attualità
SUL
NAGORNO KARABAKH
ENNESIMO CONFLITTO ALLE PORTE D’EUROPA /
PARTE I
di Gian Marco Boellisi
A volte ci dimentichiamo quanti
conflitti e dispute territoriali
irrisolte siano presenti nel mondo, e
solamente quando queste stesse si
riaccendono e portano sui nostri
telegiornali le immagini di
combattimenti dall’altra parte del globo
ci si ricorda quanto sia precario
l’equilibrio internazionale sul quale si
poggia la nostra società. Infatti, nella
maggior parte delle volte, quelli che
sembrano essere scontri tra nazioni
“marginali” nelle dinamiche
internazionali spesso si rivelano essere
confronti tra potenze ben maggiori con
interessi dalle ripercussioni globali.
Un esempio recentissimo è stato il
riaccendersi del conflitto tra Armenia e
Azerbaigian nella regione del
Nagorno-Karabakh, scontro nato
durante gli ultimi anni dell’Unione
Sovietica e da allora mai risolto del
tutto. È interessante quindi analizzare
le motivazioni che hanno portato queste
nazioni del Caucaso allo scontro e
capire quanto una guerra di lunga durata
tra questi paesi porterebbe a forti
squilibri per tutto il Mediterraneo.
Partiamo quindi dalla storia di questa
particolare regione e dei rapporti tra
Armenia e Azerbaigian. Il
nome Nagorno-Karabakh è un’unione di
parole russe e turche e significa
letteralmente “Giardino nero montuoso”.
È un territorio di dimensioni esigue,
non particolarmente ricco di risorse
naturali, circondato da alte catene
montuose e da lunghe valli che si
racchiudono in esse. Tuttavia questo
fazzoletto di terra ricopre un grande
valore strategico, trovandosi
esattamente nel mezzo del Caucaso
Meridionale, in una regione che negli
ultimi anni sta diventando sempre più
vitale per connettere l’Europa e l’Asia
dal punto di vista commerciale ma
soprattutto energetico.
L’area di nostro interesse si trova
racchiusa geograficamente tra i confini
azeri ma attualmente occupata manu
militari dall’Armenia a seguito del
conflitto tra le due nazioni dei primi
anni ‘90. In passato questa regione
costituiva l’antica provincia armena di
Artsakh e nel corso dei secoli è passata
sotto il controllo di svariati imperi,
tuttavia i fatti che noi vediamo oggi
sono frutto di ciò che è accaduto dopo
la prima guerra mondiale.
Quando l’Impero Russo collassò e al suo
posto venne l’Unione Sovietica, Armenia,
Azerbaigian e Georgia si dichiararono
indipendenti dal giogo di San
Pietroburgo e formarono la Repubblica
Federale Democratica Transcaucasica, la
quale ebbe vita brevissima per dissidi
interni tra i membri fondanti.
Proprio per questi dissidi tra il 1918 e
il 1920 iniziarono a verificarsi degli
scontri tra la Repubblica democratica
armena e la Repubblica democratica azera
per delle dispute di confine in tre
regioni: Nakchivan, Zangezur (l’attuale
provincia armena di Syunik) e nel
Nagorno-Karabakh. Nonostante questi
avvenimenti, la Russia non si era
dimenticata del suo confine meridionale.
Infatti, una volta riacquisito un
briciolo di stabilità dopo la presa del
potere, l’11° Armata Sovietica invase
tutto il Caucaso e nel 1922 fondò la
Repubblica Socialista Sovietica Federale
Transcaucasica.
Nel cercare di amministrare la regione e
prevenire ulteriori conflitti tra le
proprie repubbliche, inizialmente le
autorità sovietiche decisero di
concedere la sovranità territoriale del
Nagorno-Karabakh alla neonata RSS di
Armenia. Tuttavia già il giorno
successivo venne mutata questa decisione
e venne quindi assegnata la sovranità
alla neonata RSS di Azerbaigian, il cui
Soviet paradossalmente aveva già
riconosciuto il diritto dell’Armenia ad
amministrare la suddetta regione. Infine
nel 1923 si procedette a creare l’Oblast
Autonoma del Nagorno-Karabakh, la cui
capitale venne spostata da Shushi a
Stepanakert.
In quegli anni si stima che il 94% della
popolazione fosse di origine armena,
essendovi qui insediata già secoli prima
e sempre rimasta nella regione. La
decisione sovietica quindi può essere
vista in linea con le politiche di
quegli anni, in quanto all’epoca
l’Unione Sovietica veniva vista come un
unico blocco e un unico stato, e quindi
non ci si poneva il problema di chi
amministrasse questa o quella regione
(un po’ come sarebbe successo per la
Crimea una trentina di anni dopo).
Dall’altro lato però alcuni studiosi
pensano che questa mossa non fosse altro
che un favore per mantenere buoni
rapporti con la Turchia di Atatürk,
all’epoca nel pieno della sua fase di
modernizzazione.
Lo status quo rimase intatto fino
alla fine degli anni ’80, quando ormai
il gigante sovietico si avvicinava alla
sua morte prematura. Nel febbraio del
1988, sull’onda delle riforme
progressiste di Gorbačëv, il Soviet
Regionale del Nagorno-Karabakh decise di
votare per unificare la regione
all’Armenia staccandosi da Baku.
La popolazione della regione infatti
lamentava che nelle scuole non vi
fossero più libri in lingua armena e che
il Segretario generale azerbaigiano
Heydar Aliyev, futuro presidente
dell’Azerbaigian stesso e padre
dell’attuale capo di stato, avesse
incoraggiato una forte politica di
“azerizzazione” della regione,
aumentando con la forza l’etnia azera
nell’area. Basti pensare che in quegli
anni gli armeni si erano ridotti di un
quarto rispetto al 1923. Questa
richiesta fu immediatamente appoggiata
da numerosi personaggi di spicco della
società armena, ma anche da
intellettuali russi.
Ciò tuttavia esacerbò le tensioni tra le
due repubbliche sovietiche benché ancora
facenti parte dell’Unione, a
testimonianza anche di come Mosca stesse
perdendo la presa sui vari Soviet. Le
tensioni portarono a veri e propri
scontri etnici tra armeni e azeri
presenti nel Nagorno-Karabakh, compresi
sgomberi forzati di intere famiglie di
etnia azera da vari villaggi e città.
Il punto di non ritorno si raggiunse
nella prima metà del 1988 con il pogrom
di Sumgait e svariati altri episodi
simili, i quali scatenarono l’odio e la
violenza tra le due etnie e portarono a
numerose azioni di rappresaglia nei mesi
e negli anni successivi.
Il Cremlino in quel decennio fu chiamato
ad affrontare problemi titanici, quali
la ritirata definitiva dall’Afghanistan,
la crisi economica e le spinte
centrifughe delle proprie Repubbliche
Sovietiche. Proprio per questo motivo
Mosca non riuscì a tenere sotto
controllo ciò che stava accadendo tra
Armenia e Azerbaigian, dove i disordini
causarono centinaia di morti in vari
mesi.
C’è anche da notare che la differenza di
fede tra i due stati, gli armeni
cristiani e gli azeri musulmani, ha da
sempre contribuito ad aggiungere un
ulteriore motivo di odio tra i due
popoli, anche se non ha mai costituito
direttamente la causa principale delle
violenze.
Proprio le suddette spinte
indipendentiste alla fine ebbero la
meglio, portando l’Armenia a dichiarare
l’indipendenza dall’U.R.S.S., il 21
settembre del 1991, e l’Azerbaigian a
fare lo stesso il 18 ottobre dello
stesso anno. Una volta indipendenti, le
due nazioni si prepararono sin da subito
alla guerra, tant’è che nel
Nagorno-Karabakh sia armeni che azeri
cominciarono ad armarsi.
Già il 2 settembre il Soviet del
Nagorno-Karabakh votò la secessione da
Baku legittimando la sua richiesta su
una legge del 1990 che gli consentiva di
non seguire la Repubblica
dell’Azerbaigian nella sua decisione di
separarsi dall’Unione Sovietica. Il 26
novembre il Consiglio supremo
dell’Azerbaigian reagì e votò la revoca
dello statuto autonomo del
Nagorno-Karabakh, ribattezzandone il
capoluogo Kankendi e infischiandosene
del voto sulla secessione da Baku. Il 10
dicembre in Nagorno-Karabakh si tenne un
referendum per la convalida del voto di
autodeterminazione con un esito
favorevole per il 98% dei consensi.
Lo stallo quindi era stato totalmente
raggiunto. In aggiunta a tutto ciò, il
26 dicembre 1991 l’Unione Sovietica
cessò di esistere definitivamente,
spianando la strada ad anni di grande
caos per tutto lo spazio ex-sovietico.
Per quanto il presidente russo Boris El’cin
e il presidente kazako Nursultan
Nazarbayev tentarono negli ultimi mesi
del 1991 e nelle prime settimane del
1992 a mediare tra i due paesi, ogni
sforzo di raggiungere un accordo si
arenò molto presto. Fu così che a
mezzogiorno del 31 gennaio 1992 iniziò
ufficialmente la guerra tra Armenia e
Azerbaigian. Il conflitto si protrasse
fino al 1994, lasciando dietro di sé
un’immane distruzione e un numero di
morti elevatissimo.
Per quanto l’Armenia nel 1993 attraversò
un momento di difficoltà nel conflitto,
nel 1994 riuscì a occupare tutti i punti
chiave del territorio del
Nagorno-Karabakh, impedendo agli azeri
di avanzare. Arrivate entrambe le
nazioni a uno stallo e con l’incapacità
economica di proseguire il conflitto, il
5 maggio 1994 venne firmato a Biškek,
capitale del Kirghizistan, tra Armenia,
Azerbaigian e Nagorno-Karabakh quello
che venne definito “Accordo di Biškek”,
mentre il 12 maggio fu firmato dai
rispettivi ministri della difesa un
cessate il fuoco a partire dal 17
maggio.
Le conseguenze del conflitto furono
devastanti. Oltre ai 30.000 morti e agli
80.000 feriti vi furono anche diverse
centinaia di migliaia di profughi che da
entrambi gli schieramenti dovettero
abbandonare le proprie case per
allontanarsi dalle aree dei
combattimenti.
Quando il conflitto si concluse nel 1994
la Repubblica del Nagorno-Karabakh,
riconosciuta formalmente ancora oggi
solamente dall’Armenia, aveva esteso il
suo territorio fino agli attuali 11458
km².
L’intero conflitto è stato mediato e
gestito dall’Osce dal cosiddetto Gruppo
di Minsk, composto da Francia, Russia,
Stati Uniti,
Armenia, Azerbaijan, Italia,
Bielorussia, Germania, Portogallo, Paesi
Bassi,
Turchia, Svezia e Finlandia.
Nel corso degli anni sono state emanate
ben 4 risoluzioni ONU inerenti allo
status quo post conflitto, ovvero la
822, la 853, la 874 e la 884.
Queste risoluzioni stabiliscono che il
Nagorno-Karabakh è una regione contesa a
maggioranza etnica e chiedono il ritiro
incondizionato delle truppe armene dai 7
distretti attorno a tale regione, i
quali sono stati occupati durante la
guerra e sono in tutto e per tutto
azeri, rendendo quella armena una vera e
propria occupazione militare.
Una soluzione pensata negli anni per
arrivare a una vera pace sarebbe quella
di restituire a Baku almeno 5 di questi
7 distretti, essendo al momento la
continuità territoriale azera interrotta
dall’occupazione armena. Inutile dirlo,
Erevan non hai mai adempiuto a tali
indicazioni.
Dalla tregua del 1994 si sono avuti
negli anni diverse violazioni di questo
fragilissimo equilibrio, la più
importante delle quali si è avuta nel
2016 con la cosiddetta “Guerra dei
Quattro Giorni”. In quest’occasione fu
la Russia a far rientrare subito
l’emergenza e a calmare i toni tra le
due nazioni.
Oggi tuttavia ci troviamo di fronte a
tutt’altra situazione. Per capirlo basta
analizzare le spese militari dei due
paesi, le quali non hanno fatto altro
che aumentare negli ultimi anni. Baku è
passata dallo spendere 1.529milioni di
dollari nel 2017 in armamenti ai
1.624milioni di dollari nel 2018, mentre
Erevan da 444milioni di dollari nel 2017
a 591milioni nel 2018.
Già così la differenza dopo un primo
sguardo è notevole. L’Azerbaigian ha
investito pesantemente nella propria
difesa, aumentando il proprio arsenale
sia qualitativamente che
quantitativamente, comprando armi
peraltro da Russia, Israele, Pakistan e
Turchia. Per quanto riguarda l’Armenia
il maggior fornitore di armamenti rimane
la Russia, la quale in questa vicenda si
può notare che ci guadagna vendendo a
entrambe le parti. Un’arte vecchia
quanto il mondo direbbero alcuni.
Tenendo conto che le tensioni tra i due
paesi non si sono mai spente e che negli
ultimi anni hanno speso una grande somma
di denaro pubblico per rimpinguare i
propri arsenali, lo scorso 27 settembre
2020 le ostilità tra Armenia e
Azerbaigian sono riprese praticamente
lungo tutta la Linea di Contatto, ovvero
tutta la linea di demarcazione formata
dopo il cessate il fuoco del 1994.
Nonostante si pensasse potesse essere
l’ennesima scaramuccia di confine, i
fatti hanno dimostrato il contrario con
forti combattimenti in tutta l’area e
forti perdite da entrambi i lati. Si è
arrivati addirittura a proclamare la
legge marziale in Azerbaigian per gravi
necessità nazionali. L’intensità del
conflitto è stata segnata anche dal
coinvolgimento dei civili, i quali non
sono stati risparmiati da bombardamenti
e dall’essere costretti in svariate
occasioni a lasciare le proprie
abitazioni per evitare di essere
colpiti.
Oltre ai normali movimenti di fanteria e
di reggimenti corazzati, si sta
assistendo anche a un impiego massiccio
di forze aeree di nuova generazione,
quali droni a comando remoto.
Alcuni analisti l’hanno addirittura
ribattezzata la “prima guerra del
futuro”, vedendo i droni azeri
acquistati da Israele e Turchia colpire
postazioni fisse, forze corazzate e
depositi di munizioni armeni.
Attualmente le forze in campo contano
44.800 regolari per l’Armenia e 126.000
regolari per l’Azerbaigian, tuttavia i
primi possono contare su 210.000
riservisti mentre i secondi su 300.000.
Sia dai numeri degli effettivi sia dagli
investimenti militari citati sopra, si
può notare che l’Armenia risulti in
svantaggio rispetto al suo avversario,
almeno sulla carta.
Essa tuttavia conta sul fatto di
detenere svariati punti strategici nella
regione e che i suoi uomini possano
resistere nonostante lo squilibrio di
forze. Da quel che dicono le ultime
notizie, le forze di Baku stanno
avanzando in svariati punti della Linea
di Contatto, forti del supporto aereo,
anche se con estrema difficoltà vista
l’aspra resistenza armena incontrata.
Ora che abbiamo analizzato il conflitto,
il vecchio e il nuovo, è interessante
comprendere l’anatomia politica degli
attori coinvolti. |