N. 144 - Dicembre 2019
(CLXXV)
N.A.T.O.: UNA STORIA LUNGA 70 ANNI
FRAGOROSA
FINE
O
FULGIDA
RINASCITA?
di
Gian
Marco
Boellisi
Lo
scorso
3
dicembre
2019
si è
tenuto
a
Watford
in
Inghilterra
il
vertice
N.A.T.O.
in
onore
dei
70
anni
dell’Alleanza
Atlantica.
Nonostante
le
celebrazioni
per
i 70
anni
dalla
fondazione,
il
summit
ha
dato
occasione
ai
leader
dei
paesi
aderenti
di
portare
a
termine
una
serie
di
incontri
bilaterali
e
multilaterali
di
grande
importanza.
Le
tematiche
trattate
sono
state
tra
le
più
disparate,
portando
allo
scoperto
tensioni
ma
soprattutto
ambizioni
di
alcune
nazioni
rispetto
ad
altre.
È
interessante
quindi
analizzare
nel
dettaglio
cosa
è
emerso
dal
vertice
N.A.T.O.
e
quali
prospettive
può
avere
l’Alleanza
alla
luce
degli
ultimi
avvenimenti
nel
contesto
internazionale.
Partiamo
tuttavia
con
ordine,
descrivendo
le
origini
e i
brevi
cenni
storici
inerenti
alla
storia
di
questa
importante
organizzazione
internazionale.
La
N.A.T.O.
è
l’acronimo
di
North
Atlantic
Treaty
Organization.
Essa
è
un’alleanza
militare
di
natura
difensiva
tra
Stati,
guidata
dalla
sua
nazione
fondatrice,
dagli
Stati
Uniti
d’America
e
nata
a
seguito
della
firma
del
Trattato
di
Washington
nel
1949
con
l’obiettivo
di
aumentare
la
cooperazione
militare
tra
i
suoi
Stati
membri.
L’organo
esecutivo
a
capo
della
N.A.T.O.
è il
Consiglio
Atlantico,
il
quale
può
riunirsi
a
livello
di
rappresentanti
permanenti
dei
paesi
membri,
dei
relativi
ministri
e
capi
di
Stato.
Il
Consiglio
è
presieduto
dal
Segretario
Generale,
carica
ricoperta
attualmente
da
Jens
Stoltenberg,
ex
primo
ministro
del
Regno
di
Norvegia.
La
nascita
dell’Alleanza
si
inquadra
negli
anni
in
cui
la
Guerra
Fredda
iniziò
a
manifestare
le
sue
prime
avvisaglie
sul
suolo
europeo.
In
particolare,
la
decisione
di
creare
un’alleanza
difensiva
di
siffatta
natura
è
riconducibile
al
triennio
1946-1949,
dove
si
assistette
a
una
svolta
totalitaria
di
tutti
i
paesi
rientranti
fino
ad
allora
nell’orbita
dell’Unione
Sovietica.
Questa
involuzione
disattese
completamente
le
promesse
fatte
da
Stalin
durante
la
Conferenza
di
Jalta,
dove
garantì
alle
forze
alleate
che
sarebbero
state
possibili
libere
elezioni
nei
paesi
sotto
l’influenza
dell’Unione
Sovietica
alla
fine
del
secondo
conflitto
mondiale.
I
casi
che
portarono
il
blocco
degli
stati
occidentali
ad
allearsi
tra
di
loro
furono
in
particolare
due.
Il
primo
è
rappresentato
dalla
Polonia,
dove
nel
1946
vennero
messi
fuorilegge
tutti
i
partiti
conservatori
che
si
candidarono
contro
i
partiti
di
sinistra
alle
elezioni.
Dopo
solo
due
anni,
nel
1948,
la
Polonia
si
trasformò
in
un
paese
a
partito
unico
diventando
de
facto
uno
stato
satellite
dell’Unione
Sovietica.
Il
secondo
caso
invece
è
quello
della
Cecoslovacchia,
dove
le
tensioni
tra
comunisti
e
anticomunisti
sfociarono
in
un
colpo
di
stato
nel
1948.
Qui
l’opposizione
venne
completamente
esautorata
dalla
vita
politica
e
venne
approvata
una
nuova
costituzione
di
stampo
comunista,
portando
il
paese
nell’orbita
dei
paesi
allineati
all’Unione
Sovietica.
Questi
due
eventi
portarono
alla
nascita
dell’Alleanza
Atlantica,
rispondendo
così
a un
senso
di
minaccia
generale
da
parte
dei
paesi
occidentali.
La
storia
della
N.A.T.O.
ha
avuto
un’evoluzione
complessa
e
articolata
nel
corso
dei
decenni,
allo
stesso
modo
di
tutte
le
alleanze
stipulate
nel
corso
della
storia
tra
paesi
radicalmente
diversi
tra
loro
per
fronteggiare
un
nemico
comune.
Non
appena
vi
entrò
la
Germania
Occidentale,
l’Unione
Sovietica
decise
di
rispondere
a
questa
provocazione
istituendo
un’alleanza
del
tutto
speculare
tra
i
paesi
comunisti
dell’Est
Europa:
il
Patto
di
Varsavia.
Nel
corso
dei
decenni
questi
due
fronti
contrapposti
garantirono
la
sicurezza
delle
rispettive
zone
d’influenza,
trovandosi
tuttavia
in
più
d’una
occasione
sull’orlo
del
conflitto.
Non
sono
mancati
però
momenti
di
dialogo
e
collaborazione
tra
i
due
blocchi.
Risale
al
19
novembre
1989
la
firma
del
Trattato
Cfe
(Conventional
Forces
in
Europe),
il
quale
stabilì
un
tetto
massimo
alle
forze
convenzionali,
quali
carri
armati,
obici
di
artiglieria,
elicotteri
da
guerra
e
aerei,
presenti
tra
i
due
schieramenti
in
Europa,
e
più
precisamente
dall’Oceano
Atlantico
agli
Urali.
Nonostante
queste
prove
di
collaborazione,
a
seguito
del
crollo
dell’U.R.S.S.
nel
1991,
la
N.A.T.O.
fu
vincitrice,
per
abbandono
dell’avversario,
di
un
conflitto
durato
ben
42
anni.
Da
qui
in
poi
le
forze
del
Patto
Atlantico
si
trovarono
almeno
per
un
decennio
completamente
padrone
dello
scenario
europeo
e
parzialmente
anche
di
quello
internazionale.
Nonostante
l’euforia
della
vittoria,
i
vertici
N.A.T.O.
affermano
che
i
confini
dell’Alleanza
non
si
sarebbero
mai
allargati
a
Est,
rispettando
quindi
le
zone
di
influenza
della
neonata
Federazione
Russa
e
evitando
quindi
di
rievocare
vecchi
conflitti
tra
Mosca
e
Washington.
La
storia
dimostrò
ben
presto
quanto
queste
affermazioni
fossero
totalmente
false
e
inaffidabili.
Tra
il
1992
e il
1995
l’Alleanza
Atlantica
intervenne
militarmente
per
la
prima
volta
nella
sua
storia
in
un
conflitto,
entrando
manu
militari
nella
crisi
della
ex
Yugoslavia
e
mostrando
al
mondo
i
propri
muscoli
di
fronte
alle
scintillanti
telecamere
della
CNN.
Tra
il
1994
e il
1997
furono
inaugurati
svariati
forum
per
allargare
la
cooperazione
internazionale
tra
i
paesi
aderenti
all’Alleanza
e i
paesi
europei
immediatamente
confinanti,
tra
cui
la
Partnership
for
Peace,
il
Mediterranean
Dialogue
e l’Euro-Atlantic
Partnership
Council.
Oggi
queste
iniziative
possono
essere
lette
come
il
primo
passo
per
sedurre
quei
paesi
che
erano
appena
usciti
dalla
sfera
di
influenza
sovietica
e
per
dimostrare
loro
quanto
fosse
attraente
una
possibile
entrata
all’interno
della
N.A.T.O.
Nel
1998
venne
fondato
il
Nato-Russia
Permanent
Joint
Council,
il
quale
avrebbe
dovuto
portare
la
Federazione
Russa
con
il
tempo
a
far
parte
dell’Alleanza
Atlantica.
Nonostante
questo
segno
di
distensione
e
buona
volontà,
già
l’anno
successivo
la
N.A.T.O.
si
allargò
a
Est,
accogliendo
tra
i
propri
membri
Ungheria,
Polonia
e
Repubblica
Ceca.
La
promessa
fatta
nel
1991
era
stata
infine
disattesa.
Nel
2001,
a
seguito
degli
attentati
terroristici
dell’11
settembre,
venne
invocato
per
la
prima
volta
dagli
Stati
Uniti
l’articolo
5
del
Trattato
di
Washington,
chiedendo
aiuto
militare
ai
paesi
alleati
per
dare
inizio
all’invasione
dell’Afghanistan.
Ad
oggi
è
stata
l’unica
volta
in
cui
è
stato
attivato
l’art.
5 da
parte
del
Consiglio
Atlantico
in
difesa
di
un
paese
membro
sotto
attacco
esterno.
Nel
2004
Bulgaria,
Estonia,
Lettonia,
Lituania,
Romania,
Slovacchia
e
Slovenia
entrano
a
fare
parte
della
N.A.T.O.,
causando
una
vera
e
propria
crisi
diplomatica
tra
Alleanza
Atlantica
e
Russia,
quest’ultima
non
più
guidata
dal
malleabile
quanto
cagionevole
Boris
El'cin
ma
da
un
ancora
sconosciuto
ma
già
temibile
Vladimir
Putin.
Questa
crisi
non
farà
che
aumentare
fino
a un
punto
di
stallo
che
verrà
raggiunto
nel
2007,
con
la
fuoriuscita
unilaterale
di
Mosca
dal
trattato
Cfe
a
causa
della
presenza
N.A.T.O.
sempre
più
vicina
al
proprio
confine
occidentale.
Nel
2009
e
nel
2011
vennero
avviate
altre
due
importanti
operazioni
militari
in
contesti
internazionali
di
crisi,
rispettivamente
contro
la
pirateria
marittima
e
contro
il
regime
di
Muʿammar
Gheddafi,
causando
nel
secondo
caso
due
guerre
civili
di
cui
la
seconda
ancora
attualmente
in
corso.
Infine
nel
2014
si
giunse
a
una
rottura
completa
e in
vigore
ancora
tutt’oggi
con
la
Federazione
Russa
a
causa
dell’annessione
della
Crimea
da
parte
di
Mosca
a
seguito
della
rivoluzione
colorata
avvenuta
in
Ucraina
nello
stesso
anno.
Attualmente
i
paesi
facenti
parte
della
N.A.T.O.
sono
29 e
sono:
Stati
Uniti,
Canada,
Regno
Unito,
Francia,
Belgio,
Lussemburgo,
Paesi
Bassi,
Danimarca,
Islanda,
Norvegia,
Portogallo,
Italia,
Grecia,
Turchia,
Germania,
Spagna,
Repubblica
Ceca,
Ungheria,
Polonia,
Bulgaria,
Estonia,
Lettonia,
Lituania,
Romania,
Slovacchia,
Slovenia,
Albania,
Croazia,
Montenegro.
Ora
che
abbiamo
inquadrato
meglio
questa
importante
organizzazione
internazionale,
possiamo
porre
la
nostra
attenzione
sul
vertice
di
Watford
del
3
dicembre
per
i 70
anni
dell’Alleanza
Atlantica.
Quest’incontro,
che
doveva
essere
svolto
all’insegna
della
cordialità
e
delle
celebrazioni
per
questo
importante
compleanno,
ha
portato
invece
subito
l’emergere
di
diverse
controversie
e
critiche
in
seno
agli
stessi
stati
membri
dell’Alleanza.
In
particolare
hanno
fatto
scalpore
le
parole
e la
drastica
presa
di
posizione
del
presidente
francese
Macron,
il
quale
ha
definito
l’Alleanza
Atlantica
in
uno
stato
di
“morte
celebrale”.
Il
presidente
Donald
Trump
non
ha
fatto
attendere
una
propria
risposta,
affermando
riguardo
al
suo
omologo
francese
“è
stato
molto
offensivo.
Sono
rimasto
molto
sorpreso,
è
stato
irrispettoso”.
In
generale
queste
parole
hanno
destato
grande
sorpresa,
soprattutto
in
virtù
del
fatto
che
la
Francia
è
uno
dei
membri
di
più
vecchia
data
aderenti
alla
N.A.T.O.,
per
non
dimenticare
il
suo
status
di
potenza
nucleare.
Queste
affermazioni
tuttavia
confermano
quanto
si
sospettava
ormai
da
tempo.
Infatti
la
Francia
sta
insistendo
da
un
po'
sul
concetto
di
una
“difesa
europea
comune”,
indipendente
dagli
Stati
Uniti
e
dalle
sue
politiche
e in
grado
di
essere
autosufficiente
per
affrontare
le
minacce
dell’attuale
contesto
internazionale.
Tuttavia
l’obiettivo
principale
del
progetto
sarebbe
determinare
le
priorità
della
propria
agenda
politica
in
materia
di
difesa
come
Europa,
e
non
come
N.A.T.O.
Nonostante
l’apparente
bontà
di
questa
idea,
della
quale
si
parla
tra
l’altro
da
svariati
decenni,
non
si
devono
però
nutrire
false
speranze
sulle
mire
strategiche
di
Parigi.
Non
è
infatti
un
segreto
che
la
Francia
si
sia
autocandidata
negli
ultimi
mesi
a
coordinare
e
dirigere
le
attività
di
un’ipotetica
difesa
europea.
Ciò
in
virtù
principalmente
dell’opportunità
unica
che
l’attuale
contesto
europeo
sta
fornendo
all’Eliseo.
Infatti
non
vi
sono
altri
candidati
papabili
per
un
ruolo
di
siffatto
prestigio
e
responsabilità,
essendo
tutte
le
altre
potenze
europee
impegnate
in
questioni
di
politica
interna
del
tutto
soverchianti
rispetto
all’agenda
estera.
Che
sia
la
Gran
Bretagna,
impegnata
nella
gestione
della
Brexit
e di
tutte
le
conseguenze
che
ne
deriveranno
(Irlanda
in
primis),
che
sia
la
Germania,
impegnata
a
tenere
le
redini
di
un’economia
che
dopo
anni
e
anni
di
stabilità
mostra
i
primi
segni
di
ruggine,
o
che
sia
l’Italia,
impegnata
in
un’eterna
lotta
interna
tra
le
varie
forze
politiche
senza
che
queste
abbiano
un
minimo
di
visione
d’insieme
sul
ruolo
che
l’Italia
dovrebbe
ricoprire
nel
contesto
europeo,
nessuno
di
questi
attori
ha
le
capacità
e la
forza
che
ha
la
Francia
in
questo
momento.
La
proposta
francese
tuttavia
è
solo
la
punta
dell’iceberg
di
un
problema
ben
più
profondo
insito
all’Alleanza.
Infatti
è da
tempo
che
ormai
vige
un
importante
dibattito
interno
riguardante
due
aspetti
fondamentali.
Il
primo
riguarda
le
spese
che
la
N.A.T.O.
esige
dai
propri
membri
e
che
puntualmente
sono
inferiori
alle
aspettative,
come
rimarcato
in
più
occasioni
dal
presidente
statunitense
Donald
Trump.
Il
secondo
è la
disomogeneità
d’interessi
strategici
tra
i
membri
dell’Alleanza
che
con
il
passare
degli
anni
si
fa
sempre
più
marcata.
Un
caso
fra
tutti
sono
le
recenti
manovre
turche
in
Siria,
le
quali
hanno
destato
enorme
sconcerto
in
tutta
la
comunità
internazionale,
ma
alle
quali
non
sono
seguite
azioni
concrete
per
contrastarle.
Durante
il
vertice
di
Watford
il
presidente
Macron
ha
incontrato
Trump
e ha
detto
a
questi
che
a
suo
avviso
la
N.A.T.O.
non
funziona
così
com’è
ora
e
bisognerebbe
rivedere
i
rapporti
tra
gli
alleati
affinché
l’Alleanza
possa
funzionare
in
maniera
più
efficiente.
Trump
ha
fatto
orecchie
da
mercante
e ha
risposto
con
delle
neanche
troppo
velate
minacce
commerciali
nei
confronti
dell’Europa.
Oltre
a
questo
confronto-scontro
con
il
presidente
statunitense,
Macron
ha
ricevuto
delle
aspre
critiche
dal
presidente
turco
Erdogan
a
seguito
delle
sue
critiche
dell’intervento
militare
in
Siria
e
della
sua
politica
contro
i
curdi
della
regione.
Erdogan
non
ha
usato
giri
di
parole,
definendo
il
presidente
francese
“in
morte
celebrale”
e
suggerendogli
di
pagare
le
corrette
quote
all’Alleanza
al
posto
di
promuovere
progetti
indipendenti.
La
Turchia
sta
diventando
sempre
maggiormente
una
questione
spinosa
per
l’Alleanza
Atlantica,
prendendo
sempre
più
le
sembianze
di
quell’alleato
regionale
che
tutti
disprezzano
ma
di
cui
si
ha
bisogno
per
mantenere
i
propri
interessi
strategici
in
una
certa
regione.
È
importante
ricordare
infatti
che
la
Turchia
è il
secondo
esercito
più
grande
della
N.A.T.O.,
con
un
numero
di
effettivi
che
supera
le
400.000
unità,
e
che
ospita
all’interno
dei
propri
confini
basi
militari
americane
fondamentali
per
le
politiche
della
regione,
prevalentemente
orientate
al
monitoraggio
delle
manovre
russe
sul
suo
confine
sud.
Oltre
all’intervento
in
Siria,
che
ha
dimostrato
alla
N.A.T.O.
quanto
Ankara
stia
seguendo
sempre
meno
le
politiche
dell’Alleanza
e
stia
invece
creandosi
una
propria
agenda
estera
indipendente,
vi è
una
rinnovata
amicizia
con
la
Russia
di
Putin
che
non
fa
dormire
sonni
tranquilli
il
Consiglio
Atlantico.
È
ormai
cosa
nota
infatti
che
i
turchi
hanno
acquistato
i
missili
di
fabbricazione
russa
S-400,
ovvero
un
sistema
di
difesa
terra-aria
in
grado
di
abbattere
un
aereo
anche
a
grandi
distanze.
Alcuni
analisti
sostengono
che
potrebbe
essere
potenzialmente
pericoloso
anche
per
gli
F-35,
i
caccia
bombardieri
stealth
punta
di
diamante
dell’aviazione
americana
e
occidentale.
Ed è
proprio
qui
che
risiede
la
preoccupazione
degli
Stati
Uniti,
e
quindi
della
N.A.T.O.
La
Turchia
in
questo
momento
è
uno
dei
paesi
facenti
parte
del
programma
F-35,
nonché
produttrice
di
alcune
parti
essenziali
per
la
costruzione
dell’aereo,
e
allo
stesso
tempo
acquista
armamenti
capaci
di
minacciare
l’F-35
dalla
Russia,
storico
nemico
della
N.A.T.O.
Nonostante
l’incompatibilità
sostanziale
tra
questi
due
atteggiamenti
da
parte
di
Ankara,
Washington
si
vede
bene
dal
chiudere
completamente
i
rapporti
con
Erdogan,
essendo
le
basi
presenti
su
suolo
turco
essenziali
per
le
politiche
mediorientali
statunitensi
e
non
solo.
Quanto
descritto
finora
evidenzia
solo
una
parte
delle
enormi
difficoltà
che
l’Alleanza
Atlantica
sta
attraversando
in
questo
momento
storico,
le
quali
presumibilmente
con
il
passare
del
tempo
non
faranno
che
aumentare.
Una
larga
fetta
di
studiosi
di
relazioni
internazionali
concorda
che
le
tendenze
centrifughe
dei
vari
stati
membri
della
N.A.T.O.
porteranno
alla
fine
dell’Alleanza
Atlantica,
così
come
successo
per
tutte
le
alleanze
nel
corso
della
storia.
Da
sempre
oggetto
di
studio,
la
flessibilità
delle
alleanze
tra
stati
stabilisce
che
i
paesi
si
alleino
tra
loro
solamente
in
base
alla
distribuzione
di
potenza
in
quel
preciso
momento
storico
e in
particolare
si
alleino
sempre
“contro
qualcuno”
e
mai
“per
qualcuno”.
Tuttavia
una
constatazione
frutto
dello
studio
di
secoli
di
storia
è
che
questo
tipo
di
alleanze,
una
volta
sconfitto
il
nemico
comune
per
la
quale
essa
si è
formata
in
principio,
tendono
a
sfaldarsi
in
poco
tempo,
portando
di
nuovo
gli
attori
a
cercare
un
nuovo
allineamento
nel
contesto
internazionale.
Alcuni
esempi
classici
possono
essere
la
Quadruplice
Alleanza
tra
Gran
Bretagna,
Austria,
Prussia
e
Russia
contro
la
Francia
di
Napoleone
Bonaparte
o la
coalizione
antinazista
degli
Alleati,
comprendente
Unione
Sovietica,
Stati
Uniti,
Gran
Bretagna
e
Francia.
Analogamente
a
queste
alleanze,
si
ritiene
verosimile
che
anche
l’Alleanza
Atlantica
seguirà
la
stessa
fine,
essendo
il
motivo
della
sua
creazione,
ovvero
l’Unione
Sovietica,
ormai
scomparso
da
quasi
30
anni.
Se e
quando
questo
accadrà,
è
ancora
da
vedersi.
Tuttavia
preoccupazioni
verso
la
politica
estera
degli
stati
membri
come
nel
caso
della
Turchia
oppure
spinte
centrifughe
verso
un
maggior
rilievo
nel
contesto
internazionale
come
quello
francese
sono
esattamente
quel
tipo
di
segnali
d’allarme
che
l’Alleanza
deve
cogliere
in
tempo
se
vuole
festeggiare
l’80°
compleanno.
In
conclusione,
il
recente
vertice
di
Watford
ha
evidenziato
problematiche
importanti
in
seno
all’Alleanza
Atlantica.
Per
quanto
possano
sembrare
semplici
schermaglie
o
battibecchi,
gli
Stati
Uniti
e
l’Alleanza
tutta
farebbe
bene
a
prendere
seriamente
questo
particolare
tipo
di
segnali,
visti
i
precedenti
storici
e
soprattutto
considerate
le
innumerevoli
sfide
che
dovranno
essere
affrontate
negli
anni
a
venire.
Nonostante
le
tensioni
e le
difficoltà,
alla
fine
del
summit
il
segretario
generale
Jens
Stoltenberg
ha
annunciato
la
firma
congiunta
della
dichiarazione
finale
del
vertice,
evidenziando
svariati
obiettivi
nel
breve
e
nel
lungo
termine.
Tra
di
essi
l’impiego
di
risorse
senza
precedenti
per
supportare
l’Alleanza
Atlantica,
l’attenzione
all’emergere
di
nuove
tecnologie
e
agli
utilizzi
che
se
ne
possono
fare,
il
maggior
dialogo
con
la
Russia,
storico
rivale
ma
oggi
diventato
partner
essenziale
in
alcune
aree
del
mondo,
e
infine
la
menzione
alla
Cina
per
la
prima
volta
nella
storia
come
“oggetto
di
attenzione”.
Quest’ultimo
passaggio
è
forse
il
più
importante
di
tutti.
Mostra
come
gli
assi
strategici
globali
si
stiano
spostando
sempre
più
verso
nuove
frontiere
geografiche
e di
come
la
N.A.T.O.
stia
iniziando
a
sentire
sempre
maggiormente
di
più
la
pressione
da
parte
della
Cina
e
non
della
Russia.
Tuttavia
essersi
accorti
di
avere
nella
Cina
un
potenziale
avversario
solamente
nel
2019
potrebbe
essere
veramente
la
prova
che
l’Alleanza
non
abbia
più
la
reattività
di
una
volta
e
che
forse
deve
lasciare
spazio
a
qualcosa
di
nuovo
che
sappia
guardare
al
futuro
invece
che
basarsi
su
schemi
del
passato.