UN NATALE NAPOLETANO DEL TEMPO
CHE FU
Ricordi d’infanzia
di Giovanna
D'Arbitrio
Per
molti anni,Udii tra il sonno le
ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne.
(Giovanni Pascoli)
Quando penso al Natale della mia
infanzia, il primo ricordo che
giunge alla mente è il suono delle
ciaramelle che si diffondeva
nell’aria. Gli zampognari andavano a
suonare i canti natalizi di casa in
casa in cambio di una modesta
offerta in lire e noi bambini
ascoltavamo incantati quelle dolci
nenie, mentre osservavamo
incuriositi i loro folkloristici
abbigliamenti.
Un’altra immagine del passato poi
balza sullo schermo della memoria e
vedo mio padre intento ad allestire
con cura il presepe: un vero rito
che ogni anno comportava la ricerca
di nuovi pastori nell’affollata via
di San Gregorio Armeno. E così il
presepe si arricchiva di nuovi
personaggi della vita napoletana,
piccoli flash su tradizioni e
usanze, nonché di cascatelle
argentate e mulini, laghetti e
boschetti, fiocchi di neve finta sul
muschio, casette illuminate, pecore
e pastorelli. Nella capanna centrale
con Maria e Giuseppe, il bue e
l’asinello, Gesù veniva deposto
nella mangiatoia solo allo scoccare
della mezzanotte il 24 dicembre, con
una piccola cerimonia fatta da
adulti e bambini in processione
davanti al presepe, reggendo candele
accese e cantando “Tu scendi dalle
stelle” tutti insieme. L’albero di
Natale arrivò qualche anno dopo e
papà si rassegnò ad addobbarlo per
farci contenti, anche se lo
considerava “un’usanza americana”.
A quei tempi abitavamo in una grande
casa in via Bellaria a Capodimonte
insieme ai nonni materni e alla
famiglia di mio zio Edoardo
(fratello di mia mamma): una vera
famiglia patriarcale. Per le vacanze
natalizie, tuttavia, poiché mio
padre desiderava stare con i suoi
parenti, dal 24 dicembre al 6
gennaio ci trasferivamo a casa delle
zie di mio padre in un palazzo
antico in via Tribunali, nei pressi
di Via Duomo, a due passi dalla
Cattedrale.
Zia Nicoletta e suo marito Raffaele,
la sorella nubile Zia Nina, la loro
colf Gelsomina, il gattino bianco
Ninì e il piccolo cane pechinese
Bobby hanno davvero lasciato il
segno nella mia vita, regalandomi
tanto affetto e indelebili ricordi
natalizi.
Ecco che emergono dal lontano
passato le immagini delle zie che
cucinano cibi squisiti e dolci
tipici napoletani come struffoli e
roccocò insieme a mia madre nella
cucina antica adorna di pentole di
rame appese alle pareti, il piccolo
Ninì sempre attratto dal presepe,
perseguitato da mio padre che gli
impediva di entrare nella grotta, il
goloso Bobby pronto a mangiare di
tutto e a correre e giocare con noi,
zio Raffaele che per divertirsi
lancia in aria tante monetine e ci
invita a raccoglierle per comprare
caramelle ed infine… Gelsomina,
dolce e sensibile, che
all’improvviso davanti ai miei occhi
sbigottiti di bimba si trasforma in
un’inquietante assassina di galline,
anguille e capitoni che cercano
inutilmente di sfuggire ai suoi
inesorabili coltelli.
A Natale arrivava da Roma anche Zio
Enzo Pianese, cugino di papà, che ci
faceva morire dal ridere con le sue
esilaranti battute di spirito: un
vero “personaggio”, sfegatato tifoso
del Napoli, invitato spesso in Tv
(quando era ormai molto anziano)
negli anni ‘90 a far commenti sulle
partite insieme alla nota Suor
Paola.
Mi ricordo che ci svegliavamo con il
suono delle campane delle numerose
chiese presenti nel centro storico e
spesso dopo la messa, si andava a
far compere nei pittoreschi, antichi
vicoli di Via Tribunali e dintorni,
con variopinte e coloratissime merci
esposte nelle vetrine o nelle ceste
fuori dalle botteghe, merci che i
negozianti esaltavano con i loro
cantilenanti richiami in dialetto
per attirare i passanti, mentre un
“pianino” da lontano faceva da
contralto con struggenti canzoni
napoletane sugli emigranti, come
“Santa Lucia Luntana”.
Il 31 dicembre quando Napoli
impazziva con i suoi meravigliosi
fuochi di artificio, a noi bambini
veniva concesso solo di ammirarli
dietro i vetri dei balconi: potevamo
accendere qualche innocua “stellina”
per salutare il nuovo anno. Comunque
la festività che amavamo di più era
senz’altro l’Epifania, quando il 5
gennaio si aggiungevano i Re Magi
sul presepe e poi l’indomani al
risveglio cercavamo accanto al letto
i giocattoli chiesti con una
letterina alla Befana: per lei in
cucina solevamo lasciare la sera
prima un piatto con noci dolci e un
bicchiere di vino, poiché secondo
Gelsomina “la vecchietta era sempre
tanto stanca ed affamata” per i suoi
lunghi viaggi sulla scopa.
Quando paragono il Natale del
passato con quello di oggi, penso
con nostalgia alla semplicità di
un’epoca in cui eravamo ricchi di
speranze, affetti e sentimenti: non
si facevano viaggi all’estero nel
periodo natalizio, né si prenotavano
tavoli al ristorante, si restava a
casa, tutti insieme, giovani, vecchi
e bambini, si preferiva il calore
familiare e tuttalpiù s’invitava
qualche caro amico…eppure ci
divertivamo lo stesso. E così con un
po’ di nostalgia per quei tempi
lontani, mi ritornano ancora in
mente il suono dolce delle
ciaramelle con i versi di Giovanni
Pascoli:
Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;
suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla.