N. 54 - Giugno 2012
(LXXXV)
il narciso di caravaggio
lo specchio nell'arte
di Eva Vera Martìn
Il
quadro
Narciso
(
1600,
Galleria
Nazionale
d’Arte
Antica,
Palazzo
Corsini,
Roma)
non
è
citato
nelle
fonti
ne
nell
biografie
contemporanee
di
Caravaggio,
e la
sua
attribuzione
è
dovuta
a
Roberto
Longhi
nei
suoi
scritti
di
1916
e
1951.
Non
tutti
gli
studiosi
sono
d’accordo.
La
conferma
di
questa
attribuzione
può
essere
trovata
in
una
licenza
di
esportazione
di
1645,
relativa
ad
un
Narciso
di
Caravaggio
di
misure
simili
a
quest’opera.
I
detagli
risaliti
dal
restauro,
i
risultati
degli
analisi,
i
confronti
stilistici
con
altre
opere
di
Caravaggio
e il
modello
iconografico
fanno
pensare
che
Narciso
sia
un’opera
caratteristica
di
questo
pittore.
Inoltre,
Vodret,
nel
1996,
lo
data
nel
periodo
dal
1597
al
1599.
Di
questi
anni
sono,
ad
essempio,
Suonatore
di
liuto
(1596,
Museo
dell’Ermitage,
San
Pietroburgo),
Maddalena
Penitente
(1596,
Galleria
Doria
Pamphilj,
Roma)
e,
soprattutto,
Santa
Caterina
d’Alessandria
(1598,
Museo
Thyssen-Bornemisza,
Madrid).
Il
mito
di
Narciso
è un
tema
che
non
è
stato
molto
trattato
nella
pittura
italiana,
ma
si
nella
letteratura.
Ovidio
cos'
scrive
nelle
Metamorfosi
dice
che:
Interrogato
se
Narciso
sarebbe
giunto
a
vedere
una
lunga,
tarda
vecchiaia,
l’indovino
Tiresia
aveva
risposto:
“Se
non
conoscerà
se
stesso”.
(...)
Molti
giovani,
molte
fanciulle
lo
desiderarono;
ma
quella
tenera
belezza
era
di
una
superbia
così
ostinata,
che
nessun
giovane,
nessuna
fanciulla
mai
lo
toccò.
(...)
Così
Narciso
aveva
deluso
costei
(la
ninfa
Eco),
così
altre
ninfe.
Finché
un
giorno
uno,
disprezzato,
levò
le
mani
al
cielo
e
disse:
“Che
possa
innamorarsi
anche
lui
e
non
possedere
chi
ama!”.
Così
disse,
e la
dea
di
Ramunte
(Nèmesi)
assentí
a
quella
giusta
preghiera.
C’era
una
fonte
senza
un
filo
di
fango,
dalle
acque
argentate
e
trasparenti.
(...)
Qui
il
fanciullo
(...)
attonito
fissa
se
stesso
e
senza
riuscire
a
staccare
lo
sguardo
rimane
immobile
come
una
statua
scolpita
in
marmo
di
Paro.
(...)
Desidera,
senza
saperlo,
se
stesso.
(...)
Né
desiderio
di
cibo,
né
desiderio
di
riposo
riesce
invece
a
staccarlo
da
lì.
(...)
A
quella
vista
non
resiste
più.
E
sfinito
dall’amore,
si
strugge
e un
fuoco
occulto
a
poco
a
poco
lo
consuma.
(...)
Le
ultime
parole
che
egli
pronunciò
furono:
“Ah,
fanciullo
invano
amato!”
(...)
La
morte
buia
chiuse
quegli
occhi
che
ancora
ammiravano
la
forma
del
loro
padrone.
(...)Al
posto
del
corpo
trovarono
un
fiore:
giallo
nel
mezzo,
e
tutt’intorno
petali
bianchi.
Caravaggio
fa
uso
di
una
composizione
semplice,
dividendo
l’immagine
in
due
parti,
quella
superiore
con
Narciso
appoggiato
davanti
all’acqua,
e
quella
inferiore
col
suo
riflesso.
Questo
è il
momento
dove
vede
se
stesso
per
prima
volta,
e
poi
non
potrà
smettere
di
guardarsi.
I
suoi
vestiti
sono
quelli
della
fine
del
XVI
secolo.
Il
riflesso
di
Narciso,
tuttavia,
non
è
tanto
bello
come
lui:
è
più
scuro,
con
gli
occhi
un
po’
chiusi.
È
questo
riflesso
il
colpevole
della
triste
fine
di
Narciso.
Riferimenti
bibliografici:
AAVV,
Caravaggio,
Unidad
Editorial,
Madrid,
2005.
Ovidio,
Metamorfosi.
Einaudi
Editore,
Torino,
1994.