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N. 127 - Luglio 2018 (CLVIII)

Buon compleanno Madiba

Il 18 luglio 1918 nasceva Nelson Mandela

di Riccardo Filippo Mancini

 

Madiba così tutti chiamavano Mandela, con il nome che aveva all'interno del clan di appartenenza, un ramo della famiglia reale dei Thembu dell'etnia Xhosa, un titolo onorifico usato dai membri anziani della sua famiglia. Il 18 luglio 2018 quello che senza dubbio è stato uno dei personaggi più importanti della storia avrebbe compiuto 100 anni; ci ha invece lasciati, commuovendo l’intero pianeta, il 5 dicembre 2013.

 

Rolihlahla Mandela (Nelson è il nome che gli verrà attribuito a scuola dalla sua insegnante, secondo l’usanza di dare a tutti dei nomi cristiani) nacque a Mvezo, regione sudafricana del Transkei, il 18 luglio del 1918. Suo padre Henry era un capotribù presso la sua gente: la famiglia Mandela era imparentata con la famiglia reale sudafricana Thembu. Nelson perse il padre giovanissimo, quando aveva solamente 9 anni.

 

Mandela frequentò una scuola missionaria a Qunu, e decise poi di studiare legge presso il college universitario di Fort Hare. Da qui fu poi cacciato nel 1939 in seguito alla partecipazione ad alcune proteste studentesche. Nel 1941 rifiutò di sposare la donna che la propria famiglia aveva scelto per lui, in nome del principio che lo guiderà sempre nella sua vita: la libertà. Decise allora di fuggire verso Johannesburg, dove riprese e terminò gli studi nel 1942, divenendo avvocato. Già in quei primi anni di vita Mandela mostrò la sua forte personalità anticonformista e una fermezza non comune.

 

Il Sudafrica, come è noto (ma ricordarlo non è mai banale o superfluo: la Storia serve anche e soprattutto a questo) era governato da una piccola oligarchia della minoranza bianca. I neri costituivano l’80% della popolazione, i bianchi si dividevano in coloni di origine inglese e afrikaner. Questi ultimi, che costituivano la maggior parte della popolazione bianca presente sul territorio, erano da sempre stati favorevoli ad una politica razzista.

 

Già con le elezioni del 1924 vennero introdotti nel paese i primi elementi di segregazione razziale. L’apartheid (traducibile letteralmente con “separazione”) non fu altro che il completamento di queste politiche segregazioniste, e venne formalmente introdotto nel 1948. Nelson Mandela ne è stato il più grande e famoso oppositore.

 

Nel 1942 si unì all’African National Congress (partito nato nel 1912 con lo scopo di difendere i diritti della maggioranza nera sudafricana) contribuendo alla fondazione della sua sezione giovanile nel 1944 e divenendone leader nel 1950. Nel 1952 Nelson Mandela aprì a Johannesburg insieme all’amico Oliver Tambo il primo studio legale “nero” del Sudafrica, dedicato ai cittadini neri più poveri, con particolare attenzione a coloro che avevano guai giudiziari legati all’apartheid.

 

Nel frattempo l’impegno politico di Mandela andava avanti all’interno dell’ANC: il partito vedeva accrescere il suo consenso, soprattutto fra i più giovani. Nel1952 partecipò alla campagna di resistenza dopo l’ennesima vittoria alle elezioni del Partito Nazionale.

 

Nel 1960 si consumò a Sharpeville un drammatico episodio: durante una protesta dei neri contro l’apartheid la polizia usò il pugno duro sparando sulla folla. Il bilancio fu di 69 morti e 180 feriti. Il governo strumentalizzò l’accaduto dando la colpa all’ANC e agli altri partiti dell’opposizione, dichiarandoli illegali.

 

Mandela si trova di fronte a un bivio e sceglie la lotta armata clandestina: insieme ad altri decise di fondare l’Umkonto we Siswe (“lancia della nazione”), una organizzazione armata. Braccato dalle autorità il leader sudafricano visse da latitante e si recò nel 1962 in Algeria per apprendere le basi della guerriglia militare.

Al suo rientro in patria nel 1963 Mandela venne arrestato. Il processo che ne seguì prese il nome di processo di Rivonia perché quest’ultima fu il luogo dell’arresto di Mandela e di altri attivisti. Precisamente i ribelli si trovavano a Liliesleaf Farm, fattoria che era stata usata come nascondiglio per proseguire clandestinamente le attività dell'African National Congress e del suo braccio armato Umkonto we Siswe. Tra gli altri, Madiba si era trasferito nella fattoria nell'ottobre del 1961 e aveva eluso le ricerche della polizia fingendosi giardiniere e cuoco sotto lo pseudonimo di David Motsamayi.

 

L’esito del processo era scontato: con le accuse di sabotaggio ed attività di complotto contro il governo il leader del popolo sudafricano veniva condannato all’ergastolo nel 1964. Durante il dibattito in tribunale pronunciò queste parole: “Ho combattuto contro la dominazione bianca, ho combattuto contro la dominazione nera. Ho accarezzato l’idea di una società in cui le persone vivono insieme, in armonia, con eguali opportunità. Per questo ideale spero di vivere. Per questo ideale sono pronto a morire”.

 

Nelson Mandela rimase in carcere per 27 lunghi anni. La fase più lunga e dura della sua prigionia durò 18 anni, detenuto a Robben Island, un'isoletta davanti a Cape Town. In seguito trascorse 6 anni nel carcere di Pollsmoor, e infine l’ultimo anno da prigioniero a Drakenstein (conosciuta anche come la prigione di Victor Verster).

 

Gli anni della detenzione, della privazione della libertà e del lavoro forzato furono quelli decisivi per il cambiamento del Sudafrica e la sua transizione verso un regime democratico e il superamento dell’apartheid. Mandela divenne infatti una figura iconica, simbolo non solo della lotta sudafricana contro il regime ma di tutti coloro che nel mondo combattevano per liberarsi: il leader dell’ANC incarnava il modello da seguire e da imitare, l’oppresso che lotta contro l’oppressore sacrificandosi per un ideale più grande.  


Lo slogan "Nelson Mandela libero" divenne la colonna sonora di tutte le manifestazioni antirazzismo in ogni parte del globo. Dal canto suo Mandela era deciso a non mollare la lotta e mentre era in prigione riuscì a spedire un manifesto all'ANC, pubblicato il 15 giugno 1980, che recitava: «Unitevi! Mobilitatevi! Lottate! Tra l'incudine delle azioni di massa e il martello della lotta armata dobbiamo annientare l'apartheid!».

 

Il clima in Sudafrica stava lentamente cambiando, e il governo iniziò a pensare alla scarcerazione di Mandela: arrivò nel febbraio del 1985 da parte del presidente P.W. Botha una prima offerta di libertà condizionata, ma in cambio di una rinuncia alla lotta armata; prospettiva che Madiba rifiutò.

 

Nel 1987 lo stesso Botha nominò una commissione governativa perché intavolasse con Mandela una serie di discussioni riservate. Al leader dell’ANC fu concessa anche (finalmente) una cella spaziosa, che però si rivelò umida, facendolo ammalare di tubercolosi: prima venne ricoverato in ospedale, poi in una lussuosa clinica.

 

Come detto passò l’ultimo anno di prigionia a Victor Verster, che lui stesso definirà come una“gabbia dorata”: non era più in una cella ma aveva una sua abitazione e poteva circolare liberamente nel perimetro intorno ad essa. In questo luogo avvenne la parte finale dei suoi incontri con il governo, che portarono alla sua liberazione, grazie anche alle fortissime pressioni nazionali e internazionali, l’11 febbraio del 1990, su ordine diretto del presidente sudafricano De Klerk (succeduto nel frattempo a Butha). Mandela al momento della scarcerazione aveva 71 anni.

 

Quello che fece la differenza e lo ha reso poi così amato e rispettato da tutti fu il suo atteggiamento una volta tornato libero. Riprese subito in modo ufficiale il suo impegno politico assumendo la carica di Presidente dell’ANC e concorse nel 1993 alle elezioni contro l’uscente De Klerk per la nuova carica di presidente del Sudafrica: vinse, diventando il primo capo di stato di colore. Nello stesso anno fu insignito del premio Nobel per la pace.

 

Una volta giunto al potere rinunciò in modo netto e definitivo ad ogni forma di vendetta facendosi portavoce di una strategia basata sulla riconciliazione e sulla pacificazione. La sua rettitudine morale e la capacità di superare le sofferenze patite negli anni di prigionia senza dare atto a ritorsioni politiche di alcun tipo furono decisive, dando al Sudafrica l’ultima ma decisiva spinta per superare in modo definitivo l’apartheid. Restò in carica per un solo mandato, fino al 1999, per poi ritirarsi dalla vita politica.

 

Negli ultimi anni della sua vita è stato celebrato come leggenda vivente, la sua casa meta di pellegrinaggi da parte di tanti personaggi politici provenienti da tutto il mondo. Decise di ritirarsi dalla vita politica nel 2004 per dedicarsi alla famiglia e agli affetti.

 

La sua ultima apparizione pubblica ufficiale risale alla cerimonia di chiusura del Mondiale di calcio del 2010, da lui fortemente voluto, il primo organizzato nel continente africano. Nessuno si aspettava la sua presenza, vederlo fu quasi uno shock per tutti i presenti.

 

Dopo un attimo di silenzio, lo stadio di Johannesburg esplose in un boato. Il giusto tributo a un grande uomo.


Fu colpito da una grave infezione polmonare nel marzo del 2013, e pian piano le sue condizioni si aggravarono fino alla morte, avvenuta il 5 dicembre dello stesso anno, all’età di 95 anni.

 

Figura iconica a cavallo tra il XX e il XXI secolo, Nelson Mandela ha lasciato più di ogni altra cosa un esempio da seguire, una via da percorrere: quella della tenacia, della ferrea volontà di non piegarsi al destino e lottare con tute le proprie forze per raggiungere i propri obiettivi, anche quando tutto sembra precluso e le possibilità di successo azzerate.

 

E gli ultimi versi della poesia Invictus (scritta da William Ernest Henley) che tanto amava e che in carcere forse gli salvò la vita, racchiudono perfettamente questo stato d’animo:

 

Non importa quanto sia stretta la porta,
Quanto impietosa la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima
”.


Buon centesimo compleanno, Madiba.



 

 

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