attualità
SUL NAGORNO KARABAKH
ENNESIMO
CONFLITTO ALLE PORTE D’EUROPA / PARTE II
di Gian Marco Boellisi
Per quanto riguarda l’Armenia, l’attuale
primo ministro Nikol Pashinyan, da
quando si è insediato con la sua
rivoluzione non violenta, ha dovuto
affrontare non poche sfide interne. Ha
visto crescere all’interno del paese una
crescente opposizione politica a seguito
delle relazioni non del tutto ottimali
sviluppate con il suo principale alleato
della regione, ovvero la Russia.
Pashinyan ha visto inoltre crescere
l’influenza del clan del Karabakh, il
quale gioca un ruolo importante nelle
dinamiche interne armene, portando così
l’Armenia a essere protagonista di
svariate provocazioni lungo in confine
azero negli ultimi mesi. Una fra tutte è
la costruzione dell’autostrada da Erevan
e Stepanakert, la capitale del
Nagorno-Karabakh, la cui costruzione è
stata aspramente condannata anche dal
Parlamento Europeo come una palese
provocazione verso Baku.
Dall’altro lato invece abbiamo
l’Azerbaigian, il quale è arrivato al
conflitto grazie ad altri fattori. La
pandemia globale di Covid-19 e il crollo
dei prezzi del petrolio, il quale
risulta una delle principali voci del
bilancio statale azero, ha portato Baku
in una crisi profonda, tanto da
scatenare negli ultimi mesi uno
scontento sociale dilagante in tutto il
paese. Non trovando mezzi nell’immediato
per gestire una situazione tanto
esplosiva dal punto di vista interno, il
presidente Ilham Aliyev, figlio del
sopracitato Heydar, ha deciso di
focalizzare l’attenzione nazionale sul
Nagorno-Karabakh. Per quanto questo sia
un effimero meccanismo vecchio come il
mondo stesso, al momento sta garantendo
una certa stabilità politica al governo,
anche se bisogna vedere quanto durerà.
Infatti in entrambi i paesi le
rispettive leadership stanno usando il
conflitto per distrarre le popolazioni
da problemi di natura interna. Tuttavia
qualora gli scontri dovessero
prolungarsi nel tempo e raggiungere
livelli di intensità di una guerra vera
e propria, lo scontento per le perdite e
per gli sforzi economici richiesti
potrebbe far vacillare le leadership di
entrambe le nazioni.
Un elemento da tenere in forte
considerazione nel quadro delle ostilità
attuali sono le ingerenze esterne.
Infatti sebbene nel 2016 queste fossero
presenti, oggi permeano completamente il
conflitto ed è anche per questo che le
ostilità stanno proseguendo
ininterrottamente, avendo già raggiunto
secondo alcune stime 5.000 morti in un
solo mese.
Gli attori esteri principalmente
coinvolti sono 2: Russia e Turchia. La
Russia teoricamente sostiene l’Armenia,
essendo questo un paese che Mosca
considera suo satellite nel Caucaso e
che partecipa all’Unione Economica
Euroasiatica creata da Putin. Nonostante
queste premesse, vi è un sottile velo di
diffidenza tra i due paesi, essendo il
governo di Pashinyan salito al potere
con una rivoluzione non violenta non
avvallata politicamente da Mosca ai
tempi.
Nonostante ciò, vista l’importanza che
ha il Caucaso per la Russia, si è fatto
finta di niente e si è cercato al
contrario di costruire relazioni
migliorative con il vicino armeno.
Questo è quello si può vedere da
osservatori esterni, tuttavia la verità
è che il Cremlino ha una visione ben
diversa dell’intera regione.
Per Mosca l’intera zona del Caucaso
rappresenta il proprio confine
meridionale, motivo per il quale esso
ricopre una notevole importanza. La
Russia quindi è disposta a tutto pur di
far rimanere la regione stabile,
accontentandosi anche di equilibrio
instabile tra i vari stati ivi presenti.
Per questo motivo vengono spesso
sfruttate divisioni etniche, religiose e
politiche tra i vari inquilini caucasici
e viene anche sfruttata l’enorme
influenza russa nella regione in modo da
mantenere l’intera regione sicura da
ingerenze esterne (vedi esempio della
guerra con la Georgia nel 2008).
Proprio in virtù di quanto appena detto,
Mosca quindi si sente tranquillamente
autorizzata a vendere armi a tutti gli
stati della zona, così da garantire una
certa influenza su tutte le capitali
della regione.
Un altro obiettivo russo, maturato in
tempi più recenti, è mantenere un
equilibrio opportunistico con la
Turchia. Riscoperta come
alleato/avversario solamente negli
ultimi anni, è vitale per Mosca non
pestare troppo i piedi ad Ankara nelle
dinamiche caucasiche, poiché atti di
sfida in quest’area si ripercuoterebbero
inevitabilmente in altri scenari in cui
Russia e Turchia sono coinvolte, quali
Siria e Libia dove esse hanno già
maturato negli anni un equilibrio di
potenza tale da garantire a entrambi dei
vantaggi strategici.
Al contrario della Russia però, la quale
cerca di rimanere in equilibrio tra i
vari attori in conflitto, la Turchia si
è schierata apertamente con
l’Azerbaigian. Conscia del fatto che la
fine immediata del conflitto senza un
cambiamento della situazione in
Nagorno-Karabakh rischierebbe di mettere
in discussione la presidenza Aliyev, il
quale probabilmente verrebbe rovesciato
da sommosse popolari, la Turchia si è
subito mossa a difesa di Baku.
Questo tipo di supporto, diplomatico ma
anche militare, rientra nel progetto
“neo ottomano” degli ultimi anni di
Ankara di ristabilire una zona di
influenza stabile nel Mediterraneo e
nell’Asia Centrale. Basti vedere tutti
gli scenari dove i turchi sono coinvolti
negli ultimi anni per capire quanto
profondo e sviluppato sia questo
progetto: Siria, Libia, Cipro-Grecia e
ora anche Azerbaigian.
Dal punto di vista pratico, la Turchia
sta inviando caccia da combattimento
F-16 ma anche combattenti islamisti
reclutati e addestrati in Siria,
esattamente come già sperimentato per la
Libia, dove questo tipo di intervento ha
letteralmente salvato il presidente
Al-Sarraj dalla disfatta contro il
generale Haftar.
Come scusa per questo intervento
indiretto, Baku nelle scorse settimane
ha accusato l’Armenia di fare uso di
combattenti appartenenti al Partito dei
Lavoratori del Kurdistan (Pkk), eterno
nemico di Ankara. In risposta a questo
intervento turco per procura, Erevan sta
richiamando tutti gli armeni da tutto il
globo, e in particolar modo quelli
residenti in Russia, per rinforzare i
propri numeri. Nonostante non sia la
causa del conflitto, si può notare come
lo scontro stia assumendo così una
connotazione sempre più religiosa.
Vista questa situazione, per quanto la
Russia cerchi di giocare di equilibrismo
tra i due fuochi, la realtà è che non
può permettere alla Turchia di
esercitare un’influenza così importante
in Azerbaigian. Infatti, qualora ciò
dovesse accadere, Mosca si ritroverebbe
la Turchia a un passo dal proprio
confine meridionale e questo
comporterebbe un avvicinamento eccessivo
tra due potenze regionali che porterebbe
a frizioni inevitabili nel medio
termine.
È proprio per interessi tanto diversi
che il conflitto è improbabile che si
esaurisca a breve, tant’è vero che
nonostante i vari cessate il fuoco
annunciati le ostilità praticamente non
si sono mai fermate. Inoltre c’è da
tenere in conto che entrambi gli
schieramenti hanno la capacità
missilistiche tali da colpire le
capitali dell’avversario.
Finora ciò non è avvenuto, tuttavia
sarebbe la linea di non ritorno per la
quale entrambe le parti si giocherebbero
il tutto per tutto nella distruzione
dell’avversario. Speriamo solo di non
arrivare mai a sentire questa notizia
nel telegiornale della sera.
Per quanto riguarda invece le mosse
degli attori fuori da questa regione,
essi si stanno interessando solo
marginalmente della questione al
momento. L’Unione Europea nelle prime
settimane di scontri ha chiesto un
immediato cessate il fuoco, senza però
agire in alcuna maniera pratica in tal
senso. Inoltre la questione del
Nagorno-Karabakh è finita senza mezzi
termini molto presto nel dimenticatoio,
essendo tutto il Vecchio Continente
interessato dalla seconda ondata di
Covid-19.
Anche gli Stati Uniti hanno fatto
appello a un cessate il fuoco immediato,
tuttavia con le elezioni politiche
interne del 3 novembre 2020 ormai alle
porte l’opinione pubblica americana e la
sua amministrazione attuale hanno ben
altre priorità che interessarsi di un
conflitto dall’altra parte del mondo.
Come ultimo tassello di questa analisi
si deve menzionare il “fattore
energetico”. Infatti il Caucaso è molto
vicino al Mar Caspio, il quale è
estremamente ricco di petrolio e gas. Da
qui si hanno solo due rotte di
esportazione degli idrocarburi verso
l’Occidente: attraverso la Russia o
attraverso il Caucaso. E proprio a 60 km
dal Nagorno-Karabakh vi sono due
oleodotti che dall’Azerbaigian
attraversano la regione verso l’Europa,
l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan e il
gasdotto Trans-anatolico (la famosa TAP
per noi italiani).
Questo è sicuramente un motivo in più
per Baku per alzare l’asticella del
conflitto e cercare di vincere a tutti i
costi. Inoltre le speranze europee di
diventare meno dipendenti dagli
idrocarburi russi dipendono dagli
oleodotti di questa regione, i quali se
venissero danneggiati comprometterebbero
anni e anni di investimenti e
pianificazioni strategico-energetiche.
Passando entrambi gli oleodotti per la
Turchia, si può così comprendere
l’interesse turco nello stabilizzare
politicamente e militarmente la regione
così da garantire un grande numero di
introiti all’economia turca, di cui ha
disperatamente bisogno, e una duratura
influenza su tutta la l’area del
Caucaso.
In conclusione, il conflitto in
Nagorno-Karabakh al quale stiamo
assistendo oggi non è altro che la punta
dell’iceberg di una convergenza di
interessi, nazionali e sovranazionali,
che si stanno scontrando per ottenere
maggiore influenza in una regione tanto
importante come il Caucaso.
Russia e Turchia agiscono da padroni e
sbroglieranno la matassa tra di loro,
non curandosi delle migliaia di morti
che si avranno nelle varie settimane di
conflitto. E a pagarne, come sempre
purtroppo, saranno le popolazioni di
Armenia e Azerbaigian.
Queste due nazioni sono sicuramente
responsabili del conflitto attuale
poiché hanno bisogno di distrarre
l’opinione pubblica interna, ma
soprattutto sono colpevoli di non aver
voluto trovare una soluzione pacifica a
30 anni dalla caduta dell’Unione
Sovietica nonostante le occasioni per
farlo siano state molteplici.
Se il conflitto sarà l’ennesimo do ut
des tra Russia e Turchia lo
scopriremo solo nei prossimi mesi, sta
di fatto che se Baku e Erevan vogliono
smettere di essere mere pedine su una
scacchiera e smettere di combattere una
guerra tanto inutile, forse si
accorgeranno anche che essere dei buoni
vicini uno per l’altro non è una
possibilità così remota. |