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N. 146 - Febbraio 2020 (CLXXVII)

l’assedio di tolone

quando napoleone divenne napoleone - Parte I

di Sara Bordignon

 

In 200 anni sono stati scritti più di 300,000 libri su Napoleone Bonaparte, “sono più i libri su di lui che i giorni passati dalla sua morte” scriveva nel 1976 lo storico francese Jean Tulard. In questa folta schiera di pagine si può incontrare il Napoleone politico, lo stratega geniale, l’antesignano dell’Europa unita, ma anche il Napoleone dittatore e propagandista, l’uomo delle arti e il legislatore.

 

A tutti è familiare l’immagine dell’uomo stempiato di mezza età, lievemente sovrappeso, con il bicorno infeltrito sul capo e la redingote grigia calata sulle spalle; un uomo dallo sguardo d’aquila, dall’aria autorevole, ma vissuta, circondato da amanti e da un enorme potere.

 

Meno conosciuto è il Napoleone ai tempi di Tolone, così magro da sembrar malato, con lunghi capelli che gli ricadevano sulle spalle, lo sguardo vivo, nervoso e la carnagione olivastra. L’imperatore dei francesi a quel tempo non era né potente né amato dalle donne, ma era assetato di sapere e lavorava per sopravvivere. Era il 1793, aveva 24 anni e si chiamava ancora Buonaparte, la “u” dal cognome l’avrebbe tolta solo nel 1796.

 

Perché Tolone? Fu proprio lì che Napoleone diede una brillante prova delle sue abilità strategico-militari, tanto da far entrare il suo nome nella stanza dei bottoni di Parigi. «Ho deciso di iniziare da lì le mie Memorie», disse in esilio a Sant’Elena nel 1817; lui stesso lo definì il suo primo successo”.

 

Nell’estate del 1793 la Francia era in guerra, i soldati delle armate rivoluzionarie dovevano combattere contro lo straniero e contro altri francesi, ostili al governo rivoluzionario. A luglio Tolone si era consegnata nelle mani del nemico e la situazione era delle più gravi poiché la città era la base navale più importante di tutta la Francia: chi controllava Tolone controllava parte del Mediterraneo.

 

Nel 1789 la piena della Rivoluzione francese aveva inondato la nazione e dopo quattro anni non si era ancora arrestata, anzi, ora scorreva in Europa. A partire dal 1792 la Francia repubblicana si sarebbe scontrata contro Austria, Prussia, Russia, Spagna, Portogallo, Regno di Piemonte, Regno di Napoli, Gran Bretagna, Olanda e langraviato di Assia-Kassel, in una serie di conflitti che avrebbero avuto fine solo nel 1802, con la Pace di Amiens, quando ormai Napoleone dominava la scena politica europea.

 

Il 1793 si era aperto con la morte del re Luigi XVI, avvenuta sulla ghigliottina il 21 gennaio, o, come lo chiamavano ora i rivoluzionari, il 2 piovoso dell’anno II. Il pubblico regicidio non era piaciuto alle monarchie che circondavano la neonata repubblica e i conflitti si erano inaspriti notevolmente, in modo particolare con la Gran Bretagna, alla quale la Francia aveva dichiarato guerra il 1° febbraio dello stesso anno.

 

Alle minacce esterne si univano quelle interne; a Parigi infuriava una lotta politica tra il partito della Montagna e quello della Gironda; i deputati montagnardi (tra le cui fila si annoverano i signori Robespierre, Marat e Saint-Just) erano dei democratici radicali, i girondini invece (tra i quali si ricordano Brissot, Vergniaud e Barbaroux) erano repubblicani dagli ideali più liberali. I due opposti schieramenti si scontravano in seno alla nuova assemblea legislativa, la Convenzione nazionale; l’assemblea, nel maggio 1792, mandò agli arresti domiciliari 29 deputati girondini, su iniziativa della Montagna, la quale rimaneva fortemente legata alle istanze dei sans-culottes e dei clubs giacobini della capitale.

 

Il Terrore giacobino stava entrando in scena e ventidue tra i girondini arrestati sarebbero morti sulla ghigliottina entro pochi mesi.

La notizia fece il giro del paese e il popolo rispose; la Francia rurale, vessata dalla leva di massa e dalle carestie, era distante dai problemi della capitale; in provincia le municipalità giacobine vacillavano e la popolazione trovava le proprie risposte in seno a girondini o monarchici. Gli arresti e le esecuzioni sommarie di chi protestava iniziarono a farsi sempre più numerose e la coesione nazionale si ruppe; in primavera tutte le città del Mezzogiorno francese, Tolone compresa, finirono per sollevarsi in un’ondata insurrezionale.

 

Era una guerra civile.

 

A Tolone i girondini godevano di un notevole consenso cittadino e, in giugno, riuscirono a cacciare i montagnardi dalla città; ma poco dopo, gli stessi girondini finirono per cedere Tolone a truppe di lealisti monarchici, desiderose di portare il figlio del defunto Luigi XVI sul trono.

 

Come in una riuscita catarsi teatrale, la flotta dell’ammiraglio inglese Samuel Hood incrociava la costa di Tolone proprio in quei caldi giorni estivi e, il 28 agosto, 15,000 uomini tra inglesi, spagnoli, napoletani e piemontesi ingrossarono le fila dei nemici della Rivoluzione, portando a nuove repressioni ed esecuzioni.

 

La Convenzione reagì immediatamente e alla fine del mese di luglio 10,000 soldati francesi, al comando dei generali Carteaux e Lapoype, vennero inviati nel Mezzogiorno, riuscendo, nonostante l’inferiorità numerica, a riconquistare Avignone e Marsiglia. Infine, i primi di settembre, le truppe rivoluzionarie arrivarono via terra sulle colline che dominavano Tolone da est e da ovest e iniziarono a stringere la città, come in una tenaglia.

 

Nel 1793 Napoleone Buonaparte era di stanza ad Avignone come semplice capitano del 4°reggimento di artiglieria dell’Armée des Alpes (Armata delle Alpi); il giovane, orgoglioso del posto da ufficiale che si era duramente guadagnato, inviava la maggior parte del suo stipendio alla propria famiglia còrsa, composta da sua madre Letizia, rimasta vedova da otto anni e da altre sette persone, i suoi fratelli e sorelle.

 

Il rapporto di Napoleone con la sua isola natale fu molto importante durante la sua giovinezza, in otto anni di servizio ne aveva trascorsi quasi cinque in Corsica, richiedendo congedi prolungati per occuparsi di alcune problematiche familiari seguite alla morte del padre e rischiando di farsi radiare dall’esercito francese. La sua isola era caduta nelle mani della Francia da poco più di vent’anni e la convivenza tra còrsi e francesi non si era rivelata felice; tutte le principali città costiere erano insorte e, ad Ajaccio, Napoleone aveva preso parte alla travagliata politica isolana, prestando servizio come tenente colonello della Guardia nazionale còrsa.

 

 Buonaparte abbracciava la causa del leader dell’autonomia dell’isola, l’amato Pasquale Paoli, anche chiamato u Babbu di a Patria; il giovane si sentiva còrso e ne andava fiero, aveva studiato in Francia sin dall’età di dieci anni ma l’aveva sempre ritenuta una terra straniera, questo fino allo scoppio della Rivoluzione francese nel 1789; con essa lo scenario politico e sociale francese mutò radicalmente e Napoleone aderì agli ideali repubblicani, figli di quella cultura rousseauiana a lui tanto cara; ma u Babbu non voleva un filofrancese come alleato e presto Buonaparte se ne rese conto.

 

La distanza politica tra i due divenne incolmabile e il giovane finì per essere tagliato fuori proprio dal suo grande eroe. In maggio gli uomini di Paoli saccheggiarono casa Buonaparte ad Ajaccio e Napoleone, su una barca a remi, riuscì a portare in salvo sua madre, per poi sbarcare a Tolone con tutto il resto della famiglia. Di lì a poco la Corsica avrebbe giurato fedeltà al re d’Inghilterra e Napoleone, profondamente amareggiato, disse addio per sempre alla sua prima patria.

 

Ora guardava con ammirazione alla Repubblica francese e aveva prontamente inviato al governo del momento, la Convenzione, un rapporto sui porti della Corsica; il giovane aveva studiato a lungo il suo paese natio e in allegato disquisiva sui modi più convenienti per difendere la baia di Ajaccio da un attacco via mare. Nonostante la tenacia con cui Buonaparte si applicava alla vita di guarnigione, fu la politica o, più precisamente, un suo scritto a trasportarlo a Tolone.

 

Nel luglio 1793 il giovane capitano ideò l’opuscolo Le Souper de Beaucaire (La cena di Beaucaire), un pamphlet di una trentina di pagine dove un giovane ufficiale (che altri non era se non Napoleone) convinceva due mercanti di Marsiglia della giustizia dei principi rivoluzionari, richiamandoli alla coesione nazionale contro lo straniero. Alla lettura il suo opuscolo grondava velato giacobinismo e, ad Avignone, venne letto dai due représentants en mission per la Provenza, Saliceti e Gasparin, entrambi di origini còrse. I due lo trovarono molto adatto ai tempi che correvano, facendolo ristampare a spese dello stato.

 

I représentants en mission erano membri di una commissione di governo che aveva lo scopo di informare Parigi sullo stato dell’esercito, ma anche di occuparsi di requisizioni e di processi sommari. Come si evince da Chandler (1966) e Lefebvre (1958), l’esercito temeva i représentants per due motivi: il loro potere pressoché illimitato e la loro ignoranza in materia di guerra.

 

Quando il capitano Dommartin, comandante d’artiglieria presso Tolone, ricevette una palla di cannone nella spalla sinistra venne rimpiazzato in soli 10 giorni, Napoleone Buonaparte aveva preso il suo posto.



 

 

 

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