N. 147 - Marzo 2020
(CLXXVIII)
il
nazionalismo
lettone
TRA
1920
E 1934
Genesi
dei
movimenti,
intelaiatura
ideologica
e
consenso
sociale
di
Andrea
Cecchini
Il
complesso
periodo
interbellico
fu
contrassegnato
dall’affermazione
di
una
vasta
schiera
di
organizzazioni
ultrareazionarie,
impegnate
nel
veicolare
i
precetti
ideologici
dell’ortodossia
nazionalista.
Questi
movimenti,
attivi
sia
nel
cuore
del
Vecchio
Continente
sia
nei
Paesi
dell’Europa
centro-orientale,
nacquero
tra
l’inizio
e la
fine
degli
anni
Venti
del
Novecento
e
riuscirono
ben
presto
ad
assumere
una
“dimensione
popolare”,
come
testimoniato
dai
numerosi
consensi
provenienti
dalle
fasce
sociali
conservatrici,
(grande
proprietà
terriera,
clero
e
quadri
dirigenti
dell’esercito)
intimorite
dal
possibile
dilagare
della
rivoluzione
“rossa”.
Un
intricato
intreccio
tra
fermenti
sociali,
destrutturazione
della
rappresentanza
politica
e
squadrismo
repressivo,
concepito
in
chiave
antisocialista,
fu
all’origine
dell’affermazione
dei
sistemi
autoritari
lungo
tutto
l’arco
del
territorio
europeo.
La
violenza,
utilizzata
sistematicamente
nei
confronti
degli
avversari
ideologicamente
non
allineati,
divenne
un
importante
strumento
di
fidelizzazione
sociale
e
politica,
costituendo
al
contempo
una
premessa
centrale
nel
processo
di
legittimazione
del
potere.
L’avvento
del
fascismo
in
Italia
e
del
nazionalsocialismo
in
Germania
rappresentò,
per
le
varie
associazioni
legate
alla
destra
radicale,
un
momento
decisivo
per
la
definitiva
istituzionalizzazione
del
monopartitismo.
Anche
negli
Stati
dell’area
baltica,
tra
gli
anni
Venti
e
Trenta
del
Novecento,
comparvero
le
prime
organizzazioni
estremiste,
che
orientarono
le
proprie
attività
sulla
base
delle
politiche
autoritarie
e
liberticide
promosse
rispettivamente
da
Benito
Mussolini
e da
Adolf
Hitler
in
Italia
e in
Germania.
Il
carattere
totalizzante
di
tali
regimi
trovava
la
sua
massima
espressione
nella
definizione
di
una
nuova
forma
di
potere
politico
mediante
cui
imporre
un
controllo
capillare
e
esclusivo
sulla
società
e
sugli
individui
nella
loro
interezza,
senza
lasciar
spazio
ad
alcun
genere
di
libertà.
I
sistemi
totalitari
pretendevano
dunque
un’adesione
incondizionata
della
comunità
al
progetto
di
ridefinizione
dell’intero
ordinamento
statale,
ricorrendo
al
terrore,
quale
arma
psicologica
di
coercizione
preventiva,
per
edificare
il
nuovo
ordine.
I
cittadini,
attraverso
un
complesso
processo
di
violento
indottrinamento,
divennero
totalmente
dediti
alla
nazione
intesa
quale
collettività
“organico-militante”,
compatta
e
combattiva
nel
far
valere
e
propagare
all’esterno
gli
schemi
dottrinari
veicolati
dal
regime
di
cui
erano
parte
integrante.
In
Lettonia,
già
a
partire
dal
1920,
nacquero
e si
svilupparono
i
primi
movimenti
nazionalisti
locali
composti,
nella
maggioranza
dei
casi,
da
militanti
che
avevano
sostenuto
la
causa
nazionale
nel
corso
della
guerra
di
liberazione
manifestando
l’intenzione
di
vedersi
riconosciuto,
in
virtù
del
contributo
militare
prestato,
uno
status
di
prestigio
nella
nuova
e
articolata
gerarchia
degli
incarichi
istituzionali
della
neocostituita
Repubblica
baltica.
Tali
organizzazioni,
tra
le
quali
possiamo
annoverare
il
Latvju
Nacionālais
Klubs
(LNK)
e il
Latvijas
Nacionālās
jaunatnes
savienība
(LNJS),
vantavano
tra
le
proprie
fila
numerosi
e
indicativi
esponenti,
quali
Indriķis
Pone,
Jānis
Štelmachers
e
Gustavs
Celmiņš.
Queste
formazioni,
sin
dai
loro
esordi,
elaborarono
un’ideologia
fortemente
intrisa
di
implicazioni
concettuali
derivanti
dal
nazionalismo
reazionario
di
stampo
antisemita.
Tale
visione,
caratterizzata
dall’odio
maturato
nei
riguardi
degli
apolidi
cosmopoliti,
si
diffuse
in
particolare
all’interno
dei
poli
accademici
dove
i
giovani
incominciarono
ad
avvicinarsi
ai
dettami
dello
sciovinismo
razziale.
Il
18
febbraio
1925,
in
seguito
a
due
attentanti
dinamitardi
organizzati
contro
una
stamperia
socialdemocratica,
gli
organi
giudiziari,
di
concerto
con
le
autorità
poliziesche,
decisero
di
sospendere
l’attività
coordinata
e
pianificata
dai
membri
dell’LNK.
Ricostituitosi,
dunque,
nel
marzo
del
1925
assumendo
il
nome
di
Latviešu
nacionālistu
klubs,
il
movimento
venne
definitivamente
liquidato
dalle
autorità
locali
che
ne
temevano
l’influenza
sulla
comunità
e la
vocazione
eversiva.
Indubbiamente,
si
trattò
di
un
duro
colpo
inferto
a
tutti
coloro
che
auspicavano
la
svolta
autoritaria
e la
conseguente
instaurazione
di
un
regime
monopartitico
che
ambiva
a
edificare
un
nuovo
ordine
sociale
e
culturale
sotto
la
guida
del
capo
unico.
L’estrema
destra,
seppur
ridimensionata,
continuò
a
tramare
contro
lo
Stato
riuscendo
così
a
riunire,
grazie
all’importante
mediazione
di
Štelmachers,
le
varie
correnti
che
animavano
la
vita
politica
lettone
.
Proprio
Štelmachers,
il
24
gennaio
1932,
istituì
il
movimento
Ugunkrusts
nel
quale
confluirono
e
militarono
attivamente
elementi
provenienti
dai
più
disparati
ambienti
del
nazionalismo
locale:
ex
esponenti
dell’LNK
e
dell’LNJS;
membri
dell’Alleanza
Nazionale
e
del
quotidiano
“Latvis”;
militanti
dell’associazione
sportiva
Tēvijas
sargi.
Tale
gruppo,
dal
punto
di
vista
ideologico,
si
richiamava
esplicitamente
all’esperienza
del
Partito
nazionalsocialista
tedesco
come
testimoniato
dall’avversione
maturata
nei
confronti
della
minoranza
ebraica,
dei
socialisti
e
dei
comunisti
locali.
Tra
le
diverse
organizzazioni
spiccò
per
importanza
anche
la
società
Legions
costituita
da
ex
militari,
decorati
dall’ordine
cavalleresco
dei
Lāčplēsis,
che
intrattennero
rapporti
di
stretta
collaborazione
con
i
maggiori
esponenti
della
destra
parlamentare.
La
mobilitazione
politica
pianificata
da
Adolf
Hitler
in
Germania
ebbe
un
importante
eco
all’interno
del
panorama
nazionale
lettone
dove,
nel
giugno
del
1932,
fu
costituito
il
Nuovo
partito
nazionale
rivoluzionario
degli
operai.
Questo
schieramento,
profondamente
condizionato
dell’influenza
ideologica
esercitata
dai
nazisti,
concepì
un
disegno
politico
teso
a
stravolgere
l’asseto
istituzionale
vigente.
Tale
concezione,
infatti,
prevedeva
l’accentramento
del
potere
nelle
mani
del
leader
carismatico,
riconosciuto
quale
depositario
dell’unità
nazionale,
e
l’istituzione
di
speciali
commissioni
ministeriali
in
luogo
del
Parlamento.
Il
movimento,
inoltre,
maturò
una
visione
fortemente
dirigista
nella
ridefinizione
dell’impianto
economico
dello
Stato
tentando
perciò
di
incentivare
la
diffusione
della
cosiddetta
visione
autarchico-corporativa
finalizzata
a
indirizzare
la
produzione
verso
obiettivi
di
interesse
nazionale.
La
vocazione
eversiva
di
tali
fazioni
suscitò
l’attenzione
delle
autorità
poliziesche
le
quali,
nel
corso
di
varie
indagini,
raccolsero
importanti
informazioni
attestanti
la
volontà
di
stravolgere
l’attuale
ordinamento
democratico
attraverso
una
violenta
presa
del
potere.
Queste
associazioni
vennero
perciò
deferite
dalla
polizia
politica
al
Tribunale
di
Riga
che
almeno
inizialmente
decise
di
accogliere
soltanto
l’istanza
relativa
allo
scioglimento
del
Nuovo
partito
nazionale
rivoluzionario
degli
operai.
Le
preoccupazioni
nutrite
dalle
istituzioni
locali
per
la
possibile
ascesa
di
un
sistema
liberticida
indussero,
ben
presto,
gli
organi
giudiziari,
in
seguito
all’emanazione
di
un
decreto
ratificato
all’unanimità
dalla
Camera
nell’aprile
1933,
a
decretare
la
chiusura
dell’organizzazione
Ugunskrusts.
Malgrado
ciò,
l’impianto
organizzativo
delle
suddette
formazioni
non
fu
totalmente
destrutturato
ma,
anzi,
ridefinito
e
rafforzato
sotto
la
guida
di
Gustavs
Celmiņš,
il
quale,
nel
maggio
‘33,
diede
vita
a un
nuovo
soggetto
politico,
denominato
Pērkonkrusts,
di
cui
entrarono
a
far
parte
tutti
gli
esponenti
dei
movimenti
precedentemente
sciolti.
L’ideologia
del
neo-costituito
schieramento
fu
definita
sulla
base
dei
dettami
del
patriottismo
nazionalista,
contemplando
dunque
l’idea
di
una
nazione
lettone
pura
e
arianizzata.
La
salvaguardia
della
razza
baltica,
l’esaltazione
della
terra
lettone
e il
razzismo
biologico
si
configurarono
come
i
principi
teorici
che
spinsero
gli
esponenti
dei
Pērkonkrusts
a
sviluppare
una
visione
etnicamente
gerarchizzata
della
società,
all’interno
della
quale
gli
ebrei,
accusati
di
contaminare
l’identità
etnica
e
biologica
del
Paese,
rappresentavano
i
nemici
da
liquidare
a
causa
della
loro
propensione
a
“ibridarsi”.
L’antisemitismo
divenne
l’elemento
portante
dell’architrave
dottrinaria
sviluppata
dalle
«Croci
del
tuono».
Il
razzismo
propagandato
dai
Pērkonkrusts
evidenziava
la
necessità
di
preservare
l’arianità
dei
lettoni,
percepiti
come
i
diretti
discendenti
delle
antiche
tribù
baltiche.
Tale
visione,
fortemente
influenzata
dalle
teorie
eugenetiche
elaborate
verso
la
fine
dell’ottocento
e
largamente
diffusesi
all’inizio
del
“secolo
breve”,
provocò
la
dura
reazione
di
comunisti,
socialdemocratici
e
degli
stessi
ebrei,
i
quali
rivolsero
numerose
rimostranze
alle
autorità
locali
tacciate
di
tutelare
gli
interessi
dei
Thunder
Cross.
L’organizzazione,
grazie
alla
sua
intensa
attività
di
propaganda,
riuscì
ad
allargare
le
basi
del
proprio
consenso
tra
i
commercianti,
i
funzionari
dello
Stato,
i
volontari
della
milizia
paramilitare
denominata
Aizsargi,
i
membri
delle
corporazioni
studentesche,
i
militanti
dei
circoli
politici
locali
e
gli
esponenti
dei
quadri
militari
dell’esercito.
Il
17
settembre
1933
i
dirigenti
del
Partito
organizzarono,
a
Riga,
una
serie
di
cortei
e
riunioni
durante
i
quali
Celmiņš
presentò
il
programma
elaborato
dai
membri
del
Partito,
rimarcando
peraltro
la
necessità
di
costruire
una
Lettonia
nuova,
arianizzata
e
affrancata
dall’oppressiva
presenza
delle
varie
minoranze
etniche
(ebrei,
tedeschi,
polacchi
e
russi)
da
secoli
radicate
sul
territorio.
Il
manifesto
contemplava
inoltre
la
soppressione
del
sistema
partitocratico
e
l’accentramento
del
potere
nelle
mani
del
Partito
unico.
A
livello
economico,
invece,
gli
esponenti
del
movimento
abbracciarono,
idealmente,
la
“dottrina
dirigista”,
caratterizzata
dal
massiccio
interventismo
da
parte
dello
Stato
nella
pianificazione
della
produzione
e
nella
successiva
redistribuzione
delle
risorse
primarie.
L’esaltazione
della
dimensione
bucolica
della
nazione,
sintetizzata
nel
legame
inscindibile
tra
i
lettoni
e la
terra,
indusse
i
Pērkonkrusts
a
perfezionare
quel
progetto
di
sviluppo
finanziario
orientato
verso
l’espansione
e la
crescita
del
settore
agricolo,
manifestando
il
desiderio
di
raggiungere
l’autosufficienza
in
tale
comparto
produttivo.
Nel
frattempo,
verso
la
fine
del
novembre
1933,
la
polizia
irruppe
in
una
riunione
illegale
indetta
dagli
esponenti
della
Fraternità
baltica
(un’associazione
d’ispirazione
nazista
sorta
nel
Paese)
e
catturò
i
suoi
partecipanti,
i
quali,
costituendo
una
grave
minaccia
per
le
sorti
della
Repubblica,
vennero
deferiti
ai
competenti
organi
giudiziari
mentre
“due
cittadini
del
Reich
espulsi
dalla
Lettonia”.
L’episodio
destò
profondo
scalpore
tra
le
fila
dei
socialisti
che
decisero
perciò
di
intervenire
alla
Camera,
presentando
un’interpellanza
“sul
loro
soggetto
preferito:
pericoli
delle
mene
della
Germania
hitleriana,
minaccia
del
fascismo,
necessità
di
espellere
tutti
gli
hitleriani”.
L’offensiva
socialdemocratica
raggiunse
il
suo
apice
in
seguito
all’elaborazione
di
un
disegno
di
legge
con
il
quale
si
ribadiva
la
necessità
di
escludere
definitivamente
i
Pērkonkrausts
dalla
politica
attiva.
Nonostante
il
decreto
fosse
stato
approvato
dalla
maggioranza
del
Parlamento
(68
voti),
la
questione
fu
sottoposta
all’attenta
analisi
del
Tribunale
regionale
di
Riga,
il
quale
aveva
disposto
che
il
Partito
e
l’associazione
Tēvijas
sargi
sospendessero
ogni
loro
attività
(19
dicembre
1933).
Il
direttore
del
quotidiano
“Pērkonkrausts”
fu
arrestato
e
circa
dodicimila
copie
del
giornale
vennero
sequestrate.
Tali
operazioni
repressive,
tuttavia,
non
attenuarono
l’intensa
attività
programmata
dai
rappresentanti
del
Partito,
i
quali
organizzarono,
nel
duomo
di
Riga
(23
dicembre
1933),
una
“solenne
cerimonia”
alla
quale
parteciparono
centinaia
di
attivisti
che
gravitavano
attorno
al
movimento.
Al
termine
della
“funzione”
la
polizia
politica
arrestò
6
esponenti
di
spicco
dell’organizzazione.
I
giudici,
in
base
al
materiale
raccolto
dagli
agenti
nel
corso
delle
perquisizioni
effettuate,
emisero
l’attesa
sentenza.
Si
predisponeva
dunque
il
definitivo
scioglimento
dei
Pērkonkrausts
e
quello
delle
varie
sezioni
a
esso
collegate.
Il
verdetto,
prevedeva
inoltre
la
chiusura
dell’associazione
sportiva
Tēvijas
sargi,
la
cui
attività
venne
proibita.
Un
ulteriore
colpo
nei
confronti
del
movimento
fu
inferto
quando
i
socialdemocratici,
durante
il
dibattito
parlamentare
relativo
all’approvazione
della
legge
di
bilancio,
avanzarono
la
proposta
di
estromettere
dagli
impieghi
statali
tutti
coloro
che
avessero
militato
o
sostenuto
i
Pērkonkrausts,
l’associazione
Tēvijas
sargi,
l’organizzazione
Jaunas
Latvias
e il
movimento
Legions.
Anche
tale
mozione
venne
approvata
dal
Saeima
con
ben
53
voti.
Nonostante
l’organizzazione
fosse
stata
ormai
sciolta
dalle
autorità
giudiziarie,
i
delegati
della
«Croce
del
tuono»
continuarono
a
pianificare
la
propria
attività
politica
in
uno
stato
di
assoluta
clandestinità
incappando,
talvolta,
nella
morsa
repressiva
predisposta
dagli
organi
polizieschi.
Il
ritardo
con
il
quale
i
provvedimenti
contro
i
Pērkonkrausts
furono
adottati
dal
governo
guidato
da
Ulmanis
lasciavano
presagire
l’intenzione
dell’allora
presidente
del
consiglio
di
inglobare
i
dirigenti
della
fazione
ultranazionalista
nel
proprio
Partito,
estendendo
ulteriormente
le
basi
politiche
e
sociali
del
suo
esecutivo.
Tuttavia,
le
differenze
programmatiche
e i
contrapposti
interessi
che
intercorrevano
tra
i
due
schieramenti
determinarono
il
definitivo
tracollo
delle
trattative
in
atto.
La
svolta
autoritaria,
impressa
nel
maggio
1934
dal
leader
dell’Unione
dei
contadini
Ulmanis,
fu
concepita
allo
scopo
di
arginare
l’ingovernabilità
politica
che
affliggeva
il
Paese
limitando
al
contempo
il
raggio
d’azione
delle
maggiori
forze
eversive
che
costituivano
un
serio
pericolo
per
la
sopravvivenza
democratica
della
giovane
Repubblica.
Numerose
organizzazioni,
infatti,
avevano
incominciato
a
reclutare
partigiani,
a
procurarsi
armamenti
e a
incentivare
la
propaganda
sovversiva
preparando
così
il
terreno
per
la
tanto
agognata
svolta
politico-istituzionale.
I
timori
per
un
possibile
golpe
ultrareazionario,
infatti,
si
rivelarono
fondati
quando
la
polizia
arrestò
i
membri
dell’associazione
nazionalista
dei
Legionari,
capeggiati
da
Voldemārs
Ozols,
con
l’accusa
di
aver
progettato
un’insurrezione
armata
volta
a
rovesciare
l’ordine
costituito.
L’instabilità
politica,
la
recessione
economica
e il
diffuso
antistatalismo
incarnato
dalle
cosiddette
formazioni
“dissidenti”
furono
le
cause
determinanti
che
costrinsero
Kārlis
Ulmanis
ad
adottare
quelle
leggi
in
“difesa
dello
Stato”
con
le
quali
il
capo
del
governo
accentrò
tutto
il
potere
nelle
sue
mani.
I
cosiddetti
partiti
sovversivi
furono
liquidati
e i
rispettivi
rappresentanti
tratti
in
arresto
assieme
ai
funzionari
statali
e
comunali
che
vi
avevano
militato.
Il
14
maggio
1934,
durante
una
riunione
clandestina
avvenuta
senza
la
previa
autorizzazione
del
Ministero
dell’Interno,
le
forze
dell’ordine
catturarono
il
leader
dei
Pērkonkrausts,
Gustavs
Celmiņš,
e
ulteriori
90
dirigenti
appartenenti
al
movimento.
Le
indagini
compiute
permisero
alla
pubblica
sicurezza
di
rinvenire
una
“particolare
circolare”
nella
quale
si
evidenziava
la
necessità
di
sconfessare
l’esecutivo
Ulmanis,
sovvertendo
violentemente
l’ordinamento
dello
Stato
attraverso
una
rivoluzione
politico-culturale.
Il
26
febbraio
1935,
presso
il
Tribunale
di
guerra,
incominciò
il
processo
che
vide
imputati
i
capi
e i
membri
appartenenti
alle
«Croci
del
Tuono».
L’ambasciatore
italiano
a
Riga,
Giorgio
Francesco
Mameli,
descrive
minuziosamente,
in
una
nota
inviata
a
Roma,
i
provvedimenti
adottati
nei
riguardi
degli
accusati:
… La
maggior
degli
arrestati
furono
puniti
con
sanzioni
amministrative
da
parte
del
prefetto;
14
persone
furono
sottoposte
a
procedimento
penale
presso
il
Tribunale
di
Guerra
sotto
l’accusa
di
aver
tentato
di
organizzare
una
rivolta
contro
i
poteri
dello
Stato
e di
resistenza
agli
ordini
del
governo.
Poco
prima
del
processo
la
polizia
aveva
proceduto
a
nuovi
arresti
fra
gli
affiliati
al
Pērkonkrausts
che
ancora
sono
in
libertà
e
che
avevano
intensificato
la
loro
attività
per
ordine
di
Celmiņš.
A
Riga
sono
stati
così
arrestati
26
individui.
Quest’oggi
si è
avuta
la
sentenza
da
parte
del
Tribunale
di
Guerra.
Gli
imputati
sono
stati
riconosciuti
colpevoli
dei
fatti
loro
attribuiti.
Celmiņš
è
stato
condannato
alla
reclusione
per
un
periodo
di
tre
anni
in
una
casa
di
correzione,
altri
sei
imputati
alla
stessa
pena
per
due
anni,
tre
per
un
anno
e
mezzo,
uno
per
uno,
uno
per
sei
mesi
e
uno
per
quattro
mesi.
Solo
un
imputato
è
stato
assolto
per
mancanza
di
prove.
Si
concludeva,
almeno
temporaneamente,
la
pluriennale
epopea
eversiva
che
vide
politicamente
e
socialmente
impegnati
i
diversi
movimenti
estremisti,
legati
dal
richiamo
all’esperienza
totalitaria
italo-tedesca.
Il
nuovo
impianto
istituzionale
promosso
da
Ulmanis,
in
seguito
al
putsch
ordito
nel
maggio
1934,
determinò
l’inizio
di
un
fervido
processo
di
lettonizzazione
della
società,
traducendosi
in
un’alterazione
del
complesso
equilibrio
etnico
raggiunto
nel
corso
degli
anni
immediatamente
successivi
alla
proclamazione
dell’indipendenza
nazionale
da
parte
del
Paese
baltico.
La
maturazione
di
questa
estremizzata
deriva
etnocentrica
sfociò
nella
progressiva
disgregazione
dell’eterogeneità
culturale
innescando
un
irreversibile
processo
di
marginalizzazione
che
contribuì
a
proiettare
le
minoranze
nazionali
ai
margini
della
società
civile.
Il
Vadonis
lettone
(duce)
aveva
paradossalmente
tradotto
in
realtà
gli
utopici
progetti
ultrareazionari
elaborati
dai
Pērkonkrausts,
abbattendo
così
i
consueti
canoni
sui
quali
si
fonda
la
condivisione
partecipata
con
l’alterità.
Riferimenti
bibliografici: