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N. 133 - Gennaio 2019 (CLXIV)

Il Cavaradossi delle Fosse Ardeatine

Nicola Stame l’uomo che decise di essere “uomo”

di Stefano Coletta

 

La mano dell’ufficiale dello stato civile del comune di Foggia, cav, Gustavo Vaccarella, corre lungo il registro delle nascite e riporta al numero 265, parte I, serie A la nascita di Nicola Raffaele Stame avvenuta alle ore 09.30 del 22 gennaio 1908. Anche se nella realtà il piccolo ha visto la luce l’8 gennaio, la ventiduenne mamma Lucia ha atteso alcune settimane prima di recarsi a denunciarne la nascita. È accompagnata da due testimoni: «Annibale Carta, di anni trentanove e di professione bracciante e Lorenzo De Capite, di anni quaranta, bracciante».

 

Il bimbo è il secondogenito; quattro anni prima la madre ha partorito una bimba a cui aveva dato il nome Teresa. Entrambi sono figli di padre sconosciuto, oggi si direbbe di “ragazza madre”, E del resto la stessa Lucia non aveva conosciuto il padre.

 

La casa natale è un sottano, sita in via la Spiga n.14, una traversa di Piazza Vincenzo Lanza, il cuore pulsante della città. Dopo la dichiarazione di nascita, la giovane madre si reca dal parroco per fare battezzare il piccolo Nicola Raffaele e, dopo varie insistenze, ottiene dal parroco Consalvo Braccia, della Chiesa di Gesù e Maria, di Foggia, la data del 28 gennaio.

 

Qui cresce il giovane Nicola E man mano che diventa uomo sente il peso della città, dove «la plebe è ineducata » – secondo i ricordi dello storico Romolo Caggese, durante il suo viaggio del 1905 – « qualche volta triviale, quasi sempre maestra di finzioni e di inganni. Mentre le classi privilegiate, gli uomini di buona fama, addormentati fra agiatezze e intente ad accumulare tesori, hanno smarrito ogni senso di vita intellettuale e quindi ogni sentimento del bello e dell’arte. Quando lasciate Foggia, pare di esservi liberati di un peso soffocante ».

 

All’età di quattordici anni, nel 1922, Nicola risulta iscritto, per la seconda volta, alla classe prima del Regio Istituto Industriale Saverio Alatamura. Questa volta viene promosso, anche se deve riparare a settembre due materie: plastica e officina di aggiustaggio. Non è dato sapere se ha conoscenza delle sue doti canore.

 

Sappiamo, per certo, che due anni dopo, all’età di sedici anni decide di abbandonare Foggia, per questo si reca a Napoli, dove compra un biglietto di terza classe, con i soldi racimolati dopo svariate rinunce e sacrifici, e s’imbarca per l’Argentina. Vi giunge dopo una lunga traversata. Viene destinato, insieme al resto dei passeggeri di terza classe all’Hotel de immigrantes, un edificio di quattro piani, lungo cento metri e largo ventisei, dove vengono ammassati tutti gli emigranti in attesa di assolvere le varie incombenze burocratiche.

 

Quattro anni dopo la patria lo chiama e lui, da bravo figlio, rientra in Italia, la trova cambiata e, soprattutto, fascistizzata; decide di chiedere la ferma di sei anni, in qualità di aviere volontario, con obbligo di volo.

 

Il 18 febbraio 1927, ovvero il quinto dell’Era fascista, viene incorporato nell’Aviazione, il suo numero di matricola è il 11132. Subito dopo viene inviato alla scuola di pilotaggio di Capua, centro di addestramento dell’Accademia Aeronautica di stanza a Caserta. Segue l’8° corso motoristi e alla fine risulta 178° su 355 allievi.

 

Terminata la parte teorica, viene assegnato, il 25 agosto dello stesso anno, all’aeroporto militare di Capodichino per svolgere un periodo di pratica. Vi rimane tre mesi. Al termine viene inviato a Napoli, dove sostiene l’esame e consegue il brevetto di pilota, consegue la votazione 13,327, che gli permette di mettere lo stemmino di aviere scelto.

 

Dal 1 febbraio 1928, prende servizio a Capodichino, dove rimane fino al maggio del 1932, quando viene trasferito presso il 26° Gruppo Autonomo di stanza all’aeroporto di Ciampino Nord. Qui, secondo le dichiarazioni dei suoi familiari, viene invogliato a studiare canto. Tanto che nel febbraio 1933, mentre in Europa dilagano le fiamme della guerra, Nicola sveste la divisa di aviere per il canto.

 

Mentre studia canto conosce Lucia, una giovane diciasettenne emiliana, venuta a Roma, anche lei per studiare canto, ma che a causa della lesione delle corde vocali, riportata durante l’operazione per l’estrazione delle tonsille, ha dovuto rinunciare. Nicola, invece, grazie alla dote naturale del timbro riesce in poco tempo a ottenere le prime audizioni che gli consentono di calcare le scene e di ottenere degli apprezzamenti.

 

Nel dicembre 1934, gli giunge una lettera con la quale la madre gli comunica che ha abbandonato Foggia, insieme alla sorella Teresa, per recarsi a Cosenza, dove gestirà un albergo, insieme al suo nuovo compagno. È contento per lei, mentre lui s’immerge nella nuova esperienza lavorativa e si dedica alla famiglia e alla primogenita Rosina, nata il 15 dicembre 1937, a Roma.

 

L’anno dopo, l’11 marzo nasce Alessandra. La coppia decide di cercare una casa più grande e la trova al 101 di via dei Volsci, nel cuore del quartiere San Lorenzo. Nicola ha ottenuto dei successi e sta diventando famoso, tanto che gli propongono di girare un film musicale di velata propaganda fascista. Ma il cantante declina la proposta perché ha maturato un rigetto nei confronti del regime, soprattutto, a seguito dell’emanazione delle leggi razziali.

 

La sua fortuna gli permette di chiamare la madre e la sorella a Roma, dal momento che il rapporto con il nuovo compagno è naufragato. Le due donne vanno ad abitare nell’appartamento sopra quello di Nicola. La moglie Lucia, grazie alle sue competenze matematiche, diventa amministratrice di tre stabili. Insomma la ruota sembra essersi fermata sulla voce fortuna, ma le frequentazioni con antifascisti fanno finire Nicola nel mirino dell’OVRA.

 

Nell’agosto del 1939 Nicola viene scelto per sostenere la parte di Calaf, il principe ignoto della Turandot di Giacomo Puccini. La prima è prevista a metà mese, alle Terme di Caracalla, per cui ogni giorno il giovane cantante si reca al Teatro Reale dell’Opera di Roma per provare, accompagnato al pianoforte dal maestro Fausto Ricci. Proprio durante le prove, un pomeriggio, entrano in sala gli agenti dell’OVRA. Il pianista stoppa la musica, un funzionario della Polizia segreta chiede di esibire la tessera del partito fascista, il cantante risponde di non essere iscritto e che non ravvisa alcun motivo per farlo.

 

Risposta irriverente e anche pericolosa dato i soggetti che si trova dinanzi, ma «Mio padre era così » ricorda la figlia Rosetta « intransigente, inflessibile rispetto ai valori nei quali credeva. In famiglia, sul lavoro… figurarsi coi fascisti». In realtà ce l’ha, solo che l’ha lasciata a casa, se non avesse usato quel tono, sicuramente, se la sarebbe cava con una ramanzina, invece viene prelevato e condotto a Regina Coeli, dove apprende dell’occupazione di Danzica da parte dei nazisti e intuisce che è l’inizio della guerra a livello europeo.

 

Rimane in carcere per due mesi, viene rilasciato giusto in tempo per partecipare alla rappresentazione della Tosca, altra opera di Giacomo Puccini, che si svolge il 7 novembre presso il Circo Massimo. Sul manifesto compare in grassetto come Ugo Stame, nomignolo datogli dalla moglie. Il suo ruolo è quello di Cavaradossi, sostenitore della Repubblica Romana fatto giustiziare dal Barone Scarpìa.

 

Nicola sa che questa è la sua ultima esperienza teatrale presso i teatri regi, a seguito del suo comportamento, che l’ha fatto schedare come «pericoloso sovversivo» e pertanto sottoposto a sorveglianza politica. Da questo momento ogni suo spostamento è sorvegliato, le sue partecipazioni a rappresentazioni liriche sono oggetto di analisi delle forze di polizia e ogni qualvolta deve spostarsi per lavoro, la polizia segnala al comando di destinazione il suo arrivo.

 

È anche consapevole, alla luce delle seguenti decisioni di Mussolini, ovvero riportare a quarantotto ore la settimana lavorativa, per esigenze belliche, e chiedere al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Graziani di preparare un milione di uomini per la guerra, che anche lui dovrà tornare a vestire la divisa. Non sa che tale ordine è già stato diramato, il 9 settembre, mentre era recluso a Regina Coeli in attesa di indagini, ma l’Ufficio Politico della Regia Questura di Roma ha inviato una nota «riservata e urgente» al Centro di reclutamento e mobilitazione 3° ZAT (Zona Aerea Territoriale), presso la Caserma Cavour di viale Giulio Cesare.

 

La lettera, firmata dal questore e protocollata con numero 07298, recita «Oggetto: Stame Nicola, sergente motorista richiamato alle armi. Risulta che il nominato Nicola Stame, sergente motorista, è richiamato alle armi con l’obbligo di presentarsi all’Ufficio di Mobilitazione presso codesta Caserma. Premesso questo sopra informo che lo Stame trovasi rinchiuso nelle locali carceri, a disposizione di questa Regia Questura in attesa di indagini».

 

Nel frattempo, Nicola continua la sua carriera, il 18 e il 19 aprile partecipa a Bergamo alla rappresentazione della Tosca, di Giacomo Puccini, insieme con la soprano Lina Bruna Rasa, stella della lirica italiana e interprete preferita da Mascagni per le sue opere. È un successo come si legge su La Voce di Bergamo, il cui articolista scrive: « Accanto alla soprano s’è fatto apprezzare il tenore Nicola Ugo Stame, nel ruolo di Mario Cavaradossi. Giovane d’anni e di scena, questo cantante, salvo qualche incertezza nell’emissione della voce, ha avuto momenti felici e ha infilato con bella disinvoltura i registri più alti. Un applauso scrosciante lo ha salutato a scena aperta dopo la famosa romanza del terzo atto “E lucevan le stelle” che ha dovuto bissare per le richieste insistenti (e ci sembra poco riguardoso nei confronti di Bruna Rasa che era già entrata in scena) di una parte di pubblico».

 

Un mese dopo, l’Ufficio di Stato Maggiore dell’Aeronautica, con disposizione n. 51180, invita Nicola Stame a presentarsi presso il Gruppo Autonomo di Volo 3° ZAT di Centocelle Nord, il 27 maggio l’ex sergente maggiore è riammesso in servizio «per merito di guerra a decorrere dalla data del 22 maggio 1939».

 

Quali sono i meriti a cui fa riferimento il dispositivo non è chiaro, a meno che non si voglia dare credito alle affermazioni dei familiari che sostengono che Nicola partecipò alla guerra in Spagna, meritando la croce di ferro, anche se non risulta alcun accenno nei documenti esistenti.

 

Il suo ritorno alle armi, determina la segnalazione da parte della Legione Territoriale dei Regi Carabinieri di Roma - Tenenza di Prati al Comando del I° Reggimento Avieri, del «Vigilato politico Stame Nicola» allo scopo « di disporre la necessaria vigilanza da esercitare sul conto del vigilato politico in oggetto e di comunicare a questa Tenenza ogni utile notizia, nonché gli eventuali spostamenti», ma soprattutto si chiede a tutti gli uffici coinvolti che « l’interessato non deve venire, in nessun modo a conoscenza di quanto si conosce a suo carico, né della vigilanza».

 

Mentre la vigilanza s’attiva, le onde superficiali della storia vedono il Duce affacciarsi da Palazzo Venezia e tenere il seguente discorso: « Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria. L’ora delle decisioni irrevocabili. La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Vi. ncere! E vinceremo!». È la guerra! Un atto necessario per potersi sedere al futuro tavolo della pace, dal momento che il Duce è convinto che ormai ha trionfato la croce uncinata, ma non ha fatto i conti con le forze alleate.

 

Il 19 giugno Nicola viene trasferito al Regio Aereoporto di Foligno, dove ha sede una scuola di addestramento per caccia bombardieri e per caccia intercettori. A fine agosto rientra a casa, per conoscere la terzogenita Teresa, nata il 28 agosto. Nel frattempo matura la decisione di continuare a cantare, nonostante non lo potrà più fare nei teatri regi. Infatti, il 15 settembre, al Teatro Vittoria, nel cuore di Testaccio, s’esibisce nel Rigoletto nella serata conclusiva della Grande stagione lirica.

 

Il Popolo di Roma l’indomani pubblica la seguente recensione: « Il popolare Rigoletto non poteva ricevere accoglienza più trionfale di quella manifestatagli dal pubblico che gremiva il teatro Vittoria. Alla romanza Questa o quella per me pari sono il tenore Nicola Stame, che il pubblico ben ricorda per la indimenticabile rappresentazione di Tosca al Circo Massimo, ha emesso le prime note della sua bella voce con quell’animazione e quel garbo che gli sono propri. Nel duetto con Gilda (la soprana Magda Santini) e nella famosa “La donna è mobile” la sua vera altezza d’interprete s’è rivelata in pieno».

 

Il 1 ottobre 1940 partecipa a Foligno, dov’è d stanza come aviere, nella Bohème riscuotendo un successo, come testimonia Il Giornale d’Italia: «Appena si presenta il tenore Nicola Stame la sala prorompe on un uragano di applausi con ovazioni, e ascolta attentamente l’interpretazione della romanza Recondite armonie della Tosca che viene sottolineata da un lunghissimo applauso che sembra non avere fine». Ad apprezzarlo, in prima fila, ci sono anche gli ufficiali dell’aeronautica che apprezzano il sergente maggiore a tal punto da voler replicare la serata a fini benefici.

 

L’8 ottobre ottiene un nuovo successo a Terni, a riguardo il Popolo di Roma riporta « La variante degli esecutori annunciati prima di andare in scena, dopo la prima sospensione da parte del pubblico, s’è trasformata in ampia e aperta simpatia per il giovane tenore Nicola Stame, uomo d’indubbio valore artistico e dalla magnifica voce. Dopo la buona interpretazione del Lamento di Federico da l’Arlesiana, che ha strappato al pubblico vivi applausi, lo Stame è stato festeggiatissimo in ogni tornata, tanto che un poco restio nel ripetere l’Arlesiana ha dovuto bissare con la soprano Eleonora De Angeli e lucevano le stelle di Tosca. Dello Stame oltre la voce è stata notata anche la scena».

 

Grazie a questi successi Nicola viene trasferito il 22 febbraio presso il Reparto del Ministero dell’Aeronautica a Roma, di stanza nella caserma Giovanni Romagnoli in via Frentani, e da qui invia un promemoria al suo Comando Militare che recita: «Il sottoscritto Stame Nicola, in servizio presso la Direzione Generale delle Costruzioni e degli Approvvigionamenti, si permette di far presente che prima di essere richiamato alle armi esercitava la professione di tenore lirico. In tale qualità ha cantato in vari teatri del Regno e a concerti di beneficenza come da accluse recensioni. Pertanto ove lo si creda opportuno il sottoscritto è a completa disposizione per prendere parte a manifestazioni artistiche in onore dei feriti di guerra che eventualmente venissero organizzate dal Ministero dell’Aeronautica».

 

Il Capo di Gabinetto del Ministero accolse con piacere la lettera e la inoltrò alla Direzione in cui presta servizio, con preghiera di facilitarlo «concedendogli adeguati permessi per la necessaria preparazione ed esecuzione dei concerti».

 

Man mano che diviene apprezzato, Nicola viene utilizzato non solo per concerti di beneficenza, ma anche per lavoro, infatti a dicembre è impegnato in una serie di repliche de «La Cavalleria Rusticana», a Roma, presso il Cineteatro Mazzini, sito nel quartiere Prati.

 

Oltre a cantare Nicola conosce Matteo e Giancarlo Matteotti, figli del deputato assassinato dal fascismo, i quali gli parlano del nascente Movimento Comunista d’Italia, meglio noto tra la popolazione romana con il nome di “Bandiera Rossa”.

 

Nicola decide di aderire, anche se ricorda la figlia Rosetta: «Mamma ha provato a dissuaderlo. Gli ripeteva sempre: ma tu hai famiglia, tre figlie, una carriera davanti a te, un grande avvenire artistico. Ma perché metti la politica davanti alla tua passione, alla tua arte». Nicola le rispondeva: «non è questione di politica, in questo momento il fatto è di essere uomini o non essere uomini».

 

Giunge il 1943 e la situazione politico militare del regime fascista è grave, la nazione è sotto attacco, vi sono continui bombardamenti, in varie città. Nicola continua a vivere la sua triplice vita: aviere, tenore e oppositore del regime, per il momento sfuggendo ai controlli del sistema di sicurezza attivato intorno a lui.

 

S’arriva all’8 settembre e allo sfascio della nazione che vede lo sbandamento dei militari, tra cui Nicola. Non fugge, come molti commilitoni, ma sceglie di rimanere e combattere i fascisti, per farlo sfrutta il suo grado, s’introduce con un autocarro, sottratto nella sede del Ministero dell’Aeronautica, presso la caserma di via dei Frentani presenta un ordine fittizio che lo autorizza a prelevare un ingente carico di armi e munizioni.

 

Non appena uscito dalla caserma si dirige verso il luogo dove si nascondono coloro che hanno deciso di combattere, scende e saluta il Capitano dei Granatieri Aladino Govoni e Tigrino Sabatini, operaio della Snia Viscosa, esponenti di spicco della resistenza. Distribuite le armi, gli viene assegnata la difesa della Cecchignola, la cittadella militare, quando i tedeschi la invadono e costringono i resistenti a ripiegare, si dirige a Porta San Paolo, nonostante sia ferito di striscio.

 

Nel frattempo, le autorità militari italiane e il comando tedesco firmano un accordo che stabilisce che le truppe tedesche rimarranno ai margini della città Eterna, mantenendo il controllo della stazione Radio e delle centrali telefoniche e inoltre il presidio presso l’ambasciata tedesca.

 

È un trucco per consentire ai mezzi corazzati di ammassarsi, al fine di aver ragione dei focolai di resistenza, infatti, l’11 settembre viene affisso l’ordinanza di Kesserling che dichiara l’intero territorio nazionale soggetto alle leggi di guerra tedesche.

 

Nicola veste i panni civili, ma non depone il suo impegno di partigiano, ottiene, dai dirigenti della “Bandiera Rossa”, il comando della 1° zona della città, quella che s’estende tra i quartieri di San Lorenzo, Tiburtino e Pietralata. La sua banda è composta da trenta persone. Nonostante sia un vigilato politico, Nicola non s’esime di mettere la sua casa a disposizione per eventuali riunioni. A riguardo ricorda Rosetta «c’erano questi uomini che entravano senza bussare alla porta, che rimaneva socchiusa. Si presentavano a intervalli uno dopo l’altro. La prima cosa che faceva mio padre era chiudere le tende alle finestre. Non che capissi gli argomenti delle loro discussioni, ma ricordo bene che cominciavano col parlare a bassa e poi, presi dal fervore del confronto, finivano per alzare i toni, si accaloravano. E allora c’era, sempre qualcuno che richiamava tutti a stare più calmi era pericoloso gridare, farsi sentire».

 

La lotta li assorbe totalmente, Nicola entra in contatto con il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, uno dei pochi graduati rimasti nella Capitali dopo la fuga di Badoglio ed entrato in clandestinità, in seguito all’occupazione nazista. Inoltre si prodiga di operare per collegare le bande armate e comitati politici tra loro, nell’intento di perseguire un fine comune.

 

Partecipa all’azione di distribuzione nei cinema di volantini inneggianti alla rivolta, l’azione riesce in parte, ma quattro partigiani vengono arrestati e condotti nella temutissima sede di via Tasso, non parlano, ma i delatori si e fanno i nomi di Ottavio Cirulli, Ezio Malatesta, Ettore Arena, Quirino Sbardella e Nicola Stame. Immediata la reazione, si compiono perquisizioni nelle case, si traggono in arresto quasi tutti, tra coloro che si salvano c’è anche Nicola, il quale decide di darsi alla clandestinità e imbraccia le armi partecipando a varie azioni contro i nazi fascisti.

 

Tra cui il tentativo di liberazione di alcuni partigiani, durante il loro trasferimento da via Tasso a Regina Coeli, purtroppo, fallisce miseramente, a causa della vicinanza del Quartiere Generale Tedesco. Nel frattempo, la banda Koch inizia a dargli la caccia, come al resto dei gappisti che compiono azioni in città. A rincuorare gli animi dei partigiani è lo sbarco, il 22 gennaio, ad Anzio, delle forze alleate.

 

Tutte le formazioni partigiane concordano circa la necessità di facilitare l’avanzata degli Alleati su Roma. Il ruolo di ufficiale di collegamento viene affidato a Nicola Stame. Il 24 gennaio Nicola rientra a Roma da Anzio e si dirige alla Latteria in via Sant’Andrea delle Fratte, dove i partigiani di Bandiera Rossa sono soliti riunirsi, al fine di relazionare ai propri capi sul colloquio avuto con gli ufficiali alleati.

 

Purtroppo una spiata fatta da un giovane aderente alla Decima Mas Mauro de Mauro, ha avvisato la polizia dell’incontro. Per questo motivo, non appena Nicola entra in città, inizia a essere seguito da alcuni poliziotti in borghese. Il tenore se ne rende conto e decide di non recarsi all’appuntamento, nella vana speranza di salvare i compagni. Giunto nei pressi della Scalinata di Trinità dei Monti, inizia a correre, viene inseguito e bloccato, grazie all’intervento di una pattuglia tedesca nei pressi di Piazza Mignarelli. Subito dopo viene condotto al commissariato di via Goito, dove viene rinchiuso insieme a un giovane trasteverino di nome Claudio Pica, in stato di fermo senza un’accusa precisa.

 

Il giovane ha una voce da tenore, ha già vinto un concorso canoro interpretando un successo di Carlo Buti, “Chitarella”, rimane colpito dai modi di Nicola: «un uomo dall’aspetto romantico e dalla voce calda e armoniosa da non poter essere che quella di un tenore». Il giovane altro non è se non il futuro “Reuccio” della Canzone italiana, alias Claudio Villa.

 

Nel frattempo, nella Latteria avviene un’irruzione che porta all’arresto di quasi tutto il gruppo di comando del Movimento Comunisti d’Italia. La notizia, tramite un vicino, casualmente, presente all’arresto, giunge alle 17 alla moglie. La sera le SS compiono una perquisizione allo scopo di trovare armi o materiale propagandistico, rimangono delusi e se ne vanno.

 

La moglie Lucia, l’indomani mattina si presenta a Regina Coeli, ma nessuno sa niente del marito. Decide di recarsi in via Tasso, sa bene che sarebbe inutile chiedere ai Tedeschi, pertanto s’apposta all’interno del negozio di un calzolaio in attesa che esca una giovane bionda, della zona di Bolzano, che svolge il ruolo d’interprete. Non appena la vede uscire, cerca di bloccarla, la ragazza accelera il passo, ha paura, ma Lucia continua a porle domande e a seguirla, fin quando la giovane interprete le urla contro « Uno di Bandiera Rossa. Vuole che uccidano anche me?».

 

Stame viene sottoposto, come il resto dei trattenuti del “luogo”, nome con cui i romani indicavano il, temutissimo, civico 155 di via Tasso, a molti interrogatori – secondo la testimonianza del colonnello dei Granatieri Alfredo Baroni – dai quali usciva malconcio per le percosse ricevute, ma senza aver parlato. Nel frattempo le operazioni della resistenza romana non si fermano, per cui i nazi-fascisti rispondono intensificando l’azione repressiva.

 

Il 22 febbraio Nicola Stame e altri cinque dirigenti di Bandiera Rossa vengono processati dal Tribunale di guerra germanico. La difesa è affidata ad Arturo Gottardi. Al termine la corte emette la sentenza di condanna a cinque anni di reclusione; l’avvocato dà comunicazione alla famiglia nel seguente modo: «vi comunico che vostro marito è stato condannato a cinque anni di reclusione. Compiacendomi con voi del buon esito della causa, vi comunico altresì che in un giorno a vostra scelta potrete avere un colloquio con vostro marito, attualmente detenuto nel carcere di Regina Coeli, III Braccio (tedesco)».

 

Il tenore giunge nel III braccio e decide che con il suo canto allieterà i compagni di detenzione, a riguardo dice a Roberto Guzzo le seguenti parole: « quando sentirai la mia voce cantare sarà il segnale del nostro saluto e del pensiero di noi tutti che ti stiamo vicini. Quella voce è la nostra anima, la nostra vita in lotta».

 

La stessa sera, continua Guzzo, intonò la prima romanza della Tosca: « la voce vibrò melodiosa. Man mano aumentava di volume, di tonalità, le note si alzavano riempiendo l’aria di dolcezza, i nostri cuori di passione. Lo ascoltavamo rapiti in religioso silenzio. Anche il burbero teutonico ascoltava in raccoglimento. Ogni sera quel canto gonfiava i cuori di tenerezza e beava le nostre anime di vagheggiato trionfo. Nemmeno le pene, nemmeno il martirio avevano potuto valere quel canto».

 

L’11 marzo Nicola viene prelevato e condotto in parlatorio, dove trova la moglie e le figlie. La moglie quasi non lo riconosce: è smagrito, ha la barba lunga e gli occhi infossati. Nicola si rivolge ad Alessandra e si scusa per non averle fatto il regalo per il suo compleanno che cade quel giorno». La guardia tedesca, comprende e procura una fetta di pan di spagna e la porta al tavolo, ma la bambina lo rimprovera «non voglio nulla da te che tieni qui dentro il mio papà».

 

Il colloquio termina subito dopo, prima di tornare in cella bacia la moglie e le bambine e le saluta. Prima di rivederle devono trascorrere due settimane.

 

Nel frattempo, le azioni dei partigiani diventano sempre più violente, come l’esplosione del 23 marzo a via Rasella che provoca 20 morti e molti feriti, di cui alcuni gravi. Immediata la risposta del Generale Malzer, comandante delle Truppe Tedesche a Roma; giunto sul posto alterato dal vino che ha bevuto a pranzo, grida: «Vendetta! Vendetta!».

 

A placare l’ira ci pensa Kappler che promette l’avvio immediato di un’inchiesta e di un’eventuale rappresaglia, idea che piace a Hitler, il quale chiede per ogni morto tedesco la fucilazione di trenta, anzi no di cinquanta italiani. Il generale Eberhard von Mackesen, comandante della XIV Armata, ritiene che il numero giusto è di dieci italiani per ogni tedesco morto in vi Rasella, suggerimento che trova il placet di Kesserling.

 

L’incarico di compilare la lista viene affidato a Kappler, il quale lo passa a Erich Priebke, costui prende i nomi di prigionieri condannati a morte o all’ergastolo, persone in attesa di giudizio, ebrei, prigionieri politici. Il problema è quello di reperire un elenco sufficiente di todeskandidaden (candidati alla morte). Per questo motivo si rivolge alla Banda Koch e a Caruso allo scopo di avere dei nomi, inoltre inizia a spulciare i registri di via Tasso.

Nella lista finiscono il professore di storia e filosofia Gioacchino Gesmundo, l’impiegato delle poste e partigiano Manlio Bordoni, il Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, Alacino Govoni, Uccio Pisino e anche Nicola Stame.

 

All’alba del 24 marzo, Kappler chiede che si faccia un conto del numero di cartucce necessarie per uccidere trecento persone e s’individui il luogo adatto, dove procedere con rapidità e sicurezza. Un graduato delle SS suggerisce una cava di pozzolana lungo la via Ardeatina, piena di gallerie.

 

Verso le sette i primi prigionieri vengono prelevati da via Tasso, ignari sperano di essere trasferiti a Regina Coeli, invece sono condotti alla cava. Alle undici anche nel terzo braccio di Regina Coeli i tedeschi, armi alla mano, iniziano uno strano appello che prevede l’uscita dalle celle dei prigionieri chiamati. Ad ognuno vengono legate le mani dietro la schiena e caricati a forza su dei camion telonati, nel cortile, dove sono ammassati i parenti dei reclusi venuti a visitarli, tra costoro c’è Lucia con le tre bambine, che rimarranno deluse di non poter effettuare il colloquio.

 

Nel frattempo, alle 15.30 i 335 martiri sono stati ammassati, Kappler chiede ai soldati del Bozen sopravvissuti di compiere il massacro, ma costoro si rifiutano, per cui delega ai suoi uomini, la consegna è di far inginocchiare i prigionieri, quindi sparare un colpo alla nuca. Tale modalità si rivela lunga e laboriosa, per cui dopo tre ore si decide di falciare i prigionieri con una mitragliatrice, finendo con un colpo i feriti. Motivo di tale decisione è dovuto al timore che la notizia della rappresaglia si sparga e vi sia un tentativo da parte dei partigiani di liberare i condannati a morte. Dopo cinque ore abbondanti, i tedeschi hanno terminato, ma prima di andare via fanno brillare l’ingresso della cava.

 

Il 25 marzo l’agenzia Stefani diffonde il seguente comunicato del comando tedesco:

« Nel pomeriggio del 23 marzo 1944, elementi criminali hanno eseguito un attentato con un lancio di bomba contro una colonna tedesca di Polizia in transito per via Rasella. In seguito a questa imboscata, 32 uomini della Polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti badogliani. Sono ancora in atto indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi a incitamento anglo-americano. Il Comando tedesco è deciso a stroncare l’attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti saranno fucilati. Quest’ordine è stato già eseguito».

 

Nel frattempo a casa Stame tutti temono per Nicola, soprattutto, in seguito al rifiuto di far effettuare il colloquio, l’avvocato Gottardi rassicura, come meglio può Lucia e le dice che cercherà di conoscere come sta. Nel frattempo, la notizia dell’eccidio si sparge tra le vie della Capitale, grazie ad alcuni testimoni, tra cui tre frati salesiani che udite alla sera le esplosioni, al mattino si recano sul luogo per comprendere cos’è accaduto.

 

Trovano gli accessi chiusi, ma riescono tramite un’apertura angusta a giungere nel carnaio. Ben presto tutta Roma parla della strage. Kappler per eliminare ogni prova ordina di far scaricare la spazzatura all’ingresso delle cave, in tal modo occlude l’ingresso e tenta di coprire l’odore nauseabondo dei cadaveri in decomposizione.

 

Il cuore di Lucia teme, ma non avendo certezze è combattuta, fino al 13 aprile quando arriva un telegramma recante il timbro e la firma delle SS, oltre a essere scritto in tedesco « Nicola Stame è morto il 24.03.1944. Eventuali oggetti personali da lui lasciati possono essere ritirati al posto di servizio della polizia politica tedesca in via Tasso n. 155».

 

Il 4 giugno il tenente colonnello John Pollock della V Armata americana sbarcata ad Anzio entra in Campidoglio, la città è liberata. Una delle priorità per il popolo romano è indagare sull’eccidio delle Fosse Ardeatine, per questo viene insediata una commissione composta da italiani e da militari alleati sotto la direzione del Dottor Attilio Ascarelli, docente universitario di medicina legale e zio di due vittime delle Fosse.

 

Il 26 luglio iniziano le operazioni di scavo e di riesumazione, a riguardo Ascarelli e scrive « dare un’idea e una descrizione rappresentativa di come si presentavano questi due carnai umani è cosa che io non so esprimere con adeguate parole. I corpi poco si vedevano, ma dal terriccio e dalla posizione intrisa dalla decomposizione del grasso cadaverico che amalgamava le salme emergeva qua un piede; là un paio di scarpe, là un teschio intero o frantumato, ora un arto ora un brandello di vestito».

 

Di ciascuna salma viene redatto un referto medico legale coadiuvato da altri esperti, segnando anche i minimi particolari, che potrebbero tornare utili per il riconoscimento, dal momento che si voleva « dare alle famiglie delle vittime il conforto di pregare sulla salma del caro congiunto, di spargere di fiori la sua bara, dar sfogo al dolore e al pianto». Nello stesso tempo ai parenti viene consegnato un questionario da compilare, per facilitarne l’identificazione.

 

Nicola Stame viene identificato come salma n. 124.

 

« Mia mamma ha voluto vedere il marito, dopo che il corpo è stato ricomposto per quanto possibile. Io l’ho sempre rimproverata di non avermi fatto dare l’ultimo bacio a papà. Solo dopo molti anni mi confessò che lo trovarono con il petto sfondato, una mano staccata e c’era una corda insanguinata ».

 

Venne costituito il comitato dei 320 presieduto oggi dalla figlia di Nicola Stame. Il 22 marzo gli viene riconosciuto il titolo di «partigiano combattente», ma soprattutto di uomo, che ha deciso di opporsi alla follia umana, ritenendo più che giusto agire e non rimanere nell’indifferenza, nell’interesse suo, della sua famiglia e dell’umanità intera.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Ascarelli A., Le fosse ardeatine, edizioni Anfim, Roma 2005.

Portelli A., L’ordine è già stato eseguito, Donzelli, Roma 1999.

Saracino L., Il Tenore Partigiano. Nicola Stame: il canto, la resistenza, la morte alle Fosse Ardeatine, Alegre, Roma 2015.



 

 

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