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N. 26 - Luglio 2007

L’antica Stazione della Napoli-Portici e la Flotta borbonica sommersa

Beni culturali da salvare per il recupero della memoria storica e dell’identità del Mezzogiorno

di Antonio Pisanti

La riapertura al pubblico di siti edificati durante il periodo borbonico, l’ampia letteratura urbanistica ed architettonica, l’allestimento di numerose sezioni espositive e didattiche, utili a delineare un itinerario nella memoria della Napoli capitale, hanno contribuito a restituire  alle vicende politico-culturali del Regno il loro giusto rilievo.

La rivalutazione della presenza borbonica a Napoli e nel Mezzogiorno, favorita da enti ed istituzioni al di sopra di ogni sospetto nostalgico, ha fatto finalmente uscire allo scoperto e mette in luce l’impegno e l’attività di studio  e di ricerca di quanti avevano solo il torto di non volersi arrampicare, come al solito, al carro del conformismo imperante. Il tutto aiuta a ricostruire la memoria e l’identità di una Città, salvando dalle rovine edifici monumentali e siti il cui recupero richiede ingenti interventi finanziari, ma è anche motivo di riqualificazione urbanistica delle aree circostanti, di occupazione e di crescita socioeconomica.

Il recupero,  tuttora in corso,  del Real Albergo dei Poveri,  che ha visto, sin dal 1995,  sulla prima linea di un tanto arduo quanto proficuo impegno di sensibilizzazione e di promozione civile, insegnanti, alunni e genitori della dirimpettaia Scuola statale “Dante Alighieri”, all’epoca diretta da chi scrive,  il restauro e la restituzione al pubblico di numerose Ville Vesuviane, del glorioso opificio di Pietrarsa e il preannunciato restauro del Granatello, con il ripristino degli antichi approdi, in un contesto di recupero ambientale di tutta la zona del “Miglio d’Oro”,  costituiscono le tappe fondamentali  nell’opera di rianalisi e di rivalutazione di una fase della nostra storia troppo spesso destinataria di ostracismo e di mistificazioni a danno dei vinti.

Sono tappe essenziali di un itinerario da far proseguire,  perché numerosi sono ancora i beni culturali e le testimonianze, magari meno visibili e/o meno noti, che devono essere salvati prima che sia troppo tardi,  da tutelare per offrirne il godimento ai napoletani, agli studiosi ed ai turisti che, nonostante il degrado socio-ambientale della città, continuano ad affollarne le strade e i musei.  Lo stesso degrado, del resto, come si è più volte evidenziato, può essere arrestato, con una  decisa inversione di tendenza, grazie all’impegno civile che può scaturire da un rinato senso di appartenenza e da una cittadinanza attiva che l’educazione, l’informazione e la  cultura locale  possono e devono risvegliare.

Continuando la rassegna iniziata nello scorso numero di InStoria, vogliamo ricordare altre due testimonianze in rovinoso abbandono.

Una è l’antica Stazione della prima Ferrovia italiana, la Napoli-Portici, attivata nel 1839 da Ferdinando II di Borbone, la cui ultima finestra al corso Garibaldi, nei pressi dell’attuale Circumvesuviana, sta per abbattersi al suolo, senza che si riesca a dirimere un vecchio conflitto di competenze tra le Ferrovie ed il Comune di Napoli.

Dell’annoso contenzioso ci ha dato conferma la stessa divisione del trasporto regionale di Trenitalia all’epoca del nostro primo grido di allarme. Le condizioni di degrado del sito sono state da noi più volte denunciate, attraverso quotidiani, periodici ed interventi vari, evidenziando la vergognosa funzione assunta da una puntellatura diventata ricettacolo di rifiuti di ogni genere e che è stata poi modificata, senza avviare comunque l’ opera di consolidamento e di ricostruzione. Di Ferdinando II si è dibattuto vivacemente, in occasione della cerimonia di intitolazione a suo nome della piazza Antica Reggia ad Ischia Porto, ricordandone i molti meriti, tra i quali, appunto,  quello della costruzione della prima ferrovia italiana.

Altro tesoro di valore, non solo documentale, per il cui recupero, grazie anche interessamento dell’ Ipsema, l‘Istituto di Previdenza per il Settore Marittimo, sono state da tempo presentate interrogazioni parlamentari, sono i resti sommersi della flotta della Marina militare borbonica, fatta incendiare ed affondare nel porto di Napoli,  nel gennaio del 1799, per ordine dell’ammiraglio Nelson che intese così impedire che le navi non trasferite in Sicilia  diventassero bottino di guerra dei Francesi. La Rivista marittima, mensile della Marina Militare Italiana, ha meritoriamente dedicato all’argomento più di uno dei suoi pregevoli supplementi, con bellissime fotografie di Claudio Romano.

Si tratta, in questo caso, di testimonianze che potrebbero costituire, tra l’altro, un interessante richiamo in un Museo del Mare, da allestire anche nella prospettiva di sottolineare il ruolo della nostra città quale centro del Mediterraneo e che potrebbe attirare non solo l’attenzione degli appassionati di storia della marineria, ma di tutti quanti sono attratti dal fascino evocativo del viaggiare navigando e del  Mare Nostrum quale luogo di incontro di civiltà, dei loro miti e della loro storia .

 Si tratta di reperti  che, come ha ancora una volta evidenziato recentemente il presidente del Centro studi subacquei, Armando Caròla,  rischiano di essere irrimediabilmente distrutti se non si provvederà a recuperarli prima dei lavori di ampliamento e di drenaggio del porto.

 Capita spesso di rilevare come, in località prive di testimonianze storiche e monumentali significative, le autorità del posto e gli stessi abitanti si adoperino per valorizzarne e salvaguardare le pur minime e modeste tracce del passato. In un’epoca di incalzante  globalizzazione e di frenetica corsa all’omologazione, tendenti a cancellare ogni identità, si cerca di ricostruire addirittura dal nulla tali tracce, talvolta persino inventandole,  per ritrovare la memoria  dei luoghi e  una loro originaria specificità e vocazione:  è quindi ancora più comprensibile quanto sia grave ed imperdonabile lasciare andare in rovina beni come questi, tuttora esistenti e recuperabili, nonché di indubbio valore.

E' ovvio che, in una più ampia ed onnicomprensiva accezione di bene culturale, lo stesso impegno di valorizzazione e di sostegno è da riservare  per istituzioni, opere di ingegno, attività come editoria, cinematografia ed ogni altra iniziativa finalizzata a rinsaldare nel passato le radici del futuro.

 

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