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N. 31 - Dicembre 2007

Il naufragio del Natale 1996
Recensione del libro Dossier Portopalo, di Sergio Taccone

di Giovanni D'Avola

 

Partendo da un caso di cronaca, la cronaca drammatica e quotidiana delle rotte dell’emigrazione verso l’Occidente, col suo strascico di tragedie e il suo tributo di morti, valutato da fonti europee nell’ordine del 15-20% di vittime rispetto a quanti si avventurano verso la costa Nord del Mediteraneo a bordo di barconi o carrette del mare, Dossier Portopalo, il libro del giornalista Sergio Taccone, corrispondente del quotidiano La Sicilia di Catania e collaboratore di Libero, affronta temi che vanno al di là del caso da cui scaturisce: il naufragio del Natale 1996, in cui persero la vita 283 immigrati provenienti da India, Sri Lanka e Pakistan, la più grave tragedia nel Mediterraneo in tempi di pace.

 

Taccone offre un resoconto puntuale dei fatti, ricostruendo la vicenda nei dettagli, connotando il proprio lavoro come un rigoroso lavoro di detection sul campo, sia in qualità di giornalista al corrente dei meccanismi del sistema dell’informazione sia in quanto profondo conoscitore della località siciliana, Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa, cui è stato intestato il naufragio, divenuto “fantasma” in virtù di uno di quegli arbitri dell’Informazione su cui, ogni tanto, la stampa si interroga, si risponde e si indigna senza conservare memoria di precedenti istruttivi.

 

Un lavoro che può essere etichettato come un resoconto preciso e puntuale da un punto di vista storico della tragedia del Natale di undici anni fa, evidenziando le inazioni dei governi in carica tra la fine del 1996 e la prima metà del 2001, le stranezze di ricostruzioni giornalistiche troppo approssimative, pur recando il marchio di grandi quotidiani nazionali, le semplificazioni ai danni di una piccola comunità siciliana dove dei pescatori trovarono tra le reti i resti dei naufraghi, ributtandoli in mare e tacendo l’orrendo ritrovamento per cinque anni.

 

Sarebbe lungo rifare il riepilogo di una vicenda esemplare da ogni punto di vista: da quello relativo ai fatti al piano delle interpretazioni e distorsioni dei medesimi, alla più generale questione della regolamentazione dei flussi migratori e all’atteggiamento della cultura occidentale di fronte a fenomeni imponenti, che le società investite dalla crescente deriva umana, demografica e antropologica sembrano più propense a ignorare nelle sue reali dimensioni che a governare, se non proprio a risolvere. Il richiamo a “colpe storiche” che incombono sull’Occidente sembra una fuga dalle responsabilità attuali: e questo, però, non sembra suscitare troppe inquietudini nelle opinioni pubbliche e nei referenti politici e “direttori di coscienza civile” ai vari livelli e settori di pertinenza (informazione, industria culturale, sistema scolastico). che non è il terminale dei processi in atto, ma un fattore che ne determina nel lungo periodo la direzione.

 

L’autore, con un’attenzione che rischia perfino di distogliere dal contenuto centrale e prioritario del libro, ricostruisce ogni passaggio del tragico naufragio. Un lavoro caratterizzato dalla coerenza del discorso e dalla forza, diremmo, dello stile, per quanto è consentito farne uso in un testo che ricade sotto le convenzioni del genere cui, in prima istanza, si iscrive un testo di controinformazione, come si usa dire, interessato a evidenziare lacune nella versione ufficiale invalsa e a fornire, in modo asciutto, diretto e scarno, dati, occorrenze e dimostrazioni a sostegno di tesi decisamente in controtendenza.

 

Taccone è molto incisivo, non tralascia nulla, né per quanto riguarda l’adesione alla vicenda in tutti i suoi sviluppi né per quanto attiene i riferimenti bibliografici, dalla storia alla filosofia alla letteratura, all’arte. Sferzante è l’ironia con cui l’autore colpisce miti e icone del “Pensiero Unico multiculturale”, da Hanif  Kureishi a Che Guevara (“tipica icona hollywoodiana evergreen, esempio di successo del merchandasing ideologico in vendita nelle bancarelle, in ostensione nei concerti e in processione nei cortei in ogni angolo del mondo. Un mito, quello del Che, sopravvissuto all’epoca che lo vide sorgere, a chi ne visse le trasfigurazioni taboritiche e soprattutto, ai limiti del personaggio”) e agli intellettuali di riferimento del movimentismo no-global (Toni Negri e Michael Hardt che, nel loro iper-celebrato e già archiviato best-seller Impero “prefigurano il salto evolutivo dalla storia alla favola”).

 

Dove il discorso di Taccone eccede i limiti imposti dall’argomento e dal modello letterario cui ascriverlo, è a proposito del multiculturalismo e dell’immigrazione, strettamente correlati e affrontati senza sottrarsi a una ricognizione storica alla luce di un’attualità su cui ha impresso il suo marchio l’11 settembre 2001. Un tema delicato che l’autore imposta al di fuori dei cliché della “political correcetness” in cui tanta storiografia recente sembra impantanarsi: laddove la cronaca ha registrato, in questi ultimi anni, un crescendo di tensioni soffocate da un clima di conformismo, peraltro, non sempre spontaneamente inteso e praticato, per lasciare il posto alle intimidazioni, alle ritorsioni delle piazze islamiche e, perciò, a censure e autocensure preventive che falsano il dibattito o lo rendono superfluo.

 

In “Dossier Portopalo” sono ripresi, inoltre, alcuni punti specifici delle polemiche, segnatamente anti-cattoliche, con largo corso nella pubblicistica che del naufragio del Natale 1996 si è occupata. Come il caso dell’incendio della Biblioteca di Alessandria, su cui taluni sono riusciti, incredibilmente, ad accreditare la tesi di un misfatto perpetrato dai cristiani, nel V secolo d.C., trascurando danneggiamenti e incidenti occorsi in precedenza e, soprattutto, riuscendo a occultare completamente la distruzione della Biblioteca, autentico tentativo di genocidio culturale, di annientamento della cultura pre-islamica, avvenuta nel 642 d.C. (luminoso ventennale dell’Egira) ad opera di Omar ibn al’As, uno dei primi quattro successori di Maometto, i cosiddetti ‘ben guidati’.

 

Taccone svela la mistificazione storiografica ed ideologica e nello stesso tempo, en passant, in maniera succinta ma con chiarezza e completezza di discorso e senza abusi sul piano dei fatti come su quello delle interpretazioni, dà conto della breve, intensa e sfortunata fioritura culturale islamica grazie alla scoperta (e alla traduzione ad opera di dotti cristiani e ebrei del Medio Oriente conquistato dai musulmani) e alla ‘contaminazione’ con il pensiero greco, dai Mutaziliti, nel IX sec. d.C. e successivamente sulla scia di essi, fra XI e XII sec., da Avicenna e Averroè, confutati da Al Ghazali, constatato che nulla di coranico o genericamente islamico era nelle opere dei predetti, sulla scorta di quanto aveva fatto al Ashari rispetto ai mutaziliti.

 

In maniera piuttosto insolita per un libro incentrato su un caso di cronaca, sebbene caso esemplare di questioni di più ampia portata, ma anche in contrasto con quanto si legge, per es., nella manualistica storia a uso delle scuole e non solo, Taccone passa in rassegna alcuni luoghi comuni cui, per pressapochismo, superficialità, conformismo, sono in molti a prestar fede o a dare autorevolezza dall’alto di una cattedra universitaria.

 

Per questo, il contenuto del libro non è arbitrario né infondato o impertinente, arricchito da interventi a latere o in calce alle questioni che solleva e alle conseguenze che trae dai fatti che esamina. Una eccezione nell’attuale panorama editoriale. Una prova di coerenza e di coraggio.

 

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