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N. 140 - Agosto 2019 (CLXXI)

LA NASCITA DELLA CERAMICA SICELIOTA
SULL’IMPATTO DELLA GUERRA DEL PELOPONNESO E SUL CROLLO DELL’IMPORTAZIONE
DELLA CERAMICA IN SICILIA

di Giovanni Di Noto & Lorenzo Greco

 

Il fenomeno della nascita della ceramica siceliota e italiota è legato in maniera indissolubile al crollo delle importazioni di ceramica Attica nella parte orientale della Sicilia a causa di diversi motivi. Nel terzo quarto del V secolo (450-425 a.c.), la Sicilia con la Campania e i centri dell’Etruria padana di Adria e Spina costituivano i principali mercati per la ceramica Attica.

 

Sono stati attribuiti a più di 100 ceramografi i vasi ritrovati nell’Italia meridionale, e circa 40 sono invece i pittori che mandavano le loro opere in Sicilia. La ceramica Attica trovava ampio mercato in occidente perché era considerata merce di scambio. Contribuiscono all’aumento degli arrivi di ceramica anche il fallimento della campagna d’Egitto, viene meno difatti la possibilità di reperire cereali altrove, lasciando il solo occidente come fonte di approvvigionamento.

 

Al cambiamento delle rotte commerciali si lega anche un cambiamento della tipologia produttiva nell’industria ceramica Attica. Se per tutto il VI e i primi decenni del V secolo si producevano oggetti di lusso destinati al mercato etrusco, a partire dal secondo quarto del V secolo (450-425 a.c.), il ceramico cambia la sua produzione trasformandola in una di tipo industriale con produzioni in serie.

 

L’aumento delle esportazioni in Magna Grecia si collega a un più ampio progetto espansionistico della politica ateniese. Nel venticinquennio che va dal 425 al 400 a.c. le cose cambiano in maniera radicale e si passa da circa 500 a meno di 40 vasi esistenti. Troviamo la produzione di una ristretta cerchia di ceramografi quali il “Pittore di Camarina” e il “Pittore di Lugano”.

 

Artigiani specializzati in forme vascolari ben precise, quali crateri a calice e campana, lekythoi e pelikai. Reperti questi quasi tutti rinvenuti nella parte meridionale della Sicilia, nelle zone di Camarina, Gela, Agrigento e Selinunte. Bassa la loro presenza nella zona settentrionale e nulla nella parte orientale, nella zona sotto il controllo di Siracusa.

 

Sono diversi gli elementi che aiutano a delineare la situazione, e non riguardano solo la Sicilia, ma anche la situazione politica dell’Attica, luogo della produzione ceramica. In questo periodo le vicende vedono Atene coinvolta nella guerra contro Sparta, e una devastante epidemia di peste colpisce la città uccidendo un terzo della popolazione.

 

A causa di questo, la produzione cala in maniera vistosa, si aggiunga che schiavi e meteci scappavano via e gli operai lasciavano le officine per prendere le armi. Altri elementi caratterizzanti sono la difficoltà di intraprendere viaggi per mare a causa della guerra e le difficili relazioni commerciali con i consueti partner siciliani a causa dello stesso motivo, senza trascurare le invasioni cartaginesi a partire dal 409 a.c.

 

Visto il convergere di tutti questi elementi iniziano la loro attività in Sicilia le prime officine ceramiche a figure rosse. Molto probabilmente impiantate grazie alla presenza di maestranze Attiche in fuga da peste e guerra. La nascita di questo fenomeno viene collocata intorno alla fine del V secolo. I pittori della prima fase ceramica detta protosiceliota, si rifanno ancora a elementi stilistici e iconografici propri dell’Attica.

 

A sostegno dell’ipotesi che furono ceramografi attici a impiantare in Sicilia le officine ci sono le testimonianze letterarie di Aristofane e Tucidide oltre ai rinvenimenti archeologici. In particolare le Lekythoi a fondo bianco del “Pittore del Cannetto”, trovate in grande numero nella regione Attica, 145 per l’esattezza, e solo 2 ad Adria e Spina. Visto che questi vasi erano usati solamente ad Atene durante il rituale funerario, si pensa che fossero oggetti usati da persone trasferitisi in occidente.

 

I ceramografi siciliani sono stati divisi in 2 grandi categorie cronologiche: quelli protosicelioti, la cui produzione va dall’ultimo quarto del V secolo fino alla metà del IV, e quelli propriamente detti sicelioti, la cui scuola si fa partire dalla seconda metà del IV secolo a.c. Al primo gruppo appartengono il “Pittore della Scacchiera” e i Gruppi dell’Orgia, di Dirce, e quello di Prado-Lienga.

 

Trendall colloca il primo di questi proprio nel 425-400 fino al 380, proprio a Siracusa, vedendolo come maestro degli altri pittori. La sua forma prediletta è il cratere a calice. Peculiare del suo stile sono: l’alternarsi, nella parte inferiore della decorazione secondaria, di 3 meandri con una scacchiera che vede all’interno dei quadratini bianchi dei puntini neri; una striscia a rilievo sull’attaccatura fra piede e corpo del cratere; striscia risparmiata sul piede.

 

Nella prima fase della produzione i meandri sono resi accuratamente, anche se con il passare del tempo il pittore perderà l’attenzione ai particolari, come ad esempio la strisciolina all’interno delle foglie di alloro che ricoprono la decorazione secondaria superiore. Lo stile lo collega al “Pittore di Pothos” e al “Pittore di Kadmo”, specie per la resa dei panneggi e degli arti dei satiri. Altri ceramografi attici vengono richiamati dal suo stile per la resa delle ciocche ricce realizzate singolarmente, in particolare si fa riferimento a Medias.

 

La sua produzione si concentra nella parte orientale della Sicilia e in particolare a Lentini, Camarina, Centuripe e Randazzo. Vicina alla produzione del “Pittore della Scacchiera” c’è quella del Gruppo di Dirce, cosi chiamato dal soggetto rappresentato su di un cratere proveniente da Palazzolo. A questo gruppo appartiene il pittore omonimo, quello di “Eros e la lepre”, il “Venditore di tonni” e “Napoli 2074”. Attivi all’inizio del IV secolo come dimostra l’analisi dei contesti con cui è stata ritrovata la ceramica a loro attribuita, sono vicini al sopracitato “Pittore della Scacchiera” per la preferenza accordata alla forma vascolare, all’uso del meandro nella scacchiera.

 

Gli elementi distintivi del gruppo sono la frequente presenza di figure femminili sedute con le gambe coperte da un kitone; presenza di satiro con naso schiacciato e orecchie a punta, con un tirso a forma triangolare nella parte sommitale. I vasi del pittore omonimo al gruppo vengono dalla Sicilia, quelli del pittore dell’Eros e la lepre” invece dalla Campania.

 

Una prima teoria giustificava la presenza di questa ceramica protosiceliota al di fuori dell’isola allo spostarsi degli artigiani a causa dell’alternarsi delle vicende politiche. Recenti studi hanno portato a rafforzare la teoria che non fossero i ceramografi a spostarsi ma i vasi, a cui serviva un mercato sempre più ampio, grazie alla politica Dionigiana.

 

Al Gruppo dell’Orgia associamo il pittore omonimo, Sikon, Gruppo di Scoglitti, Pittore della pisside di Agrigento e dell’Eros inginocchiato. Commercializzano la loro produzione in Sicilia, Campania e a Locri. I pittori appartenenti a questo gruppo si caratterizzano per l’uso di forme ed elementi decorativi uguali: forme vascolari, crateri a calice, campna e skyphos; sileni e satiri barbati e non, con petto villoso e corono sul capo; coda equina fluente e sopradipinta in bianco; ornamento delle teste delle fanciulle, con capelli raccolti e tenuti da coroncine con fiocchi; decorazione dei tamburelli e ceste con motivi a croce e linee e punti.

 

A questo gruppo è vicino quello del “Prado-Lienga”, a cui si è attribuita la pisside “la rocca”, da Ragusa. Elemnto di passaggio dai pittori proto-sicelioti a quelli detti propriamente sicelioti è la diversa distribuzione della ceramica figurata che si ritrova solo sull’isola. I vasi provengono da Assoro, Selinunte, Camarina, Lipari, canicattini, Gela, Ragusa, Siracusa, Marianopoli, Lentini, Scordia, Mozia, Centuripe e Morgantina.

 

Nello studio della ceramica siceliota Trendall premette ai pittori sicelioti un gruppo che egli chiama dei precursori, a cui si attribuiscono pochi pezzi datati fra il 360 e il 340 a.c. che in piccola quantità vengono anche da Locri e Valle Pega. A loro si attribuisce la lekanis di Ferrara. Caratteristiche peculiari del gruppo sono: busto femminile reso di ¾; capezzoli resi con cerchietti; due linee orizzontali nell’addome del satiro; gambe allungate degli eroti; ali in 2 fasce di piume; mani dei personaggi con dita lunghe e spesso unione di quelle centrali.

 

Fra i pittori sicelioti distinguiamo i gruppi di Lentini-Manfria, dell’Etna e Lipari. Il primo dei gruppi si divide nei sottogruppi di Lentini e Manfria. Al gruppo di Lentini appartiene il pittore eponimo. Fu attivo durante gli ultimi due quarti del IV secolo a.c. Decora molte lebeti nunziali, lekanines e anfore. Il soggetto preferito sono gli eroti associati a delle donne sedute che hanno la parte superiore del corpo nuda. Le donne hanno i capelli raccolti in sakkos sopradipinti di bianco. Sullo sfondo appaiono rosette, puntini e grappoli. Ci aiutano a capire l’elevato distaccamento da quei modelli attici che erano presenti nella produzione proto-siceliota.

 

Vicina alla produzione del “Pittore di Lentini” c’è quella del “Pittore di Ecate”. A lui sono attribuiti pochi vasi di grandi dimensioni e di stile elaborato. Il vaso eponimo, un lebete nunziale, proviene da Lentini. L’altro sottogruppo è quello di Manfria, località a circa 10 km a ovest di Gela, da dove vengono i vasi associati a questo sottogruppo. Grazie ai contesti di rinvenimento possiamo inserire la ceramica in un arco di tempo che va dal 338 al 310 a.c. La loro forma prediletta è lo skyphos, normalmente decorato al bordo con un kymaterion al cui interno sono inseriti macchie bianche.

 

Il gruppo si caratterizza per: rendimento delle teste piccole in proporzione al corpo; bocche piccole e generalmente chiuse; scarso panneggio delle vesti reso da poche linee; grande uso della sopradipintura in bianco degli accessori; decorazione secondaria costituita da palmette alte con fiori campanulati. Quest’ultimo è l’elemento che permette una sicura attribuzione al gruppo. A questo gruppo si attribuiscono anche vasi filiaci. Il loro riconoscimento è immediato grazie al palco su cui sono dipinte le figure. In genere queste ultime sono vestite con camicioni grandi e hanno dei corpi abbondanti.

 

Altra produzione particolare che si associa al Gruppo di Manfria è quella dei vasi monumentali. Forme di grandi dimensioni (fino a 1 m di altezza) che servivano spesso da segnacoli funerari. Fra questi vasi ricordiamo il cratere a calice con vecchia, attore e papposileno su altalena. Il secondo gruppo e quello dell’Etna, chiamato così dall’area di rinvenimento dei vasi: Centuripe, Adrano, Paterno e Randazzo.

 

Data la notevole quantità di vasi trovati, si pensa che fossero prodotti a Centuripe. Su di essi sono raffigurati delle teste di donna che si affrontano, e negli spazi vuoti elementi floreali. Lo stile non si distacca molto da quello del gruppo Lentini-Manfria anche se qui c’è un gusto particolare per le sopradipinture che li rende particolarmente appariscenti, oltre a una notevole quantità di elementi decorativi secondari che tendono a eliminare quasi del tutto la superfice nera del vaso. Le forme predilette sono la lekanis, lo skyphos e l’olpe. L’ultimo gruppo appartenete ai sicelioti è quello di LIPARI.

 

Di questo gruppo conosciamo quattro centri di produzione attivi fra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.c. tre a Lipari e uno a Lilibeo. Tra le tre fabbriche di Lipari la più importante è quella che risulta essere qualitativamente la migliore, alla quale si riconduce l’attività del "Pittore di Lipari". A lui vengono attribuiti una lebete nunziale e una pisside da Lipari datata tra il 335 e il 280 a.c. Oltre a lebeti e pissidi il ceramografo lipariota decora anche stammoi, skyphoi e coppe. Caratteristica particolare della sua maniera di decorare è il risparmiare la parte nuda dei corpi riservando il coloro alle vesti e agli oggetti. Insieme alla ceramica figurata dipinge anche forme con una decorazione floreale ed elementi geometrici.



 

 

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