N. 133 - Gennaio 2019
(CLXIV)
Il Cavaradossi delle Fosse Ardeatine
Nicola
Stame
l’uomo
che
decise
di
essere
“uomo”
di
Stefano
Coletta
La
mano
dell’ufficiale
dello
stato
civile
del
comune
di
Foggia,
cav,
Gustavo
Vaccarella,
corre
lungo
il
registro
delle
nascite
e
riporta
al
numero
265,
parte
I,
serie
A la
nascita
di
Nicola
Raffaele
Stame
avvenuta
alle
ore
09.30
del
22
gennaio
1908.
Anche
se
nella
realtà
il
piccolo
ha
visto
la
luce
l’8
gennaio,
la
ventiduenne
mamma
Lucia
ha
atteso
alcune
settimane
prima
di
recarsi
a
denunciarne
la
nascita.
È
accompagnata
da
due
testimoni:
«Annibale
Carta,
di
anni
trentanove
e di
professione
bracciante
e
Lorenzo
De
Capite,
di
anni
quaranta,
bracciante».
Il
bimbo
è il
secondogenito;
quattro
anni
prima
la
madre
ha
partorito
una
bimba
a
cui
aveva
dato
il
nome
Teresa.
Entrambi
sono
figli
di
padre
sconosciuto,
oggi
si
direbbe
di
“ragazza
madre”,
E
del
resto
la
stessa
Lucia
non
aveva
conosciuto
il
padre.
La
casa
natale
è un
sottano,
sita
in
via
la
Spiga
n.14,
una
traversa
di
Piazza
Vincenzo
Lanza,
il
cuore
pulsante
della
città.
Dopo
la
dichiarazione
di
nascita,
la
giovane
madre
si
reca
dal
parroco
per
fare
battezzare
il
piccolo
Nicola
Raffaele
e,
dopo
varie
insistenze,
ottiene
dal
parroco
Consalvo
Braccia,
della
Chiesa
di
Gesù
e
Maria,
di
Foggia,
la
data
del
28
gennaio.
Qui
cresce
il
giovane
Nicola
E
man
mano
che
diventa
uomo
sente
il
peso
della
città,
dove
«la
plebe
è
ineducata
» –
secondo
i
ricordi
dello
storico
Romolo
Caggese,
durante
il
suo
viaggio
del
1905
– «
qualche
volta
triviale,
quasi
sempre
maestra
di
finzioni
e di
inganni.
Mentre
le
classi
privilegiate,
gli
uomini
di
buona
fama,
addormentati
fra
agiatezze
e
intente
ad
accumulare
tesori,
hanno
smarrito
ogni
senso
di
vita
intellettuale
e
quindi
ogni
sentimento
del
bello
e
dell’arte.
Quando
lasciate
Foggia,
pare
di
esservi
liberati
di
un
peso
soffocante
».
All’età
di
quattordici
anni,
nel
1922,
Nicola
risulta
iscritto,
per
la
seconda
volta,
alla
classe
prima
del
Regio
Istituto
Industriale
Saverio
Alatamura.
Questa
volta
viene
promosso,
anche
se
deve
riparare
a
settembre
due
materie:
plastica
e
officina
di
aggiustaggio.
Non
è
dato
sapere
se
ha
conoscenza
delle
sue
doti
canore.
Sappiamo,
per
certo,
che
due
anni
dopo,
all’età
di
sedici
anni
decide
di
abbandonare
Foggia,
per
questo
si
reca
a
Napoli,
dove
compra
un
biglietto
di
terza
classe,
con
i
soldi
racimolati
dopo
svariate
rinunce
e
sacrifici,
e
s’imbarca
per
l’Argentina.
Vi
giunge
dopo
una
lunga
traversata.
Viene
destinato,
insieme
al
resto
dei
passeggeri
di
terza
classe
all’Hotel
de
immigrantes,
un
edificio
di
quattro
piani,
lungo
cento
metri
e
largo
ventisei,
dove
vengono
ammassati
tutti
gli
emigranti
in
attesa
di
assolvere
le
varie
incombenze
burocratiche.
Quattro
anni
dopo
la
patria
lo
chiama
e
lui,
da
bravo
figlio,
rientra
in
Italia,
la
trova
cambiata
e,
soprattutto,
fascistizzata;
decide
di
chiedere
la
ferma
di
sei
anni,
in
qualità
di
aviere
volontario,
con
obbligo
di
volo.
Il
18
febbraio
1927,
ovvero
il
quinto
dell’Era
fascista,
viene
incorporato
nell’Aviazione,
il
suo
numero
di
matricola
è il
11132.
Subito
dopo
viene
inviato
alla
scuola
di
pilotaggio
di
Capua,
centro
di
addestramento
dell’Accademia
Aeronautica
di
stanza
a
Caserta.
Segue
l’8°
corso
motoristi
e
alla
fine
risulta
178°
su
355
allievi.
Terminata
la
parte
teorica,
viene
assegnato,
il
25
agosto
dello
stesso
anno,
all’aeroporto
militare
di
Capodichino
per
svolgere
un
periodo
di
pratica.
Vi
rimane
tre
mesi.
Al
termine
viene
inviato
a
Napoli,
dove
sostiene
l’esame
e
consegue
il
brevetto
di
pilota,
consegue
la
votazione
13,327,
che
gli
permette
di
mettere
lo
stemmino
di
aviere
scelto.
Dal
1
febbraio
1928,
prende
servizio
a
Capodichino,
dove
rimane
fino
al
maggio
del
1932,
quando
viene
trasferito
presso
il
26°
Gruppo
Autonomo
di
stanza
all’aeroporto
di
Ciampino
Nord.
Qui,
secondo
le
dichiarazioni
dei
suoi
familiari,
viene
invogliato
a
studiare
canto.
Tanto
che
nel
febbraio
1933,
mentre
in
Europa
dilagano
le
fiamme
della
guerra,
Nicola
sveste
la
divisa
di
aviere
per
il
canto.
Mentre
studia
canto
conosce
Lucia,
una
giovane
diciasettenne
emiliana,
venuta
a
Roma,
anche
lei
per
studiare
canto,
ma
che
a
causa
della
lesione
delle
corde
vocali,
riportata
durante
l’operazione
per
l’estrazione
delle
tonsille,
ha
dovuto
rinunciare.
Nicola,
invece,
grazie
alla
dote
naturale
del
timbro
riesce
in
poco
tempo
a
ottenere
le
prime
audizioni
che
gli
consentono
di
calcare
le
scene
e di
ottenere
degli
apprezzamenti.
Nel
dicembre
1934,
gli
giunge
una
lettera
con
la
quale
la
madre
gli
comunica
che
ha
abbandonato
Foggia,
insieme
alla
sorella
Teresa,
per
recarsi
a
Cosenza,
dove
gestirà
un
albergo,
insieme
al
suo
nuovo
compagno.
È
contento
per
lei,
mentre
lui
s’immerge
nella
nuova
esperienza
lavorativa
e si
dedica
alla
famiglia
e
alla
primogenita
Rosina,
nata
il
15
dicembre
1937,
a
Roma.
L’anno
dopo,
l’11
marzo
nasce
Alessandra.
La
coppia
decide
di
cercare
una
casa
più
grande
e la
trova
al
101
di
via
dei
Volsci,
nel
cuore
del
quartiere
San
Lorenzo.
Nicola
ha
ottenuto
dei
successi
e
sta
diventando
famoso,
tanto
che
gli
propongono
di
girare
un
film
musicale
di
velata
propaganda
fascista.
Ma
il
cantante
declina
la
proposta
perché
ha
maturato
un
rigetto
nei
confronti
del
regime,
soprattutto,
a
seguito
dell’emanazione
delle
leggi
razziali.
La
sua
fortuna
gli
permette
di
chiamare
la
madre
e la
sorella
a
Roma,
dal
momento
che
il
rapporto
con
il
nuovo
compagno
è
naufragato.
Le
due
donne
vanno
ad
abitare
nell’appartamento
sopra
quello
di
Nicola.
La
moglie
Lucia,
grazie
alle
sue
competenze
matematiche,
diventa
amministratrice
di
tre
stabili.
Insomma
la
ruota
sembra
essersi
fermata
sulla
voce
fortuna,
ma
le
frequentazioni
con
antifascisti
fanno
finire
Nicola
nel
mirino
dell’OVRA.
Nell’agosto
del
1939
Nicola
viene
scelto
per
sostenere
la
parte
di
Calaf,
il
principe
ignoto
della
Turandot
di
Giacomo
Puccini.
La
prima
è
prevista
a
metà
mese,
alle
Terme
di
Caracalla,
per
cui
ogni
giorno
il
giovane
cantante
si
reca
al
Teatro
Reale
dell’Opera
di
Roma
per
provare,
accompagnato
al
pianoforte
dal
maestro
Fausto
Ricci.
Proprio
durante
le
prove,
un
pomeriggio,
entrano
in
sala
gli
agenti
dell’OVRA.
Il
pianista
stoppa
la
musica,
un
funzionario
della
Polizia
segreta
chiede
di
esibire
la
tessera
del
partito
fascista,
il
cantante
risponde
di
non
essere
iscritto
e
che
non
ravvisa
alcun
motivo
per
farlo.
Risposta
irriverente
e
anche
pericolosa
dato
i
soggetti
che
si
trova
dinanzi,
ma
«Mio
padre
era
così
»
ricorda
la
figlia
Rosetta
«
intransigente,
inflessibile
rispetto
ai
valori
nei
quali
credeva.
In
famiglia,
sul
lavoro…
figurarsi
coi
fascisti».
In
realtà
ce
l’ha,
solo
che
l’ha
lasciata
a
casa,
se
non
avesse
usato
quel
tono,
sicuramente,
se
la
sarebbe
cava
con
una
ramanzina,
invece
viene
prelevato
e
condotto
a
Regina
Coeli,
dove
apprende
dell’occupazione
di
Danzica
da
parte
dei
nazisti
e
intuisce
che
è
l’inizio
della
guerra
a
livello
europeo.
Rimane
in
carcere
per
due
mesi,
viene
rilasciato
giusto
in
tempo
per
partecipare
alla
rappresentazione
della
Tosca,
altra
opera
di
Giacomo
Puccini,
che
si
svolge
il 7
novembre
presso
il
Circo
Massimo.
Sul
manifesto
compare
in
grassetto
come
Ugo
Stame,
nomignolo
datogli
dalla
moglie.
Il
suo
ruolo
è
quello
di
Cavaradossi,
sostenitore
della
Repubblica
Romana
fatto
giustiziare
dal
Barone
Scarpìa.
Nicola
sa
che
questa
è la
sua
ultima
esperienza
teatrale
presso
i
teatri
regi,
a
seguito
del
suo
comportamento,
che
l’ha
fatto
schedare
come
«pericoloso
sovversivo»
e
pertanto
sottoposto
a
sorveglianza
politica.
Da
questo
momento
ogni
suo
spostamento
è
sorvegliato,
le
sue
partecipazioni
a
rappresentazioni
liriche
sono
oggetto
di
analisi
delle
forze
di
polizia
e
ogni
qualvolta
deve
spostarsi
per
lavoro,
la
polizia
segnala
al
comando
di
destinazione
il
suo
arrivo.
È
anche
consapevole,
alla
luce
delle
seguenti
decisioni
di
Mussolini,
ovvero
riportare
a
quarantotto
ore
la
settimana
lavorativa,
per
esigenze
belliche,
e
chiedere
al
Capo
di
Stato
Maggiore
dell’Esercito
Graziani
di
preparare
un
milione
di
uomini
per
la
guerra,
che
anche
lui
dovrà
tornare
a
vestire
la
divisa.
Non
sa
che
tale
ordine
è
già
stato
diramato,
il 9
settembre,
mentre
era
recluso
a
Regina
Coeli
in
attesa
di
indagini,
ma
l’Ufficio
Politico
della
Regia
Questura
di
Roma
ha
inviato
una
nota
«riservata
e
urgente»
al
Centro
di
reclutamento
e
mobilitazione
3°
ZAT
(Zona
Aerea
Territoriale),
presso
la
Caserma
Cavour
di
viale
Giulio
Cesare.
La
lettera,
firmata
dal
questore
e
protocollata
con
numero
07298,
recita
«Oggetto:
Stame
Nicola,
sergente
motorista
richiamato
alle
armi.
Risulta
che
il
nominato
Nicola
Stame,
sergente
motorista,
è
richiamato
alle
armi
con
l’obbligo
di
presentarsi
all’Ufficio
di
Mobilitazione
presso
codesta
Caserma.
Premesso
questo
sopra
informo
che
lo
Stame
trovasi
rinchiuso
nelle
locali
carceri,
a
disposizione
di
questa
Regia
Questura
in
attesa
di
indagini».
Nel
frattempo,
Nicola
continua
la
sua
carriera,
il
18 e
il
19
aprile
partecipa
a
Bergamo
alla
rappresentazione
della
Tosca,
di
Giacomo
Puccini,
insieme
con
la
soprano
Lina
Bruna
Rasa,
stella
della
lirica
italiana
e
interprete
preferita
da
Mascagni
per
le
sue
opere.
È un
successo
come
si
legge
su
La
Voce
di
Bergamo,
il
cui
articolista
scrive:
«
Accanto
alla
soprano
s’è
fatto
apprezzare
il
tenore
Nicola
Ugo
Stame,
nel
ruolo
di
Mario
Cavaradossi.
Giovane
d’anni
e di
scena,
questo
cantante,
salvo
qualche
incertezza
nell’emissione
della
voce,
ha
avuto
momenti
felici
e ha
infilato
con
bella
disinvoltura
i
registri
più
alti.
Un
applauso
scrosciante
lo
ha
salutato
a
scena
aperta
dopo
la
famosa
romanza
del
terzo
atto
“E
lucevan
le
stelle”
che
ha
dovuto
bissare
per
le
richieste
insistenti
(e
ci
sembra
poco
riguardoso
nei
confronti
di
Bruna
Rasa
che
era
già
entrata
in
scena)
di
una
parte
di
pubblico».
Un
mese
dopo,
l’Ufficio
di
Stato
Maggiore
dell’Aeronautica,
con
disposizione
n.
51180,
invita
Nicola
Stame
a
presentarsi
presso
il
Gruppo
Autonomo
di
Volo
3°
ZAT
di
Centocelle
Nord,
il
27
maggio
l’ex
sergente
maggiore
è
riammesso
in
servizio
«per
merito
di
guerra
a
decorrere
dalla
data
del
22
maggio
1939».
Quali
sono
i
meriti
a
cui
fa
riferimento
il
dispositivo
non
è
chiaro,
a
meno
che
non
si
voglia
dare
credito
alle
affermazioni
dei
familiari
che
sostengono
che
Nicola
partecipò
alla
guerra
in
Spagna,
meritando
la
croce
di
ferro,
anche
se
non
risulta
alcun
accenno
nei
documenti
esistenti.
Il
suo
ritorno
alle
armi,
determina
la
segnalazione
da
parte
della
Legione
Territoriale
dei
Regi
Carabinieri
di
Roma
-
Tenenza
di
Prati
al
Comando
del
I°
Reggimento
Avieri,
del
«Vigilato
politico
Stame
Nicola»
allo
scopo
« di
disporre
la
necessaria
vigilanza
da
esercitare
sul
conto
del
vigilato
politico
in
oggetto
e di
comunicare
a
questa
Tenenza
ogni
utile
notizia,
nonché
gli
eventuali
spostamenti»,
ma
soprattutto
si
chiede
a
tutti
gli
uffici
coinvolti
che
«
l’interessato
non
deve
venire,
in
nessun
modo
a
conoscenza
di
quanto
si
conosce
a
suo
carico,
né
della
vigilanza».
Mentre
la
vigilanza
s’attiva,
le
onde
superficiali
della
storia
vedono
il
Duce
affacciarsi
da
Palazzo
Venezia
e
tenere
il
seguente
discorso:
«
Un’ora
segnata
dal
destino
batte
nel
cielo
della
nostra
Patria.
L’ora
delle
decisioni
irrevocabili.
La
dichiarazione
di
guerra
è
già
stata
consegnata
agli
ambasciatori
di
Gran
Bretagna
e di
Francia.
Vi.
ncere!
E
vinceremo!».
È la
guerra!
Un
atto
necessario
per
potersi
sedere
al
futuro
tavolo
della
pace,
dal
momento
che
il
Duce
è
convinto
che
ormai
ha
trionfato
la
croce
uncinata,
ma
non
ha
fatto
i
conti
con
le
forze
alleate.
Il
19
giugno
Nicola
viene
trasferito
al
Regio
Aereoporto
di
Foligno,
dove
ha
sede
una
scuola
di
addestramento
per
caccia
bombardieri
e
per
caccia
intercettori.
A
fine
agosto
rientra
a
casa,
per
conoscere
la
terzogenita
Teresa,
nata
il
28
agosto.
Nel
frattempo
matura
la
decisione
di
continuare
a
cantare,
nonostante
non
lo
potrà
più
fare
nei
teatri
regi.
Infatti,
il
15
settembre,
al
Teatro
Vittoria,
nel
cuore
di
Testaccio,
s’esibisce
nel
Rigoletto
nella
serata
conclusiva
della
Grande
stagione
lirica.
Il
Popolo
di
Roma
l’indomani
pubblica
la
seguente
recensione:
« Il
popolare
Rigoletto
non
poteva
ricevere
accoglienza
più
trionfale
di
quella
manifestatagli
dal
pubblico
che
gremiva
il
teatro
Vittoria.
Alla
romanza
Questa
o
quella
per
me
pari
sono
il
tenore
Nicola
Stame,
che
il
pubblico
ben
ricorda
per
la
indimenticabile
rappresentazione
di
Tosca
al
Circo
Massimo,
ha
emesso
le
prime
note
della
sua
bella
voce
con
quell’animazione
e
quel
garbo
che
gli
sono
propri.
Nel
duetto
con
Gilda
(la
soprana
Magda
Santini)
e
nella
famosa
“La
donna
è
mobile”
la
sua
vera
altezza
d’interprete
s’è
rivelata
in
pieno».
Il 1
ottobre
1940
partecipa
a
Foligno,
dov’è
d
stanza
come
aviere,
nella
Bohème
riscuotendo
un
successo,
come
testimonia
Il
Giornale
d’Italia:
«Appena
si
presenta
il
tenore
Nicola
Stame
la
sala
prorompe
on
un
uragano
di
applausi
con
ovazioni,
e
ascolta
attentamente
l’interpretazione
della
romanza
Recondite
armonie
della
Tosca
che
viene
sottolineata
da
un
lunghissimo
applauso
che
sembra
non
avere
fine».
Ad
apprezzarlo,
in
prima
fila,
ci
sono
anche
gli
ufficiali
dell’aeronautica
che
apprezzano
il
sergente
maggiore
a
tal
punto
da
voler
replicare
la
serata
a
fini
benefici.
L’8
ottobre
ottiene
un
nuovo
successo
a
Terni,
a
riguardo
il
Popolo
di
Roma
riporta
« La
variante
degli
esecutori
annunciati
prima
di
andare
in
scena,
dopo
la
prima
sospensione
da
parte
del
pubblico,
s’è
trasformata
in
ampia
e
aperta
simpatia
per
il
giovane
tenore
Nicola
Stame,
uomo
d’indubbio
valore
artistico
e
dalla
magnifica
voce.
Dopo
la
buona
interpretazione
del
Lamento
di
Federico
da
l’Arlesiana,
che
ha
strappato
al
pubblico
vivi
applausi,
lo
Stame
è
stato
festeggiatissimo
in
ogni
tornata,
tanto
che
un
poco
restio
nel
ripetere
l’Arlesiana
ha
dovuto
bissare
con
la
soprano
Eleonora
De
Angeli
e
lucevano
le
stelle
di
Tosca.
Dello
Stame
oltre
la
voce
è
stata
notata
anche
la
scena».
Grazie
a
questi
successi
Nicola
viene
trasferito
il
22
febbraio
presso
il
Reparto
del
Ministero
dell’Aeronautica
a
Roma,
di
stanza
nella
caserma
Giovanni
Romagnoli
in
via
Frentani,
e da
qui
invia
un
promemoria
al
suo
Comando
Militare
che
recita:
«Il
sottoscritto
Stame
Nicola,
in
servizio
presso
la
Direzione
Generale
delle
Costruzioni
e
degli
Approvvigionamenti,
si
permette
di
far
presente
che
prima
di
essere
richiamato
alle
armi
esercitava
la
professione
di
tenore
lirico.
In
tale
qualità
ha
cantato
in
vari
teatri
del
Regno
e a
concerti
di
beneficenza
come
da
accluse
recensioni.
Pertanto
ove
lo
si
creda
opportuno
il
sottoscritto
è a
completa
disposizione
per
prendere
parte
a
manifestazioni
artistiche
in
onore
dei
feriti
di
guerra
che
eventualmente
venissero
organizzate
dal
Ministero
dell’Aeronautica».
Il
Capo
di
Gabinetto
del
Ministero
accolse
con
piacere
la
lettera
e la
inoltrò
alla
Direzione
in
cui
presta
servizio,
con
preghiera
di
facilitarlo
«concedendogli
adeguati
permessi
per
la
necessaria
preparazione
ed
esecuzione
dei
concerti».
Man
mano
che
diviene
apprezzato,
Nicola
viene
utilizzato
non
solo
per
concerti
di
beneficenza,
ma
anche
per
lavoro,
infatti
a
dicembre
è
impegnato
in
una
serie
di
repliche
de
«La
Cavalleria
Rusticana»,
a
Roma,
presso
il
Cineteatro
Mazzini,
sito
nel
quartiere
Prati.
Oltre
a
cantare
Nicola
conosce
Matteo
e
Giancarlo
Matteotti,
figli
del
deputato
assassinato
dal
fascismo,
i
quali
gli
parlano
del
nascente
Movimento
Comunista
d’Italia,
meglio
noto
tra
la
popolazione
romana
con
il
nome
di
“Bandiera
Rossa”.
Nicola
decide
di
aderire,
anche
se
ricorda
la
figlia
Rosetta:
«Mamma
ha
provato
a
dissuaderlo.
Gli
ripeteva
sempre:
ma
tu
hai
famiglia,
tre
figlie,
una
carriera
davanti
a
te,
un
grande
avvenire
artistico.
Ma
perché
metti
la
politica
davanti
alla
tua
passione,
alla
tua
arte».
Nicola
le
rispondeva:
«non
è
questione
di
politica,
in
questo
momento
il
fatto
è di
essere
uomini
o
non
essere
uomini».
Giunge
il
1943
e la
situazione
politico
militare
del
regime
fascista
è
grave,
la
nazione
è
sotto
attacco,
vi
sono
continui
bombardamenti,
in
varie
città.
Nicola
continua
a
vivere
la
sua
triplice
vita:
aviere,
tenore
e
oppositore
del
regime,
per
il
momento
sfuggendo
ai
controlli
del
sistema
di
sicurezza
attivato
intorno
a
lui.
S’arriva
all’8
settembre
e
allo
sfascio
della
nazione
che
vede
lo
sbandamento
dei
militari,
tra
cui
Nicola.
Non
fugge,
come
molti
commilitoni,
ma
sceglie
di
rimanere
e
combattere
i
fascisti,
per
farlo
sfrutta
il
suo
grado,
s’introduce
con
un
autocarro,
sottratto
nella
sede
del
Ministero
dell’Aeronautica,
presso
la
caserma
di
via
dei
Frentani
presenta
un
ordine
fittizio
che
lo
autorizza
a
prelevare
un
ingente
carico
di
armi
e
munizioni.
Non
appena
uscito
dalla
caserma
si
dirige
verso
il
luogo
dove
si
nascondono
coloro
che
hanno
deciso
di
combattere,
scende
e
saluta
il
Capitano
dei
Granatieri
Aladino
Govoni
e
Tigrino
Sabatini,
operaio
della
Snia
Viscosa,
esponenti
di
spicco
della
resistenza.
Distribuite
le
armi,
gli
viene
assegnata
la
difesa
della
Cecchignola,
la
cittadella
militare,
quando
i
tedeschi
la
invadono
e
costringono
i
resistenti
a
ripiegare,
si
dirige
a
Porta
San
Paolo,
nonostante
sia
ferito
di
striscio.
Nel
frattempo,
le
autorità
militari
italiane
e il
comando
tedesco
firmano
un
accordo
che
stabilisce
che
le
truppe
tedesche
rimarranno
ai
margini
della
città
Eterna,
mantenendo
il
controllo
della
stazione
Radio
e
delle
centrali
telefoniche
e
inoltre
il
presidio
presso
l’ambasciata
tedesca.
È un
trucco
per
consentire
ai
mezzi
corazzati
di
ammassarsi,
al
fine
di
aver
ragione
dei
focolai
di
resistenza,
infatti,
l’11
settembre
viene
affisso
l’ordinanza
di
Kesserling
che
dichiara
l’intero
territorio
nazionale
soggetto
alle
leggi
di
guerra
tedesche.
Nicola
veste
i
panni
civili,
ma
non
depone
il
suo
impegno
di
partigiano,
ottiene,
dai
dirigenti
della
“Bandiera
Rossa”,
il
comando
della
1°
zona
della
città,
quella
che
s’estende
tra
i
quartieri
di
San
Lorenzo,
Tiburtino
e
Pietralata.
La
sua
banda
è
composta
da
trenta
persone.
Nonostante
sia
un
vigilato
politico,
Nicola
non
s’esime
di
mettere
la
sua
casa
a
disposizione
per
eventuali
riunioni.
A
riguardo
ricorda
Rosetta
«c’erano
questi
uomini
che
entravano
senza
bussare
alla
porta,
che
rimaneva
socchiusa.
Si
presentavano
a
intervalli
uno
dopo
l’altro.
La
prima
cosa
che
faceva
mio
padre
era
chiudere
le
tende
alle
finestre.
Non
che
capissi
gli
argomenti
delle
loro
discussioni,
ma
ricordo
bene
che
cominciavano
col
parlare
a
bassa
e
poi,
presi
dal
fervore
del
confronto,
finivano
per
alzare
i
toni,
si
accaloravano.
E
allora
c’era,
sempre
qualcuno
che
richiamava
tutti
a
stare
più
calmi
era
pericoloso
gridare,
farsi
sentire».
La
lotta
li
assorbe
totalmente,
Nicola
entra
in
contatto
con
il
colonnello
Giuseppe
Cordero
Lanza
di
Montezemolo,
uno
dei
pochi
graduati
rimasti
nella
Capitali
dopo
la
fuga
di
Badoglio
ed
entrato
in
clandestinità,
in
seguito
all’occupazione
nazista.
Inoltre
si
prodiga
di
operare
per
collegare
le
bande
armate
e
comitati
politici
tra
loro,
nell’intento
di
perseguire
un
fine
comune.
Partecipa
all’azione
di
distribuzione
nei
cinema
di
volantini
inneggianti
alla
rivolta,
l’azione
riesce
in
parte,
ma
quattro
partigiani
vengono
arrestati
e
condotti
nella
temutissima
sede
di
via
Tasso,
non
parlano,
ma i
delatori
si e
fanno
i
nomi
di
Ottavio
Cirulli,
Ezio
Malatesta,
Ettore
Arena,
Quirino
Sbardella
e
Nicola
Stame.
Immediata
la
reazione,
si
compiono
perquisizioni
nelle
case,
si
traggono
in
arresto
quasi
tutti,
tra
coloro
che
si
salvano
c’è
anche
Nicola,
il
quale
decide
di
darsi
alla
clandestinità
e
imbraccia
le
armi
partecipando
a
varie
azioni
contro
i
nazi
fascisti.
Tra
cui
il
tentativo
di
liberazione
di
alcuni
partigiani,
durante
il
loro
trasferimento
da
via
Tasso
a
Regina
Coeli,
purtroppo,
fallisce
miseramente,
a
causa
della
vicinanza
del
Quartiere
Generale
Tedesco.
Nel
frattempo,
la
banda
Koch
inizia
a
dargli
la
caccia,
come
al
resto
dei
gappisti
che
compiono
azioni
in
città.
A
rincuorare
gli
animi
dei
partigiani
è lo
sbarco,
il
22
gennaio,
ad
Anzio,
delle
forze
alleate.
Tutte
le
formazioni
partigiane
concordano
circa
la
necessità
di
facilitare
l’avanzata
degli
Alleati
su
Roma.
Il
ruolo
di
ufficiale
di
collegamento
viene
affidato
a
Nicola
Stame.
Il
24
gennaio
Nicola
rientra
a
Roma
da
Anzio
e si
dirige
alla
Latteria
in
via
Sant’Andrea
delle
Fratte,
dove
i
partigiani
di
Bandiera
Rossa
sono
soliti
riunirsi,
al
fine
di
relazionare
ai
propri
capi
sul
colloquio
avuto
con
gli
ufficiali
alleati.
Purtroppo
una
spiata
fatta
da
un
giovane
aderente
alla
Decima
Mas
Mauro
de
Mauro,
ha
avvisato
la
polizia
dell’incontro.
Per
questo
motivo,
non
appena
Nicola
entra
in
città,
inizia
a
essere
seguito
da
alcuni
poliziotti
in
borghese.
Il
tenore
se
ne
rende
conto
e
decide
di
non
recarsi
all’appuntamento,
nella
vana
speranza
di
salvare
i
compagni.
Giunto
nei
pressi
della
Scalinata
di
Trinità
dei
Monti,
inizia
a
correre,
viene
inseguito
e
bloccato,
grazie
all’intervento
di
una
pattuglia
tedesca
nei
pressi
di
Piazza
Mignarelli.
Subito
dopo
viene
condotto
al
commissariato
di
via
Goito,
dove
viene
rinchiuso
insieme
a un
giovane
trasteverino
di
nome
Claudio
Pica,
in
stato
di
fermo
senza
un’accusa
precisa.
Il
giovane
ha
una
voce
da
tenore,
ha
già
vinto
un
concorso
canoro
interpretando
un
successo
di
Carlo
Buti,
“Chitarella”,
rimane
colpito
dai
modi
di
Nicola:
«un
uomo
dall’aspetto
romantico
e
dalla
voce
calda
e
armoniosa
da
non
poter
essere
che
quella
di
un
tenore».
Il
giovane
altro
non
è se
non
il
futuro
“Reuccio”
della
Canzone
italiana,
alias
Claudio
Villa.
Nel
frattempo,
nella
Latteria
avviene
un’irruzione
che
porta
all’arresto
di
quasi
tutto
il
gruppo
di
comando
del
Movimento
Comunisti
d’Italia.
La
notizia,
tramite
un
vicino,
casualmente,
presente
all’arresto,
giunge
alle
17
alla
moglie.
La
sera
le
SS
compiono
una
perquisizione
allo
scopo
di
trovare
armi
o
materiale
propagandistico,
rimangono
delusi
e se
ne
vanno.
La
moglie
Lucia,
l’indomani
mattina
si
presenta
a
Regina
Coeli,
ma
nessuno
sa
niente
del
marito.
Decide
di
recarsi
in
via
Tasso,
sa
bene
che
sarebbe
inutile
chiedere
ai
Tedeschi,
pertanto
s’apposta
all’interno
del
negozio
di
un
calzolaio
in
attesa
che
esca
una
giovane
bionda,
della
zona
di
Bolzano,
che
svolge
il
ruolo
d’interprete.
Non
appena
la
vede
uscire,
cerca
di
bloccarla,
la
ragazza
accelera
il
passo,
ha
paura,
ma
Lucia
continua
a
porle
domande
e a
seguirla,
fin
quando
la
giovane
interprete
le
urla
contro
«
Uno
di
Bandiera
Rossa.
Vuole
che
uccidano
anche
me?».
Stame
viene
sottoposto,
come
il
resto
dei
trattenuti
del
“luogo”,
nome
con
cui
i
romani
indicavano
il,
temutissimo,
civico
155
di
via
Tasso,
a
molti
interrogatori
–
secondo
la
testimonianza
del
colonnello
dei
Granatieri
Alfredo
Baroni
–
dai
quali
usciva
malconcio
per
le
percosse
ricevute,
ma
senza
aver
parlato.
Nel
frattempo
le
operazioni
della
resistenza
romana
non
si
fermano,
per
cui
i
nazi-fascisti
rispondono
intensificando
l’azione
repressiva.
Il
22
febbraio
Nicola
Stame
e
altri
cinque
dirigenti
di
Bandiera
Rossa
vengono
processati
dal
Tribunale
di
guerra
germanico.
La
difesa
è
affidata
ad
Arturo
Gottardi.
Al
termine
la
corte
emette
la
sentenza
di
condanna
a
cinque
anni
di
reclusione;
l’avvocato
dà
comunicazione
alla
famiglia
nel
seguente
modo:
«vi
comunico
che
vostro
marito
è
stato
condannato
a
cinque
anni
di
reclusione.
Compiacendomi
con
voi
del
buon
esito
della
causa,
vi
comunico
altresì
che
in
un
giorno
a
vostra
scelta
potrete
avere
un
colloquio
con
vostro
marito,
attualmente
detenuto
nel
carcere
di
Regina
Coeli,
III
Braccio
(tedesco)».
Il
tenore
giunge
nel
III
braccio
e
decide
che
con
il
suo
canto
allieterà
i
compagni
di
detenzione,
a
riguardo
dice
a
Roberto
Guzzo
le
seguenti
parole:
«
quando
sentirai
la
mia
voce
cantare
sarà
il
segnale
del
nostro
saluto
e
del
pensiero
di
noi
tutti
che
ti
stiamo
vicini.
Quella
voce
è la
nostra
anima,
la
nostra
vita
in
lotta».
La
stessa
sera,
continua
Guzzo,
intonò
la
prima
romanza
della
Tosca:
« la
voce
vibrò
melodiosa.
Man
mano
aumentava
di
volume,
di
tonalità,
le
note
si
alzavano
riempiendo
l’aria
di
dolcezza,
i
nostri
cuori
di
passione.
Lo
ascoltavamo
rapiti
in
religioso
silenzio.
Anche
il
burbero
teutonico
ascoltava
in
raccoglimento.
Ogni
sera
quel
canto
gonfiava
i
cuori
di
tenerezza
e
beava
le
nostre
anime
di
vagheggiato
trionfo.
Nemmeno
le
pene,
nemmeno
il
martirio
avevano
potuto
valere
quel
canto».
L’11
marzo
Nicola
viene
prelevato
e
condotto
in
parlatorio,
dove
trova
la
moglie
e le
figlie.
La
moglie
quasi
non
lo
riconosce:
è
smagrito,
ha
la
barba
lunga
e
gli
occhi
infossati.
Nicola
si
rivolge
ad
Alessandra
e si
scusa
per
non
averle
fatto
il
regalo
per
il
suo
compleanno
che
cade
quel
giorno».
La
guardia
tedesca,
comprende
e
procura
una
fetta
di
pan
di
spagna
e la
porta
al
tavolo,
ma
la
bambina
lo
rimprovera
«non
voglio
nulla
da
te
che
tieni
qui
dentro
il
mio
papà».
Il
colloquio
termina
subito
dopo,
prima
di
tornare
in
cella
bacia
la
moglie
e le
bambine
e le
saluta.
Prima
di
rivederle
devono
trascorrere
due
settimane.
Nel
frattempo,
le
azioni
dei
partigiani
diventano
sempre
più
violente,
come
l’esplosione
del
23
marzo
a
via
Rasella
che
provoca
20
morti
e
molti
feriti,
di
cui
alcuni
gravi.
Immediata
la
risposta
del
Generale
Malzer,
comandante
delle
Truppe
Tedesche
a
Roma;
giunto
sul
posto
alterato
dal
vino
che
ha
bevuto
a
pranzo,
grida:
«Vendetta!
Vendetta!».
A
placare
l’ira
ci
pensa
Kappler
che
promette
l’avvio
immediato
di
un’inchiesta
e di
un’eventuale
rappresaglia,
idea
che
piace
a
Hitler,
il
quale
chiede
per
ogni
morto
tedesco
la
fucilazione
di
trenta,
anzi
no
di
cinquanta
italiani.
Il
generale
Eberhard
von
Mackesen,
comandante
della
XIV
Armata,
ritiene
che
il
numero
giusto
è di
dieci
italiani
per
ogni
tedesco
morto
in
vi
Rasella,
suggerimento
che
trova
il
placet
di
Kesserling.
L’incarico
di
compilare
la
lista
viene
affidato
a
Kappler,
il
quale
lo
passa
a
Erich
Priebke,
costui
prende
i
nomi
di
prigionieri
condannati
a
morte
o
all’ergastolo,
persone
in
attesa
di
giudizio,
ebrei,
prigionieri
politici.
Il
problema
è
quello
di
reperire
un
elenco
sufficiente
di
todeskandidaden
(candidati
alla
morte).
Per
questo
motivo
si
rivolge
alla
Banda
Koch
e a
Caruso
allo
scopo
di
avere
dei
nomi,
inoltre
inizia
a
spulciare
i
registri
di
via
Tasso.
Nella
lista
finiscono
il
professore
di
storia
e
filosofia
Gioacchino
Gesmundo,
l’impiegato
delle
poste
e
partigiano
Manlio
Bordoni,
il
Colonnello
Giuseppe
Cordero
Lanza
di
Montezemolo,
Alacino
Govoni,
Uccio
Pisino
e
anche
Nicola
Stame.
All’alba
del
24
marzo,
Kappler
chiede
che
si
faccia
un
conto
del
numero
di
cartucce
necessarie
per
uccidere
trecento
persone
e
s’individui
il
luogo
adatto,
dove
procedere
con
rapidità
e
sicurezza.
Un
graduato
delle
SS
suggerisce
una
cava
di
pozzolana
lungo
la
via
Ardeatina,
piena
di
gallerie.
Verso
le
sette
i
primi
prigionieri
vengono
prelevati
da
via
Tasso,
ignari
sperano
di
essere
trasferiti
a
Regina
Coeli,
invece
sono
condotti
alla
cava.
Alle
undici
anche
nel
terzo
braccio
di
Regina
Coeli
i
tedeschi,
armi
alla
mano,
iniziano
uno
strano
appello
che
prevede
l’uscita
dalle
celle
dei
prigionieri
chiamati.
Ad
ognuno
vengono
legate
le
mani
dietro
la
schiena
e
caricati
a
forza
su
dei
camion
telonati,
nel
cortile,
dove
sono
ammassati
i
parenti
dei
reclusi
venuti
a
visitarli,
tra
costoro
c’è
Lucia
con
le
tre
bambine,
che
rimarranno
deluse
di
non
poter
effettuare
il
colloquio.
Nel
frattempo,
alle
15.30
i
335
martiri
sono
stati
ammassati,
Kappler
chiede
ai
soldati
del
Bozen
sopravvissuti
di
compiere
il
massacro,
ma
costoro
si
rifiutano,
per
cui
delega
ai
suoi
uomini,
la
consegna
è di
far
inginocchiare
i
prigionieri,
quindi
sparare
un
colpo
alla
nuca.
Tale
modalità
si
rivela
lunga
e
laboriosa,
per
cui
dopo
tre
ore
si
decide
di
falciare
i
prigionieri
con
una
mitragliatrice,
finendo
con
un
colpo
i
feriti.
Motivo
di
tale
decisione
è
dovuto
al
timore
che
la
notizia
della
rappresaglia
si
sparga
e vi
sia
un
tentativo
da
parte
dei
partigiani
di
liberare
i
condannati
a
morte.
Dopo
cinque
ore
abbondanti,
i
tedeschi
hanno
terminato,
ma
prima
di
andare
via
fanno
brillare
l’ingresso
della
cava.
Il
25
marzo
l’agenzia
Stefani
diffonde
il
seguente
comunicato
del
comando
tedesco:
«
Nel
pomeriggio
del
23
marzo
1944,
elementi
criminali
hanno
eseguito
un
attentato
con
un
lancio
di
bomba
contro
una
colonna
tedesca
di
Polizia
in
transito
per
via
Rasella.
In
seguito
a
questa
imboscata,
32
uomini
della
Polizia
tedesca
sono
stati
uccisi
e
parecchi
feriti.
La
vile
imboscata
fu
eseguita
da
comunisti
badogliani.
Sono
ancora
in
atto
indagini
per
chiarire
fino
a
che
punto
questo
criminoso
fatto
è da
attribuirsi
a
incitamento
anglo-americano.
Il
Comando
tedesco
è
deciso
a
stroncare
l’attività
di
questi
banditi
scellerati.
Nessuno
dovrà
sabotare
impunemente
la
cooperazione
italo-tedesca
nuovamente
affermata.
Il
Comando
tedesco,
perciò,
ha
ordinato
che
per
ogni
tedesco
ammazzato
dieci
criminali
comunisti
saranno
fucilati.
Quest’ordine
è
stato
già
eseguito».
Nel
frattempo
a
casa
Stame
tutti
temono
per
Nicola,
soprattutto,
in
seguito
al
rifiuto
di
far
effettuare
il
colloquio,
l’avvocato
Gottardi
rassicura,
come
meglio
può
Lucia
e le
dice
che
cercherà
di
conoscere
come
sta.
Nel
frattempo,
la
notizia
dell’eccidio
si
sparge
tra
le
vie
della
Capitale,
grazie
ad
alcuni
testimoni,
tra
cui
tre
frati
salesiani
che
udite
alla
sera
le
esplosioni,
al
mattino
si
recano
sul
luogo
per
comprendere
cos’è
accaduto.
Trovano
gli
accessi
chiusi,
ma
riescono
tramite
un’apertura
angusta
a
giungere
nel
carnaio.
Ben
presto
tutta
Roma
parla
della
strage.
Kappler
per
eliminare
ogni
prova
ordina
di
far
scaricare
la
spazzatura
all’ingresso
delle
cave,
in
tal
modo
occlude
l’ingresso
e
tenta
di
coprire
l’odore
nauseabondo
dei
cadaveri
in
decomposizione.
Il
cuore
di
Lucia
teme,
ma
non
avendo
certezze
è
combattuta,
fino
al
13
aprile
quando
arriva
un
telegramma
recante
il
timbro
e la
firma
delle
SS,
oltre
a
essere
scritto
in
tedesco
«
Nicola
Stame
è
morto
il
24.03.1944.
Eventuali
oggetti
personali
da
lui
lasciati
possono
essere
ritirati
al
posto
di
servizio
della
polizia
politica
tedesca
in
via
Tasso
n.
155».
Il 4
giugno
il
tenente
colonnello
John
Pollock
della
V
Armata
americana
sbarcata
ad
Anzio
entra
in
Campidoglio,
la
città
è
liberata.
Una
delle
priorità
per
il
popolo
romano
è
indagare
sull’eccidio
delle
Fosse
Ardeatine,
per
questo
viene
insediata
una
commissione
composta
da
italiani
e da
militari
alleati
sotto
la
direzione
del
Dottor
Attilio
Ascarelli,
docente
universitario
di
medicina
legale
e
zio
di
due
vittime
delle
Fosse.
Il
26
luglio
iniziano
le
operazioni
di
scavo
e di
riesumazione,
a
riguardo
Ascarelli
e
scrive
«
dare
un’idea
e
una
descrizione
rappresentativa
di
come
si
presentavano
questi
due
carnai
umani
è
cosa
che
io
non
so
esprimere
con
adeguate
parole.
I
corpi
poco
si
vedevano,
ma
dal
terriccio
e
dalla
posizione
intrisa
dalla
decomposizione
del
grasso
cadaverico
che
amalgamava
le
salme
emergeva
qua
un
piede;
là
un
paio
di
scarpe,
là
un
teschio
intero
o
frantumato,
ora
un
arto
ora
un
brandello
di
vestito».
Di
ciascuna
salma
viene
redatto
un
referto
medico
legale
coadiuvato
da
altri
esperti,
segnando
anche
i
minimi
particolari,
che
potrebbero
tornare
utili
per
il
riconoscimento,
dal
momento
che
si
voleva
«
dare
alle
famiglie
delle
vittime
il
conforto
di
pregare
sulla
salma
del
caro
congiunto,
di
spargere
di
fiori
la
sua
bara,
dar
sfogo
al
dolore
e al
pianto».
Nello
stesso
tempo
ai
parenti
viene
consegnato
un
questionario
da
compilare,
per
facilitarne
l’identificazione.
Nicola
Stame
viene
identificato
come
salma
n.
124.
«
Mia
mamma
ha
voluto
vedere
il
marito,
dopo
che
il
corpo
è
stato
ricomposto
per
quanto
possibile.
Io
l’ho
sempre
rimproverata
di
non
avermi
fatto
dare
l’ultimo
bacio
a
papà.
Solo
dopo
molti
anni
mi
confessò
che
lo
trovarono
con
il
petto
sfondato,
una
mano
staccata
e
c’era
una
corda
insanguinata
».
Venne
costituito
il
comitato
dei
320
presieduto
oggi
dalla
figlia
di
Nicola
Stame.
Il
22
marzo
gli
viene
riconosciuto
il
titolo
di
«partigiano
combattente»,
ma
soprattutto
di
uomo,
che
ha
deciso
di
opporsi
alla
follia
umana,
ritenendo
più
che
giusto
agire
e
non
rimanere
nell’indifferenza,
nell’interesse
suo,
della
sua
famiglia
e
dell’umanità
intera.
Riferimenti
bibliografici:
Ascarelli
A.,
Le
fosse
ardeatine,
edizioni
Anfim,
Roma
2005.
Portelli
A.,
L’ordine
è
già
stato
eseguito,
Donzelli,
Roma
1999.
Saracino
L.,
Il
Tenore
Partigiano.
Nicola
Stame:
il
canto,
la
resistenza,
la
morte
alle
Fosse
Ardeatine,
Alegre,
Roma
2015.