contemporanea
MUSSOLINI E NENNI
DUE DESTINI
INCROCIATI
di Francesco Marcelli
Mussolini e Nenni, due uomini destinati
a diventare due delle personalità più
importanti della politica italiana dello
scorso secolo. Il primo, dittatore del
regime fascista, l’altro segretario del
partito socialista, partito che nel 1946
risulterà essere il secondo più votato
dagli Italiani.
Questa è la storia di un rapporto
amore-odio, la storia di due vite che si
intrecceranno spesso, ma che il destino
porrà infine su binari completamente
opposti. Una storia insomma che assume a
tratti, come ha affermato Paolo Mattera,
le caratteristiche di una “tragedia
Shakespeariana” piena di colpi di scena
e di spunti di riflessione.
Entrambi provengono dalla Romagna, terra
dalle forti passioni politiche,
Mussolini nasce infatti a Predappio nel
1883, mentre Nenni a Faenza nel 1891.
Tutti e due vivono i primi anni della
loro vita in condizione di povertà ed
entrambi sono chiusi in collegio da
bambini e quindi sottoposti a una ferrea
disciplina, cosa che infonderà in loro
uno spirito ribelle e formerà
irrimediabilmente i loro caratteri
rivoluzionari.
Pietro Nenni e Benito Mussolini si
incontrano per la prima volta nel 1910,
forse a Santa Sofia, ma quel che è certo
è che sarà Forlì il luogo nel quale
avranno modo di conoscersi bene, i due
saranno addirittura vicini di casa.
Questo è il modo in cui Nenni parlerà di
Mussolini a Sergio Zavoli durante la
trasmissione televisiva Rai Nascita
di una dittatura: “Mussolini era un
ribelle più che un rivoluzionario. Il
suo egocentrismo lo portava a ricondurre
a sé ogni azione e reazione, in bene o
in male. Aveva una grande passione di
comandare”.
Nenni in quel momento è un membro del
Pri, mentre Mussolini un membro del Psi,
entrambi grandi “agitatori di folle”,
come li ha definiti Giuseppe Tamburrano
nella sua monografia Pietro Nenni.
Appartengono a due partiti, quello
repubblicano e quello socialista, che si
scontrano spesso in Romagna in quegli
anni a causa di dissapori e rivalità, ma
che alla fine nella sostanza hanno
programmi politici con molti punti di
contatto. Anche sul piano individuale i
due giovani romagnoli hanno più cose che
li uniscono di quelle che li dividono:
entrambi rivoluzionari, antimonarchici e
anticlericali.
Furono così i punti in comune a
prevalere sulle divergenze, tanto che
nel 1911 Nenni e Mussolini unirono le
forze per indire uno sciopero generale,
che avrebbe visto i repubblicani e i
socialisti manifestare insieme contro la
guerra di Libia. Entrambi infuocarono le
platee di Forlì gridando insieme “No
alla guerra” e ammonendo che il
conflitto non avrebbe portato altro che
morte e miseria. La manifestazione durò
dal 25 al 27 settembre e assunse subito
un tono molto radicale.
Furono insultati apertamente il governo
Giolitti e la Monarchia. Addirittura si
arrivò a sabotare anche le linee
telegrafiche e ferroviarie per
ostacolare in tutti i modi la partenza
dei treni destinati a trasportare i
soldati al fronte. Così dovette
intervenire l’esercito che disperse i
manifestanti e, siccome gli scontri
proseguirono anche nei giorni a seguire,
il prefetto di Forlì decise il 14
ottobre di arrestare i principali leader
della protesta: Pietro Nenni, Benito
Mussolini e Aurelio Lolli. Il mese
successivo si concluse il processo che
li condannò per attività sediziose a un
anno di reclusione, pena che sarà poi
commutata.
Fu proprio in quell’occasione che, come
ricorda Renzo De Felice, Mussolini
pronuncerà davanti al tribunale la
celebre frase: “Se mi assolverete mi
farete piacere, ma se mi condannerete mi
farete onore”. Ebbene “i giudici hanno
preferito farci onore” commenterà
ironicamente Nenni in Sei anni di
guerra civile.
Furono così portati nel carcere di Forlì
(in celle limitrofe) e poi anche in
quello di San Giovanni in Monte a
Bologna dove i due condivisero la cella
insieme. Fu quindi proprio in
quell’occasione che Nenni e Mussolini
divennero amici.
Così Nenni commenta l’esperienza passata
insieme in Sei anni di guerra civile:
“Il carcere avvicina, fortifica
l’amicizia. Mussolini e io passavamo
qualche ora del giorno nella stessa
cella, giocando alle carte, leggendo e
facendo progetti per l’avvenire. Il
nostro autore preferito era Sorel.
Questo scrittore, col suo disprezzo per
i compromessi parlamentari e per il
riformismo, ci ammaliava”.
L’interesse comune per il sindacalismo
rivoluzionario proposto da Sorel fu
infatti un elemento di grande coesione
fra i due, quasi imprescindibile. Dalla
loro amicizia nacque di conseguenza
anche l’amicizia tra le loro due mogli,
Rachele e Carmen, che li venivano
costantemente a trovare in carcere.
Anche successivamente le due famiglie
con le rispettive figlie si ritrovarono
spesso, tanto che la prima figlia di
Mussolini, Edda, si affezionò così tanto
a Nenni da chiamarlo amorevolmente “zio
Pietro”, come racconterà poi Carmen
Nenni ad Arrigo Petacco (Storia
bugiarda).
Una volta usciti di galera, i due
rivoluzionari furono acclamati come eroi
dai loro compagni e divennero per la
prima volta, grazie a quella tumultuosa
manifestazione, due membri importanti su
scala nazionale dei loro rispettivi
partiti. Infatti così come Mussolini
divenne “l’uomo nuovo” del Psi, come
sottolinea Renzo De Felice, anche Nenni
divenne ormai una figura indispensabile
per il Pri. Nel novembre del 1912
Mussolini fu nominato direttore dell’Avanti!
e quindi si trasferì a Milano, mentre
Nenni sempre nello stesso periodo
divenne direttore del giornale
repubblicano La Voce
trasferendosi a Jesi, ma questo non
impedì affatto ai due di rivedersi.
Con lo scoppio della prima guerra
mondiale partirono entrambi per il
fronte, cosa che cambiò per sempre e in
modo irreversibile sia l’uno che
l’altro. Infatti Mussolini a causa delle
sue nuove posizioni filo interventiste e
favorevoli alla guerra, arrivò a essere
espulso dal partito socialista e da
allora egli si avvicinò sempre di più
agli ambienti nazionalisti e borghesi,
rompendo progressivamente con i suoi
ideali socialisti di gioventù.
Dall’altra parte invece Nenni,
inizialmente interventista, si dovette
ricredere di fronte ai drammi umani
della guerra. Nelle trincee inoltre
maturò sempre di più in lui un
progressivo avvicinamento verso gli
ambienti socialisti.
La svolta però avvenne solo quando, dopo
la rottura con il Pri, nel 1921 aderì
definitivamente al Psi. Al termine della
guerra Mussolini decise di istituire i
fasci di combattimento e di creare
quindi una forza politica che
conciliasse i suoi originari ideali
socialisti con le nuove istanze
guerrafondaie del nazionalismo. Ebbene
tale esperimento fallì miseramente nelle
elezioni del 1919, nelle quali il
partito fascista fu duramente sconfitto
e lo stesso Mussolini fu irriso dai suoi
vecchi compagni di partito che lo
ritenevano ormai politicamente un uomo
morto; non compresero invece che quello
sarebbe stato solo l’inizio. Infatti
appena qualche mese dopo Mussolini
effettuerà la svolta politica che lo
condurrà ad allearsi con l’alta
borghesia e i nazionalisti contro quelle
masse proletarie scioperanti che tanto
aveva difeso fino a non molto tempo
prima, rigettando completamente i suoi
valori socialisti.
Nenni, seppur dopo una brevissima
adesione ai neonati fasci di
combattimento nel 1919, ne uscì dopo
qualche mese, comprendendone i risvolti
violenti e antisocialisti. Fu in quel
clima di crescente violenza da parte del
bande fasciste nel 1920, 1921 e 1922 che
in Nenni maturò un’avversione, almeno
sul piano politico, nei confronti del
suo ex-amico che non comprendeva più.
È veramente interessante notare come
proprio negli anni in cui Mussolini
rompeva con il Psi e con ogni ideale
socialista, Nenni invece si avvicinava
progressivamente a tale partito e al
socialismo. È infatti nell’autunno del
1920 che ruppe ogni indugio e lasciò il
Pri per entrare nel partito socialista
qualche mese dopo. Così egli si trovò
ben presto su posizioni diametralmente
opposte a quelle di Mussolini. Quanto
più infatti le violenze delle squadre
fasciste venivano perpetrate, tanto più
il suo attivismo politico antifascista e
antiborghese crebbe.
Nel gennaio del 1922 avvenne il loro
ultimo incontro faccia a faccia in
occasione della conferenza
internazionale tra i rappresentanti
delle potenze vincitrici della prima
guerra mondiale a Cannes in Francia,
Nenni come corrispondente dell’Avanti!
e Mussolini come corrispondente per il
suo giornale Il Popolo d’Italia.
Al termine della conferenza i due si
incontrarono sul lungomare di Cannes al
tramonto e trascorsero tutta la notte a
parlare animatamente.
Così Nenni ci descrive quell’incontro in
Sei anni di guerra civile: ”I due
nottambuli parlavano del loro paese. Il
destino li metteva per l’ultima volta
l’uno davanti all’altro su di un piede
di eguaglianza. Una vecchia amicizia,
un’origine comune, molte battaglie
combattute insieme; tale era il passato
che li univa. I loro ideali, le loro
passioni, i loro sentimenti attuali, li
opponevano violentemente”.
Come ci racconta Nenni più avanti, tutti
e due parlarono animatamente e davanti
alle implicite richieste di Mussolini di
non ostacolarlo ma semmai di unirsi a
lui, Nenni andò dritto per la sua strada
e gli rinfacciò tutte le sue
contraddizioni politiche. Un incontro
quello che entrambi capirono sarebbe
stato definitivo. Compreso che non vi
era più dialogo, i due si separarono:
“L’uomo che se ne va (spalle larghe e
volto volitivo) è Benito Mussolini, che
sarà otto mesi più tardi il dittatore
onnipotente dell’Italia, più in
dipendenza degli errori dei suoi
avversari, che per i suoi meriti”.
Infatti nell’ottobre del 1922, in
seguito alla Marcia su Roma, Mussolini
diverrà presidente del consiglio e da lì
inizierà inarrestabile il processo di
scardinamento delle istituzioni
democratiche al fine di instaurare un
regime autocratico. Nel corso di quegli
anni le violenze da parte delle squadre
fasciste si intensificarono sempre di
più, tanto che nel 1926 anche Nenni,
oramai esponente di punta del Psi, venne
minacciato e la sua casa messa
sottosopra. A quel punto l’unica scelta
possibile fu l’esilio.
Così in quello stesso anno Nenni
espatriò clandestinamente in Francia a
Parigi. In quegli anni di esilio non si
fermò mai, ma contribuì come prima e più
di prima alla lotta antifascista,
scrivendo articoli infuocati e pieni di
ardore nei quali attaccava violentemente
il regime fascista. Egli divenne sempre
più influente nel partito socialista,
ormai riorganizzatosi all’estero, tanto
che nel 1933 fu eletto segretario.
Allo scoppio della seconda guerra
mondiale e dopo l’invasione della
Francia da parte della Germania di
Hitler nel 1940, Nenni fu costretto a
fuggire insieme alla sua famiglia a sud
verso i Pirenei nella Francia di Vichy,
per sfuggire alle grinfie naziste. Lui e
la sua famiglia riuscirono a farla
franca a lungo, finché però nel giugno
del 1942 la Gestapo non arrestò sua
figlia Vittoria, in quanto figlia e
moglie di pericolosi sovversivi.
Vittoria, come vedremo poi in seguito,
sarà portata in Germania e da lì ad
Auschwitz.
L’otto febbraio del 1943 invece sarà la
volta di Nenni, il quale mentre stava
rientrando a casa, venne ammanettato
dalla Gestapo che lo portò prima a Vichy
e poi nel carcere di Parigi. Gli viene
comunicato sin dal principio però che
egli è stato arrestato su ordine di
Mussolini per essere consegnato a lui.
Nenni in quei giorni difficili non
capiva bene ciò che stava accadendo e
che il suo ex- amico lo stava salvando
da morte certa.
Così Nenni, portato a Compiègne nel
centro di smistamento dei deportati
verso la Germania, fu subito preso da
parte, gli fu detto che si trattava di
un errore e non fu fatto salire sui
treni, ma fu riportato indietro. Due
mesi dopo fu condotto in Italia e infine
confinato a Ponza per volere del Duce.
Nel dopoguerra emergerà un
inequivocabile documento della polizia
fascista, nel quale si dice che Nenni è
arrivato al Brennero e che viene
disposto per lui l’ordine di mandarlo al
carcere. Ma ciò che nel documento è
importante è il timbro che porta in
calce questa frase: “Presi gli ordini
dal Duce” (ACS, DGPS, Pol. Pol.
Fascicoli Personali, Serie B, fasc.
9). Chiarissimo. Mussolini si fece
consegnare Nenni dalla Gestapo per
portarlo al sicuro in Italia,
scavalcando le autorità tedesche e, allo
stesso tempo, relegandolo direttamente
al confino senza consultare nessuno,
scavalcò anche il Tribunale Speciale.
Questa versione, come ricorda Giuseppe
Tamburrano in Pietro Nenni, fu
avvalorata in seguito anche dalla
testimonianza di Rachele Guidi, moglie
del Duce. Pure Carlo Silvestri,
giornalista che ebbe modo di
intrattenere colloqui confidenziali con
Mussolini, dichiarò a D. Susmel nel 1947
che fu il Duce a intervenire presso
Hitler per sottrarre Nenni da morte
certa. Nenni intuì che, se era riuscito
a scamparla, dietro c’era lo zampino di
Mussolini, ma in quel momento i suoi
pensieri erano altrove: alla figlia
Vittoria.
Nenni nei suoi diari scrisse che spesso
in quei giorni difficili aveva pensato
di telegrafare a Mussolini, chiedendogli
di intervenire per salvare anche la
figlia di cui lui non aveva più notizie,
ma poi desistette, poiché gli parve “un
atto di viltà” e perché lui,
coerentemente con se stesso, non volle
mai piegarsi a chiedere aiuto a un
nemico.
Questa scelta dettata dall’orgoglio
costituirà un grande rimorso per Nenni
negli anni a venire. Infatti, quando nel
maggio del 1945 apprenderà della
terribile morte di Vittoria nei lager,
egli entrerà in quello che poi avrebbe
definito “l’incubo della mia vita”,
ripetendo tra sé e sé nei diari: “Se
avessi telegrafato a Mussolini, sono
sicuro che l’avrei salvata” (FPN,
Archivio Nenni, Serie Carteggi
1945-1979, b. 45). La morte di Vittoria,
sottolinea Antonio Tedesco, fu “una
tragedia umana che segnerà
indelebilmente la vita del leader
socialista” (Vivà. La figlia di
Pietro Nenni dalla Resistenza ad
Auschwitz).
Ma torniamo a noi. È il 28 luglio 1943 e
Nenni è confinato a Ponza da quasi due
mesi. Sembra non si muova niente e che
le ore passino senza che accada qualcosa
di significativo. La storia sta però
preparando per i due amici-nemici un
ennesimo scherzo del destino. Il 25
luglio è appena caduto il regime
fascista e Mussolini viene arrestato dal
Re e da Badoglio che decidono di
portarlo tre giorni dopo in un luogo
sicuro e nascosto: Ponza.
Il destino aveva deciso ancora una volta
di far intrecciare le loro vite
compiendo quella che Nenni in
un’intervista Rai a Enzo Biagi (III B
facciamo l’appello) definirà una
sorta di “nemesi della storia”. Nenni
intravide l’incrociatore che stava
portando il Duce sull’isola di Ponza e
di lì a poco vide anche Mussolini in
persona, provato e visibilmente agitato.
Un incontro quello “avvenuto con il
binocolo” in quanto erano
impossibilitati a vedersi faccia a
faccia poiché tutti e due detenuti.
Chissà se entrambi in quei giorni non
abbiano pensato, anche solo per un
istante, di chiudere gli occhi e
immaginarsi di tornare a quel 1911,
quando giovanissimi avevano condiviso la
cella insieme, e sognare solo per un
attimo di buttare alle spalle tutto quel
che era accaduto in quegli ultimi anni e
tutto ciò che li aveva divisi
profondamente. Non lo sapremo mai.
Quello che sappiamo è solo che il cinque
agosto Nenni viene rilasciato dalle
autorità, in quanto il regime è
crollato, e lascia Ponza. Mussolini
invece rimane ancora qualche giorno là
prima di essere trasferito sul Gran
Sasso dove verrà successivamente
liberato dai Tedeschi.
Furono quelli dal 1943 al 1945 anni
veramente difficili per l’Italia: gli
anni dell’occupazione nazista e della
resistenza partigiana. Anni di “guerra
patriottica, guerra civile e guerra di
classe”, come ha affermato Claudio
Pavone (Una guerra civile). I due
amici-nemici si ritrovarono di nuovo
come prima su posizioni diametralmente
opposte. Da una parte Mussolini fondò la
Repubblica Sociale Italiana alleata dei
nazisti, dall’altra Nenni collaborò
attivamente con la resistenza. Tutto si
concluse con la sconfitta dell’esercito
nazi-fascista e la morte di Mussolini
avvenuta il 28 aprile 1945.
Nenni verrà a conoscenza della morte del
suo ex-amico di gioventù in quello
stesso giorno a Roma nella redazione
dell’Avanti!. Sandro Pertini, che
in quel momento era con lui, raccontò
successivamente al giornalista Arrigo
Petacco che “Nenni aveva gli occhi
rossi, era molto commosso, ma volle
ugualmente dettare il titolo (sulla
prima pagina dell’Avanti!):
Giustizia è fatta”.
Nonostante sul piano politico la morte
di Mussolini e la caduta del regime
rappresentassero per lui una vittoria,
sul piano umano invece quel lutto
rimaneva un dispiacere. Tanto che pure
Mino Caudana negli anni a seguire
parlerà di un Nenni turbato, che quel
giorno, avendo saputo della morte di
Mussolini e degli avvenimenti di
Piazzale Loreto, esclamerà in dialetto
romagnolo una sola parola: “Puvret!”,
poveretto. Episodio questo che è ben
ricordato in Fiori per io di
Gianna Preda.
Possiamo ben immaginare quanto sia stato
difficile per entrambi quel rapporto che
non si può definire né di amicizia, né
di odio. Penso che alla fine il modo
migliore per sintetizzare il loro
rapporto sia attraverso la formula di
Alberto Mazzuca e Luciano Foglietta che
li definisce “politicamente nemici ma
umanamente amici”.
Oriana Fallaci in Intervista con la
storia confermerà il fatto che Nenni
in privato soleva parlare del suo
amico-nemico con una certa “tenerezza”,
cosa che gli conferiva un tratto di
grande umanità. Chi sa quanto sia
costato a entrambi, davanti all’opinione
pubblica, doversi comportare come
avversari, quando in fondo rimanevano
ancora i segni di un passato che li
univa.
Nenni non chiese mai aiuto a Mussolini
nel momento del bisogno e l’unica volta
in cui quest’ultimo lo aiutò salvandogli
la vita fu solo per iniziativa sua
personale. Favore che in qualche modo
Nenni restituì a Mussolini, aiutando sua
figlia Edda nel dopoguerra e
garantendole anche, che avrebbe fatto il
possibile affinché la salma del padre
fosse portata a Predappio nella tomba di
famiglia.
Sergio Zavoli testimoniò l’incontro tra
Edda Mussolini e Pietro Nenni, avvenuto
nella casa di quest’ultimo alla fine del
1947 in Il ragazzo che io fui.
Zavoli si era recato per un’intervista
nella nuova casa di Nenni in piazza
Adriana a Roma e proprio lì poté
scorgere nella penombra una donna che
riuscì a riconoscere: la figlia di
Mussolini. Egli fu colpito dal fatto che
nonostante tutto Nenni non si curò di
quel che l’opinione pubblica avrebbe
potuto borbottare, ma accolse e aiutò
senza farsi problemi quella povera donna
senza più un marito, un padre e scansata
da tutti per ovvi motivi politici.
In quegli anni del dopoguerra Nenni,
dopo un lungo e difficile periodo di
militanza, è oramai il leader del
partito socialista (PSIUP), che proprio
nel 1946 sarà il secondo più votato
dagli Italiani. Egli contribuì in modo
significativo alla politica italiana del
dopo guerra e specialmente alla vittoria
di quello che era stato il suo sogno di
gioventù: la Repubblica.
A conclusione posso dire quindi che
Nenni è ad oggi un esempio perfetto che
la Storia ci offre, dandoci come modello
un uomo che nonostante ogni avversità è
rimasto fedele ai suoi ideali fino in
fondo, senza mai scendere a compromessi
o chiedere aiuto al suo vecchio
amico-nemico Benito Mussolini, ma
rimanendo saldo nei suoi valori.
E alla fine è questo che conta nella
vita: combattere per i propri ideali
fino in fondo con spirito ottimista. Con
lo spirito ottimista di chi sa che alla
fine dei conti prima o poi la Storia
premierà gli uomini integerrimi e saldi
nei propri principi e lascerà da parte
tutti gli altri, tramutando i vinti di
oggi in vincitori di domani. |