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[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

N° 156 / DICEMBRE 2020 (CLXXXVII)


attualità

SUL NAGORNO KARABAKH

ENNESIMO CONFLITTO ALLE PORTE D’EUROPA / PARTE II

di Gian Marco Boellisi

 

Per quanto riguarda l’Armenia, l’attuale primo ministro Nikol Pashinyan, da quando si è insediato con la sua rivoluzione non violenta, ha dovuto affrontare non poche sfide interne. Ha visto crescere all’interno del paese una crescente opposizione politica a seguito delle relazioni non del tutto ottimali sviluppate con il suo principale alleato della regione, ovvero la Russia. Pashinyan ha visto inoltre crescere l’influenza del clan del Karabakh, il quale gioca un ruolo importante nelle dinamiche interne armene, portando così l’Armenia a essere protagonista di svariate provocazioni lungo in confine azero negli ultimi mesi. Una fra tutte è la costruzione dell’autostrada da Erevan e Stepanakert, la capitale del Nagorno-Karabakh, la cui costruzione è stata aspramente condannata anche dal Parlamento Europeo come una palese provocazione verso Baku.

 

Dall’altro lato invece abbiamo l’Azerbaigian, il quale è arrivato al conflitto grazie ad altri fattori. La pandemia globale di Covid-19 e il crollo dei prezzi del petrolio, il quale risulta una delle principali voci del bilancio statale azero, ha portato Baku in una crisi profonda, tanto da scatenare negli ultimi mesi uno scontento sociale dilagante in tutto il paese. Non trovando mezzi nell’immediato per gestire una situazione tanto esplosiva dal punto di vista interno, il presidente Ilham Aliyev, figlio del sopracitato Heydar, ha deciso di focalizzare l’attenzione nazionale sul Nagorno-Karabakh. Per quanto questo sia un effimero meccanismo vecchio come il mondo stesso, al momento sta garantendo una certa stabilità politica al governo, anche se bisogna vedere quanto durerà.

 

Infatti in entrambi i paesi le rispettive leadership stanno usando il conflitto per distrarre le popolazioni da problemi di natura interna. Tuttavia qualora gli scontri dovessero prolungarsi nel tempo e raggiungere livelli di intensità di una guerra vera e propria, lo scontento per le perdite e per gli sforzi economici richiesti potrebbe far vacillare le leadership di entrambe le nazioni.

 

Un elemento da tenere in forte considerazione nel quadro delle ostilità attuali sono le ingerenze esterne. Infatti sebbene nel 2016 queste fossero presenti, oggi permeano completamente il conflitto ed è anche per questo che le ostilità stanno proseguendo ininterrottamente, avendo già raggiunto secondo alcune stime 5.000 morti in un solo mese.

 

Gli attori esteri principalmente coinvolti sono 2: Russia e Turchia. La Russia teoricamente sostiene l’Armenia, essendo questo un paese che Mosca considera suo satellite nel Caucaso e che partecipa all’Unione Economica Euroasiatica creata da Putin. Nonostante queste premesse, vi è un sottile velo di diffidenza tra i due paesi, essendo il governo di Pashinyan salito al potere con una rivoluzione non violenta non avvallata politicamente da Mosca ai tempi.

 

Nonostante ciò, vista l’importanza che ha il Caucaso per la Russia, si è fatto finta di niente e si è cercato al contrario di costruire relazioni migliorative con il vicino armeno. Questo è quello si può vedere da osservatori esterni, tuttavia la verità è che il Cremlino ha una visione ben diversa dell’intera regione.

 

Per Mosca l’intera zona del Caucaso rappresenta il proprio confine meridionale, motivo per il quale esso ricopre una notevole importanza. La Russia quindi è disposta a tutto pur di far rimanere la regione stabile, accontentandosi anche di equilibrio instabile tra i vari stati ivi presenti. Per questo motivo vengono spesso sfruttate divisioni etniche, religiose e politiche tra i vari inquilini caucasici e viene anche sfruttata l’enorme influenza russa nella regione in modo da mantenere l’intera regione sicura da ingerenze esterne (vedi esempio della guerra con la Georgia nel 2008).

 

Proprio in virtù di quanto appena detto, Mosca quindi si sente tranquillamente autorizzata a vendere armi a tutti gli stati della zona, così da garantire una certa influenza su tutte le capitali della regione.

 

Un altro obiettivo russo, maturato in tempi più recenti, è mantenere un equilibrio opportunistico con la Turchia. Riscoperta come alleato/avversario solamente negli ultimi anni, è vitale per Mosca non pestare troppo i piedi ad Ankara nelle dinamiche caucasiche, poiché atti di sfida in quest’area si ripercuoterebbero inevitabilmente in altri scenari in cui Russia e Turchia sono coinvolte, quali Siria e Libia dove esse hanno già maturato negli anni un equilibrio di potenza tale da garantire a entrambi dei vantaggi strategici.

 

Al contrario della Russia però, la quale cerca di rimanere in equilibrio tra i vari attori in conflitto, la Turchia si è schierata apertamente con l’Azerbaigian. Conscia del fatto che la fine immediata del conflitto senza un cambiamento della situazione in Nagorno-Karabakh rischierebbe di mettere in discussione la presidenza Aliyev, il quale probabilmente verrebbe rovesciato da sommosse popolari, la Turchia si è subito mossa a difesa di Baku.

 

Questo tipo di supporto, diplomatico ma anche militare, rientra nel progetto “neo ottomano” degli ultimi anni di Ankara di ristabilire una zona di influenza stabile nel Mediterraneo e nell’Asia Centrale. Basti vedere tutti gli scenari dove i turchi sono coinvolti negli ultimi anni per capire quanto profondo e sviluppato sia questo progetto: Siria, Libia, Cipro-Grecia e ora anche Azerbaigian.

 

Dal punto di vista pratico, la Turchia sta inviando caccia da combattimento F-16 ma anche combattenti islamisti reclutati e addestrati in Siria, esattamente come già sperimentato per la Libia, dove questo tipo di intervento ha letteralmente salvato il presidente Al-Sarraj dalla disfatta contro il generale Haftar.

 

Come scusa per questo intervento indiretto, Baku nelle scorse settimane ha accusato l’Armenia di fare uso di combattenti appartenenti al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), eterno nemico di Ankara. In risposta a questo intervento turco per procura, Erevan sta richiamando tutti gli armeni da tutto il globo, e in particolar modo quelli residenti in Russia, per rinforzare i propri numeri. Nonostante non sia la causa del conflitto, si può notare come lo scontro stia assumendo così una connotazione sempre più religiosa.

 

Vista questa situazione, per quanto la Russia cerchi di giocare di equilibrismo tra i due fuochi, la realtà è che non può permettere alla Turchia di esercitare un’influenza così importante in Azerbaigian. Infatti, qualora ciò dovesse accadere, Mosca si ritroverebbe la Turchia a un passo dal proprio confine meridionale e questo comporterebbe un avvicinamento eccessivo tra due potenze regionali che porterebbe a frizioni inevitabili nel medio termine.

 

È proprio per interessi tanto diversi che il conflitto è improbabile che si esaurisca a breve, tant’è vero che nonostante i vari cessate il fuoco annunciati le ostilità praticamente non si sono mai fermate. Inoltre c’è da tenere in conto che entrambi gli schieramenti hanno la capacità missilistiche tali da colpire le capitali dell’avversario.

 

Finora ciò non è avvenuto, tuttavia sarebbe la linea di non ritorno per la quale entrambe le parti si giocherebbero il tutto per tutto nella distruzione dell’avversario. Speriamo solo di non arrivare mai a sentire questa notizia nel telegiornale della sera.

 

Per quanto riguarda invece le mosse degli attori fuori da questa regione, essi si stanno interessando solo marginalmente della questione al momento. L’Unione Europea nelle prime settimane di scontri ha chiesto un immediato cessate il fuoco, senza però agire in alcuna maniera pratica in tal senso. Inoltre la questione del Nagorno-Karabakh è finita senza mezzi termini molto presto nel dimenticatoio, essendo tutto il Vecchio Continente interessato dalla seconda ondata di Covid-19.

 

Anche gli Stati Uniti hanno fatto appello a un cessate il fuoco immediato, tuttavia con le elezioni politiche interne del 3 novembre 2020 ormai alle porte l’opinione pubblica americana e la sua amministrazione attuale hanno ben altre priorità che interessarsi di un conflitto dall’altra parte del mondo.

 

Come ultimo tassello di questa analisi si deve menzionare il “fattore energetico”. Infatti il Caucaso è molto vicino al Mar Caspio, il quale è estremamente ricco di petrolio e gas. Da qui si hanno solo due rotte di esportazione degli idrocarburi verso l’Occidente: attraverso la Russia o attraverso il Caucaso. E proprio a 60 km dal Nagorno-Karabakh vi sono due oleodotti che dall’Azerbaigian attraversano la regione verso l’Europa, l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan e il gasdotto Trans-anatolico (la famosa TAP per noi italiani).

 

Questo è sicuramente un motivo in più per Baku per alzare l’asticella del conflitto e cercare di vincere a tutti i costi. Inoltre le speranze europee di diventare meno dipendenti dagli idrocarburi russi dipendono dagli oleodotti di questa regione, i quali se venissero danneggiati comprometterebbero anni e anni di investimenti e pianificazioni strategico-energetiche. Passando entrambi gli oleodotti per la Turchia, si può così comprendere l’interesse turco nello stabilizzare politicamente e militarmente la regione così da garantire un grande numero di introiti all’economia turca, di cui ha disperatamente bisogno, e una duratura influenza su tutta la l’area del Caucaso.

 

In conclusione, il conflitto in Nagorno-Karabakh al quale stiamo assistendo oggi non è altro che la punta dell’iceberg di una convergenza di interessi, nazionali e sovranazionali, che si stanno scontrando per ottenere maggiore influenza in una regione tanto importante come il Caucaso.

 

Russia e Turchia agiscono da padroni e sbroglieranno la matassa tra di loro, non curandosi delle migliaia di morti che si avranno nelle varie settimane di conflitto. E a pagarne, come sempre purtroppo, saranno le popolazioni di Armenia e Azerbaigian.

 

Queste due nazioni sono sicuramente responsabili del conflitto attuale poiché hanno bisogno di distrarre l’opinione pubblica interna, ma soprattutto sono colpevoli di non aver voluto trovare una soluzione pacifica a 30 anni dalla caduta dell’Unione Sovietica nonostante le occasioni per farlo siano state molteplici.

 

Se il conflitto sarà l’ennesimo do ut des tra Russia e Turchia lo scopriremo solo nei prossimi mesi, sta di fatto che se Baku e Erevan vogliono smettere di essere mere pedine su una scacchiera e smettere di combattere una guerra tanto inutile, forse si accorgeranno anche che essere dei buoni vicini uno per l’altro non è una possibilità così remota.

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]