emergere dei falsi, delle
omissioni, delle anomalie e degli abusi
messi in atto dal re e dai suoi
funzionari, cambiò opinione schierandosi
a favore del Sovrintendente e
condannando l’atteggiamento persecutorio
assunto nei suoi riguardi.
Nonostante tutto l’impegno posto in
essere da Colbert nella raccolta delle
prove, nella creazione di falsi, nel
rendere impossibile la difesa
dell’imputato e, non meno importante,
nella scelta dei membri della Camera di
giustizia deputata a giudicare sulla
vicenda, i magistrati non si
pronunciarono a favore della pena
auspicata dal re e dal suo nuovo
Sovrintendente delle Finanze: la pena di
morte. Accusato di malversazioni e
crimini contro il servizio di Sua
Maestà, peraltro scoprendo i capi di
accusa a ridosso del processo, Fouquet,
supportato dalla famiglia e dai molti
sostenitori, riuscì ad affrontare
brillantemente il processo. Consapevoli
delle gravissime conseguenze personali
cui andavano incontro, e che non
mancarono di verificarsi, tredici
giudici su ventidue si pronunciarono a
favore del bando perpetuo dal reame e
del sequestro dei beni, ricusando
l’auspicata pena di morte. Ma la vicenda
avrebbe assunto una piega imprevista.
«È senza dubbio il solo esempio nella
storia dell’esercizio del diritto
sovrano di grazia esercitato nel senso
opposto, cioè con l’aggravamento della
pena», dichiarò Mongrédien. Infatti, a
seguito del pronunciamento dei giudici,
il monarca si consultò con Colbert e
decise di avocare a sé la sentenza,
commutando la pena dal bando
all’ergastolo.
Nicolas Fouquet fu rinchiuso a vita
nella fortezza di Pinerolo, dove pare
che morì nel 1680, anche se non fu mai
rinvenuto l’atto del suo decesso. Dato
il suo prestigio, la sua posizione a
corte e le sue conoscenze, si ipotizzò
che potesse essere lui, custode di molti
segreti, l’uomo celato dietro la
leggendaria maschera di ferro.
Ciò che è certo è che trascorse il resto
della sua esistenza in un’angusta cella
senza finestre, lontano dalla bellezza e
dalle arti che tanto aveva amato, mentre
il sovrano, oltre che dei suoi beni, si
appropriò dei suoi artisti. I creatori
del magnifico castello di Vaux, Le Brun,
Le Nôtre, Le Vau, La Quintinie, Mignard,
Vatel e persino Molière saranno
costretti a occuparsi delle residenze
del re, realizzando i fasti di quello
che diverrà tra i più celebri palazzi
reali al mondo: la reggia di Versailles.
Riferimenti bibliografici:
Campbell P. R., Luigi XIV e la
Francia del suo tempo, il Mulino,
Bologna 1997.
Dumas A., Le Vicomte de Bragelonne,
1848.
Dumas A., Luigi XIV e il suo secolo,
Borroni e Scotti, Milano 1856.
Gerosa G., Il re Sole. Vita privata e
pubblica di Luigi XIV, Mondadori,
Milano 1998.
Mazzarino G., Breviario dei politici
secondo il cardinale Mazzarino, a
cura di G. Macchia, Rizzoli, Milano
1981.
Morand P., Il Sole offuscato. Fouquet
e Luigi XIV. Potere e corruzione in un
ritratto di inquietante attualità,
Corbaccio, Milano 1996
Necci A., Re Sole e lo Scoiattolo.
Nicolas Fouquet e la vendetta di Luigi
XIV, Marsilio, Venezia 2013.
Voltaire, Il secolo di Luigi XIV,
Einaudi, Torino 1951. |