N. 109 - Gennaio 2017
(CXL)
Nefandezze dell’imperatrice Teodora
il racconto dello storico Procopio
di Maria Rita Mangano
Piccola
di
statura,
pallida,
ma
dagli
occhi
vivaci,
leggiadra
nel
volto
e
bella.
Era
molto
attenta
alla
cura
del
corpo,
oltremisura,
faceva
lunghi
bagni
al
mattino,
mangiava
abbondantemente
a
pranzo
e a
cena,
dormiva
a
lungo
e
spesso,
anche
durante
il
giorno.
Nel
poco
tempo
che
le
rimaneva,
si
occupava
dell’Impero.
Tale
è
l’immagine
di
Teodora
-
moglie
di
Giustiniano
I
(525-567)
-
che
è
possibile
ricavare
da
alcuni
passi
degli
Anecdota
(noti
come
Storia
Segreta)
di
Procopio
di
Cesarea.
La
testimonianza
di
Procopio,
una
delle
principali
fonti
del
periodo,
fornisce
un
ritratto
non
lusinghiero
dell’imperatrice.
Rimasta
orfana
del
padre,
custode
degli
orsi
all’ippodromo,
fu
costretta
dalla
madre
a
prostituirsi
a
seguito
della
sorella
Comitò:
vestita
con
una
corta
tunica
con
le
maniche,
come
una
schiava,
si
univa
agli
schiavi
che
accompagnavano
i
padroni
a
teatro.
Durante
l’adolescenza
iniziò
la
carriera
teatrale,
distinguendosi
nella
recitazione
dei
mimi,
pur
non
sapendo
né
cantare,
né
danzare,
offrendo
solamente
la
propria
bellezza
e la
propria
salacità.
A
causa
dei
suoi
facili
costumi
molti
uomini
del
Foro,
per
fuggire
possibili
accuse
di
infamia,
se
ne
tenevano
lontano
e
chi
la
incontrava
al
mattino
la
riteneva
un
segno
di
cattivo
auspicio.
.
L'imperatrice
Teodora
ritratta
nella
basilica
di
San
Vitale,
Ravenna
Caduta
in
miseria
tornò
a
prostituirsi
come
in
passato
e,
ritornata
dalla
Pentapoli
a
Costantinopoli,
Giustiniano
se
ne
innamorò.
Per
poterla
sposare
l’imperatore
dovette
attendere
però
la
morte
della
zia
Eufemia,
ostile
al
matrimonio,
e
fece
prima
abolire
la
legge
che
impediva
a un
senatore
di
sposare
una
prostituta
o
un’attrice
(Cod.
1,
5,
lit.
4,
lex
25)
Ciò
prova,
a
dire
dello
storico,
non
soltanto
la
malvagità
di
Giustiniano
ma
anche
il
decadimento
sociale
e
morale
del
tempo:
nessuno
infatti
si
scandalizzò
per
l’unione
con
una
donna
che
si
era
macchiata
di
comportamenti
lascivi
e di
tanti
aborti
e,
al
contrario,
questo
matrimonio
costituì
un
precedente
per
quanti
volessero
prendere
in
moglie
donne
simili
a
Teodora.
Procopio
riporta
numerosi
episodi
a
testimonianza
della
crudeltà
della
donna.
Quando
era
attrice
rimase
incinta
ma,
non
essendosi
accorta
in
tempo
della
gravidanza,
dovette
portarla
a
termine
e
partorire.
Il
padre
del
bambino,
temendo
che
la
donna
potesse
attentare
alla
vita
del
piccolo
per
rendersi
libera,
lo
portò
in
Arabia.
Morto
costui,
il
ragazzo,
di
nome
Giovanni,
tornò
a
Costantinopoli
per
incontrare
la
madre;
Teodora,
per
timore
che
Giustiniano
venisse
a
conoscenza
del
fatto,
lo
consegnò
ai
domestici
e lo
fece
uccidere.
Tra
le
atrocità
dell’imperatrice,
priva
di
rispetto
per
le
norme
umane,
religiose
e
sociali,
risaltano
le
vendette
verso
chi
osava
contraddirla
o
offenderla
(XVI
18-22).
Basiano,
un
giovane
della
fazione
dei
Verdi,
aveva
pronunciato
una
battuta
scherzosa
sul
suo
conto
e,
avendo
saputo
dell’ira
della
donna,
si
rifugiò
presso
la
Chiesa
di
Michele
Arcangelo.
Teodora,
però,
lo
accusò
di
pederastia
e il
patrizio
della
plebe
lo
fece
uscire
a
forza
dalla
chiesa
per
destinarlo
a
pubblico
supplizio.
A
nulla
servirono
le
suppliche
della
folla
che
invocava
la
salvezza
del
giovane,
impietosita
dalla
vista
dell’orribile
strazio:
l’imperatrice
lo
fece
uccidere
senza
alcuna
forma
di
processo
e ne
confiscò
i
beni.
Diversi
il
caso
e
l’esito
della
vicenda
di
Diogene,
partigiano
dei
Verdi.
La
donna
lo
accusò
di
pederastia
e
fingendo
di
voler
agire
nella
legalità,
chiamò
a
testimoniare
contro
di
lui
due
servi;
i
giudici
del
Foro,
tuttavia,
per
rispetto
della
dignità
dell’uomo,
apprezzato
dallo
stesso
Giustiniano,
rigettarono
le
accuse
dei
giovani,
i
quali
erano
ancora
minorenni.
Teodora
cercò
dunque
come
testimone
un
parente
di
Diogene,
prima
attraverso
lusinghe,
poi
con
torture
e
strinse
con
un
nervo
di
bue
la
parte
compresa
tra
fronte
e
orecchie
per
fare
uscire
gli
occhi
dalle
orbite.
Diogene,
tuttavia,
resistette
e i
giudici
lasciarono
cadere
l’accusa
per
mancanza
di
prove
sufficienti.
D’indole
malvagia,
pronta
a
ogni
menzogna,
iraconda:
queste
erano
dunque
le
caratteristiche
dell’imperatrice
«dono
di
Dio».