N. 93 - Settembre 2015
(CXXIV)
nemea
L'Eraclea dell'Argolide
di Federica Campanelli
Nemea è una silente e antica località sacra a Zeus situata in una valletta tra l'Argolide e la Corinzia, non molto lontana dall'odierna cittadina omonima; segnata dal mito e dalla storia, si narra che Eracle vi realizzò la sua prima grande impresa da penitente: affrontare e uccidere l'indomito Leone dalla pelle invulnerabile, la prima delle dodici fatiche a cui l'eroe greco dovette piegarsi per espiare i propri peccati.
Qui,
dal
573
a.C.,
ogni
due
anni
(il
secondo
e il
quarto
dopo
le
Olimpiadi),
venivano
celebrate
le
competizioni
sportive
note
come
Giochi
Nemei,
a
cui
il
poeta
Pindaro
dedicò
parte
della
sua
opera,
le
odi
Nemee.
Tra
le
manifestazioni
sportive
nazionali,
le
feste
Nemee
erano
le
quarte
e
ultime
in
termini
cronologici,
andando
quindi
a
chiudere
il
ciclo
quadriennale
dei
Giochi
panellenici.
Interessante
la
duplice
leggendaria
origine
dei
Giochi:
da
un
lato
essa
è
infatti
da
ricercare
nei
concetti
di
"forza"
e
"coraggio",
nobili
virtù
incarnate
da
Eracle,
vittorioso
sul
Leone
Nemeo;
dall'altro,
invece,
il
mito
si
fonda
sul
dramma
della
fatalità,
e
vede
come
protagonista
il
piccolo
Ofelte
(o
Archemoro),
figlio
del
re
Licurgo.
Sul
bambino,
affidato
alle
cure
della
nutrice
Issipile,
vigeva
l'assoluto
divieto
di
toccare
terra
finché
non
avesse
avuto
la
facoltà
di
camminare
da
solo;
tuttavia
Issipile,
alla
vista
dei
sette
eroi
argivi
diretti
a
Tebe
per
assediarne
le
sette
porte
(v.
Eschilo,
I
Sette
contro
Tebe),
depose
distrattamente
il
bimbo
in
terra
per
poter
dare
loro
indicazione
circa
la
presenza
di
una
fonte
d'acqua
nelle
vicinanze.
Il
piccolo
Ofelte,
in
quel
breve
frangente,
fu
afferrato
e
soffocato
da
un
serpente
e da
quel
triste
episodio,
percepito
oltretutto
come
infausto
presagio,
furono
istituiti
i
suddetti
Giochi.
Sulla
base
di
questa
seconda
versione,
i
Giochi
sarebbero
dunque
funebri,
e
per
tanto
i
giudici,
o
gli
atleti,
dovevano
portare
simbolicamente
il
lutto.
Sul
finire
del
V
secolo
a.C.
i
Giochi
furono
temporaneamente
trasferiti
altrove,
probabilmente
nella
vicina
Argo,
allorquando
l'area
di
Nemea
venne
distrutta.
Tuttavia,
avviato
un
programma
di
ricostruzione
del
santuario
nella
seconda
metà
del
IV
secolo
a.C.,
le
celebri
competizioni
sportive
poterono
finalmente
tornare
nella
loro
storica
sede.
Di
quel
luogo
lontano
nel
tempo
oggi
rimangono
lo
Stadio,
i
resti
del
Tempio
di
Zeus
Nemeo,
nove
fabbricati
identificati
come
oikoi
(case,
abitazioni),
un
complesso
architettonico
comprendente
una
struttura
alberghiera
e un
edificio
termale,
nonché
una
grande
area
in
cui
si
vuole
il
sito
dell'heròon
di
Ofelte,
il
luogo
della
sua
sepoltura.
Il
Tempio
di
Zeus
fu
edificato
nel
IV
secolo
a.C.
su
di
un
edificio
precedente
(si
indica
come
data
di
costruzione
il
330-320
a.C.
sulla
base
della
fabbrica
fornitrice
delle
tegole,
rinvenuta
negli
anni
'60).
Esso,
orientato
Est-Ovest,
presenta
un
perimetro
di
6x12
colonne
doriche,
cella
con
14
colonne
in
stile
corinzio
alla
base
e
ionico
in
cima
e un
adyton
(cripta)
a
pianta
rettangolare.
Di
questo
impianto
rimangono
in
piedi
tre
colonne
(una
del
peristilio
del
lato
Est,
due
del
pronao)
e
parte
dell'architrave
del
pronao;
in
tempi
successivi
sono
state
ricomposte
e
issate
altre
sei
colonne
(due
nel
2002
e
quattro
nel
2012),
comprese
parti
dell'architrave
che
vanno
a
completare
l'angolo
Nord-Est
del
Tempio.
Lo
Stadio
è
una
delle
principali
attrazioni
del
sito,
se
non
altro
per
la
presenza
di
una
galleria
voltata
(praticamente
intatta)
di
36,35
metri
di
lunghezza
che
fungeva
da
accesso
alla
pista;
si
tratta
dell'unico
caso
noto
in
cui
si
sia
mantenuta
l'integrità
di
un
varco
di
questo
tipo
in
uno
stadio
antico.
Lungo
le
pareti
della
galleria,
inoltre,
si
conservano
ancora
molti
dei
graffiti
che
gli
atleti
vincitori
(e
forse
anche
entusiasti
tifosi)
lasciavano
affinché
rimanessero
impressi
nella
memoria
storica.
Di
queste
iscrizioni
alcune
non
si
limitavano
semplicemente
al
nome
dell'atleta:
un
tal
Aristione,
per
esempio,
doveva
aver
fatto
breccia
nel
cuore
di
qualcuna
o
qualcuno,
tant'è
che
uno
dei
conci
della
galleria
riporta
la
frase
Αριστιων
καλοσ
εν
Kραννωι,
'Aristione,
il
bello
di
Crannone'.
Tuttavia
non
è
escluso
che
la
frase
propagandistica
sia
stata
incisa
dallo
stesso
atleta
in
uno
slancio
narcisistico.
Lo
Stadio
si
estende
per
circa
178
metri
e
poteva
ospitare
fino
a
30000
persone.
La
configurazione
attuale
dell'edificio
è
dovuta
alla
ricostruzione
del
IV
secolo,
coerentemente
alla
ricostruzione
di
Nemea
a
alla
realizzazione
del
Tempio
di
Zeus,
da
cui
dista
circa
400
metri.
Di
esso
sopravvivono
la
lapidea
linea
di
partenza,
posta
a
Sud
della
pista,
il
canale
idrico
che
la
circonda,
la
piattaforma
per
i
giudici
di
gara,
collocata
a
Est,
e i
pochi
spalti
in
pietra
destinati
agli
spettatori,
collocati
sul
lato
Ovest.
Nel
270
a.C.
i
Giochi
furono
ancora
una
volta
trasferiti
ad
Argo,
ma
stavolta
definitivamente.
Ha
così
inizio
il
lungo
tramonto
di
Nemea.
Dopo
una
breve
parentesi
bizantina
nel
VI
secolo
d.C.,
in
cui
pareva
che
stesse
tornando
la
vita
a
Nemea,
le
invasioni
di
tribù
slave
di
fine
secolo
ne
decretarono
una
volta
per
tutte
la
fine.
Di
quel
breve
periodo
di
ripresa
oggi
rimangono
i
resti
di
un
piccolo
villaggio
bizantino
che,
tra
abitazioni,
forni
e
sistema
d'irrigazione,
annoverava
anche
una
basilica
di
circa
35
metri
di
lunghezza,
realizzata
con
materiale
di
recupero
proveniente
dal
Tempio
di
Zeus,
nonché
una
piccola
necropoli.