N. 3 - Marzo 2008
(XXXIV)
Napolitàmo
RECENSIONE DEL LIBRO
DI
Giannino Di
Stasio
di
Antonio
Pisanti
Dire
di un libro su Napoli che ce n’era bisogno è già
abbastanza, visto il gran numero di persone che scrivono
libri, inchieste e servizi giornalistici sulla città,
anche perché sperano così di essere letti e di aumentare
la tiratura del loro giornale o l’audience della loro
trasmissione.

Non
interessa se i temi sono triti e ritriti, le
argomentazioni banalmente unilaterali, poco documentate
e ispirate, più che dalla conoscenza dei fatti, da
quelle deformazioni dell’informazione globale che
accredita stereotipi di facile presa sul pubblico e
risparmia ai suoi destinatari il piacere e l’impegno di
ragionare e di comprendere: quel che conviene è scrivere
di Napoli.
Ed
ecco che, finalmente, dopo tanti “speciali”, dossier,
denunce suggerite dal disprezzo e da un incalzante
animus denigratorio nei confronti di tutto il Sud, c’è
qualcuno che, proprio mentre Napoli è ancora una volta
nell’occhio del ciclone, trova il coraggio di dedicarle
un libro d’amore.
Il
qualcuno è Giannino Di Stasio, pubblicista e narratore
che ha al suo attivo una decina e più di romanzi ed
altrettanti saggi, più volte premiati con autorevoli
riconoscimenti.
È un
napoletano acquisito, ma verace (“i napoletani non sono
tutti uguali” pag. 39), tanto da dedicare alla sua città
“Napolitàmo”, questo è il titolo del libro, un libro del
quale è non solo lui ad aver sentito il bisogno fino a
scriverlo, ma che è, appunto, un libro di cui c’è
bisogno perché si possa uscire, con Giannino Di Stasio,
“fuori dal coro” (è il sottotitolo della collana
“l’urlo” dell’editore Gallina) di una pubblicistica
ormai abusata e stantia.
Ma
“Napolitàmo” non è solo un libro d’amore per la città,
alla quale l’autore si rivolge ripetutamente, da
innamorato, con il vocativo di Napoli mia,
riservando solo al suo nome (“bisogna comprendere
bene la differenza tra nome e parola” pag. 15)
l’evidenza del carattere tipografico che lo fa
rimbalzare tra le pagine come in un canto.
“Napolitàmo” è anche un gradevole pamphlet nel quale Di
Stasio si fa severo castigatore dei suoi denigratori
interni ed esterni, i quali, questi ultimi, la “rendono
insopportabile anche nella dialettica evanescente di chi
non ti frequenta, di chi non vive conte te, di chi non
ha alcun legame, né affettivo, né di lavoro, né
sporadico con una città che non stima”.
Di
Stasio, che si è “letteralmente rotto a sentir parlare
male di questa città”, affila le armi del ragionamento,
della satira e dell’ironia per smascherare equivoci,
pregiudizi e distorsioni che contribuiscono a falsare
l’immagine di Napoli e a danneggiarla notevolmente,
evidenziando unicamente difetti ed emergenze che pure vi
sono, ma ignorandone i numerosi pregi e le enormi
risorse e potenzialità.
Del
resto, per riportarsi ad alcuni luoghi comuni
emblematici del modo di rappresentare la città, basta
scorrere l’indice dei vari capitoli del libro; capitoli
che si chiudono con dei piacevoli flash back sulla
storia di Napoli, dalle origini fino alla prima metà del
Novecento, storia che rimane quasi come una musica di
fondo dell’intero componimento di Giannino Di Stasio,
per riaffiorare di volta in volta con armoniosa
leggerezza.
Pagine in amorevole difesa della città, che mettono a
confronto i suoi mali con quelli di altri centri urbani
in un mondo sempre più turbolento ed invivibile, con un
intento, comunque, tutt’altro che assolutorio nei
confronti di chi a Napoli questi mali ha concorso e
concorre ad aggravare. |