N. 37 - Gennaio 2011
(LXVIII)
IL CANTO, LA FESTA E IL BALLO
Tradizioni musicali della Calabria grecanica
di Monica Sanfilippo
Il
territorio
italiano
presenta
una
situazione
culturalmente
ricca
e
variegata
che
si
esprime
nella
presenza
di
comunità
etno-linguistiche
dislocate
da
nord
a
sud
della
penisola,
basti
citare
la
comunità
catalana
di
Alghero,
la
tedesco-mòchena
del
Trentino,
la
minoranza
slavofona
in
Val
di
Resia,
gli
arbrëreshë
e i
grecofoni
del
sud
Italia.
Quest’ultimi,
presenti
nell’area
salentina
e
calabrese
aspromontana
hanno
destato,
nel
settore
degli
studi
linguistici
e
filologici,
particolare
interesse
nella
prospettiva
di
un’ipotesi
di
continuità
della
grecità
antica,
tanto
da
risultare
le
minoranze
linguistiche
più
studiate
in
assoluto.
Sugli
ellenofoni
della
Calabria
abbiamo
prestato
particolare
interesse,
svolgendo
personalmente
delle
ricerche
sul
campo
nell’ambito
della
tradizione
musicale,
i
cui
risultati
sono
confluiti
nel
recente
volume
Il
canto,
la
festa,
il
ballo.
Tradizioni
musicali
della
Calabria
grecanica
(GB
Editoria,
2010).
Attualmente
l’area
calabrese
in
questione
è
compresa
tra
il
Parco
Nazionale
dell’Aspromonte
e
l’estrema
punta
della
Calabria
sul
versante
ionico
meridionale,
un
territorio
di
circa
65
Km²
rappresentato
dai
comuni
di
Condofuri
(Condochùri),
Amendolea
(Amiddalia),
Gallicianò
(Gaddicianò),
Roghudi
(Richùdi),
Chorio
di
Roghudi
(Chorìo
tu
Richudìu),
Roccaforte
del
Greco,
Bova
Superiore
(Vùa)
e
Bova
Marina
(Jalò
tu
Vùa).
Segna
questi
luoghi
la
roccia
e
l’asperità
del
territorio,
solcato
da
una
fiumara
burrascosa
nei
periodi
di
piena,
capace
di
provocare
alluvioni
disastrose
e
mortali,
ma
secca
ed
arida
nella
stagione
estiva,
una
lunga
distesa
di
ciottoli
che
si
snoda
come
un
serpente
tra
dirupi
e
montagne.
Così,
nel
tempo,
la
popolazione
ha
gradualmente
abbandonato
questi
luoghi,
per
scampare
alle
difficoltà
naturali
e
alla
“cultura
della
miseria”:
è il
caso
di
Roghudi
Nuovo,
creato
di
sana
pianta
dopo
l’alluvione
del
1971,
in
un’area
morfologicamente
diversa
e a
molti
chilometri
di
distanza
dal
borgo
antico;
mentre,
per
tutti
altri
centri,
si
registra
un
afflusso
costante
verso
il
capoluogo,
Reggio
Calabria,
con
la
creazione
di
frazioni
periferiche
ad
alta
intensità
grecofona
(San
Giorgio
Extra,
Modena,
Ciccarello
e
Sant’Elia
di
Ravagnese);
verso
i
rispettivi
nuclei
sulla
costa;
e
più
in
generale
partecipando
al
costante
processo
di
emigrazione
sia
verso
il
nord
Italia
che
all’estero.
L’estate,
infatti,
fa
registrare
un
elevato
incremento
della
popolazione
dovuto
prevalentemente
al
ritorno
degli
emigrati.
Per
tutti
questi
motivi,
l’isola
ellenofona
oggi
risulta
fortemente
decentrata
e
con
uno
scarso
numero
di
parlanti,
nella
maggior
parte
anziani
o
neofiti,
oppure
studiosi
e
appassionati
locali
che
innestano
gemellaggi
linguistici
con
la
Grecia
moderna,
in
un
rapporto
inversamente
proporzionale
a
quanto
accadeva
in
passato.
Alcune
autorevoli
fonti
demografiche
dimostrano
che
la
consistenza
grecofona
era
totale
fino
ai
primi
del
Novecento;
studiosi
come
Gehrard
Rohlfs,
inoltre,
affermano
che,
retrocedendo
al
Cinquecento,
i
confini
dell’area
si
allargano
fino
a
comprendere
l’intera
Calabria
meridionale.
Sempre
il
Rohlfs
è
l’artefice
della
querelle
intorno
all’origine
linguistica
del
greco-calabro:
matrice
dorica
o
bizantina?
Rohlfs,
insieme
ad
un
gruppo
di
studiosi
della
madrepatria,
sostenne
la
prima
ipotesi,
ossia
che
il
grecanico
risalirebbe
ai
tempi
della
prima
colonizzazione
greca
della
regione
(VIII
sec.
a.C.);
Comparetti,
Morosi,
Parlangeli
ed
altri,
la
seconda,
riconducendo
la
grecità
al
periodo
bizantino
(IX-XI
sec.
d.C.).
Oggi
i
filologi
tendono
a
mediare
le
due
posizioni
e a
parlare
di
stratificazione:
sicuramente
il
processo
di
latinizzazione
non
è
potuto
non
avvenire,
ma
questo
non
escluderebbe
la
presenza
di
un
bilinguismo
(latino
e
greco)
attivo
fino
all’avvento
del
romanzo.
In
questa
fase
di
lavoro
sulle
fonti,
abbiamo
incrociato
i
dati
ed è
emerso
che
il
primo
canto
raccolto
e
portato
all’attenzione
del
mondo
accademico
nel
lontano
1820
ad
opera
di
Carl
Witte,
atto
da
cui
prende
avvio
tutto
il
processo
di
indagine
filologica
sulla
lingua
greca
in
Calabria,
Ilio
pu
ja
olo
to
cosmo
parpatì
(Sole
che
per
tutto
il
mondo
cammini),
ha
finalmente
una
sua
versione
musicale,
il
brano
n.
17
della
raccolta
159
presso
la
Discoteca
di
Stato,
registrato
nel
1979.
Nella
fase
di
ricerca
sul
campo
queste
informazioni
non
sono
state
più
reperibili,
sia
per
la
scomparsa
degli
informatori
a
distanza
di
quasi
trent’anni,
sia
perché
il
canto
grecanico
è
emerso
quale
aspetto
più
“debole”
del
repertorio,
senza
ricambio
generazionale,
contrariamente
a
quanto
rileveremo
per
la
musica
strumentale
e
per
la
danza.
Altri
incroci
di
testi
sono
stati
possibili:
si
tratta
di
canzoni
d’amore
(traghuda),
che
nella
linea
melodica
sembrano
avvicinarsi
allo
stile
della
muttetta
propria
dell’area
del
reggino
(canto
melodico
con
accompagnamento
musicale,
un
tempo
alla
zampogna,
poi
all’organetto
e
oggi
più
spesso
alla
chitarra);
di
un
lamento
e di
una
filastrocca,
O
Maria
Middalini,
rinvenuta
identica
a
Creta,
come
testimonia
la
raccolta
Rizitika
(1993).
Nonostante
la
ricerca
sul
campo
abbia
manifestato
difficoltà
nell’incontro
di
cantori
“all’antica”,
poiché
i
processi
di
trasformazione
e
cambiamento
hanno
alterato
mestieri
e
pratiche
quali
filatura,
mietitura,
corteggiamento,
nozze
ecc.
a
cui
il
canto
spesso
era
legato,
risultano
significativi
i
dati
della
memoria,
di
cui
sono
ricche
le
interviste
che
abbiamo
condotto,
amabili
ricordi
di
come
un
tempo
si
cantava
in
tutta
la
vallata.
E
non
mancano
testimonianze
di
esecuzioni,
anche
se
decontestualizzate,
di
canti
in
alcuni
casi
particolarmente
melismatici,
in
altri
più
a
distesa
che
lasciano
presupporre
un
accompagnamento
strumentale.
Gli
strumenti
caratteristici
dell’area
sono
quelli
propri
della
tradizione
calabrese
e
nello
specifico
dell’area
reggina:
l’organetto
a
due
bassi;
i
ciarameddi,
ossia
zampogna
a
paro
e
a la
moderna;
ta
sulàvria,
i
doppi
flauti;
il
tamburello.
E’
emerso
il
ruolo
fondamentale
di
quest’ultimo,
generalmente
ritenuto
uno
strumento
di
accompagnamento.
La
sua
presenza
percussiva
è
strettamente
legata
a
situazioni
di
danza,
per
cui
il
tamburello
dà
il
ritmo,
scandisce
il
tempo,
anima
la
situazione.
Oggi
il
tamburello,
insieme
all’organetto,
è lo
strumento
preferito
dai
giovani,
per
cui
si
assiste
ad
esecuzioni
dove
la
scansione
ritmica
è
più
incisiva
rispetto
a
brani
analoghi
eseguiti,
per
esempio,
alla
zampogna
o da
anziani;
il
beat,
più
veloce,
denota
anche
l’avanzare
di
formule
di
elaborazione
virtuosistica
nella
costruzione
stessa
delle
passate,
ossia
le
parti
melodiche
microvariate
con
cui
si
sviluppa
musicalmente
una
tarantella.
Per
esempio,
le
giovani
generazioni
si
uniscono
dai
due
ai
quattro
tamburellisti
attorno
al
suonatore
d’organetto
e si
esibiscono
in
vere
e
proprie
“scariche
percussive”
con
caratteristiche
sospensioni
simultanee
di
tutti
i
suonatori
e
ricadute
perfettamente
a
tempo.
Considerando
che
un
brano
di
questo
tipo
può
andare
avanti
per
molti
minuti,
anche
ore
quando
la
danza,
in
occasioni
di
festa,
si
protrae
tutta
la
notte,
si
evidenzia
come
l’intensità
ritmica
determina
l’importanza
di
questo
strumento
sul
piano
del
coinvolgimento.
La
diversità
degli
accompagnamenti
sullo
strumento
è
altresì
indice
di
una
differenza
di
stile
e si
lega
particolarmente
allo
svolgimento
della
tarantella,
la
forma
etno-coreutica
e
musicale
più
intensa
dell’area.
Essa
circola
anche
oltre
i
confini
ellenofoni,
nei
pellegrinaggi
mariani
limitrofi
più
importanti,
alla
madonna
della
Consolazione
a
Reggio
Calabria,
alla
festa
della
madonna
di
Polsi
e
Gioiosa
Ionica;
è
praticata
senza
limiti
di
età,
da
tutte
le
fasce
generazionali;
nei
ristretti
ambiti
familiari
e in
ogni
momento
d’aggregazione.
Si
distinguono
due
fondamentali
tipi
di
tarantella
in
base
alla
funzione,
di
corteggiamento
o di
sfida:
la
prima
prevede
l’alternarsi
di
ballerini
di
sesso
opposto,
la
seconda
è
esclusivamente
maschile.
Lo
spazio
in
cui
si
svolge
la
performance
è
strettamente
circolare
ed è
detto
rota,
formata
dalla
fascia
di
pubblico
“attivo”,
ossia
da
coloro
che
prima
o
poi
parteciperanno
al
ballo,
e da
una
fascia
di
astanti
e
spettatori,
che
comunque
non
rimane
estranea
all’evento,
ma
partecipa
con
forme
di
comportamento
collaterali
alla
danza
(battiti
delle
mani,
fischi,
richiami
etc.).
Figura
fondamentale
all’interno
del
cerchio
è il
mastru
i
ballu
(maestro
di
ballo),
scelto
opportunamente
all’inizio
della
danza:
combina
le
coppie
e
detta
i
tempi
di
entrata
ed
uscita
dei
ballerini.
La
coppia
non
entra
simultaneamente,
ma
ad
incastro,
nel
senso
che
ogni
ballerino
compirà
sempre
due
turni
di
danza,
prima
entrando,
poi
rimanendo
e
ballando
con
un
ballerino
diverso
dal
precedente.
Il
mastru
i
ballu,
avendo
l’autorità
di
formare
le
coppie,
deve
saper
gestire
le
situazioni,
sia
nel
caso
di
corteggiamento
che
di
sfida
rispettando
dinamiche
familiari
e
sociali.
La
storia
dell’identità
grecanica
è
sicuramente
complessa,
articolata,
ma
stimolante;
e,
dal
nostro
punto
di
vista,
è
tra
le
rappresentazioni
di
cultura
che
meglio
esemplifica
l’appartenenza
della
Calabria
alla
storia
delle
società
mediterranee:
alcuni
testi
di
canti,
per
esempio,
si
riscontrano
identici
per
contenuto
in
Grecia
e
nei
Balcani;
in
alcuni
casi,
come
la
filastrocca
Maria
Middalinì,
la
coincidenza
tra
il
testo
grecanico
e
greco
è
perfettamente
evidente;
mentre
sul
piano
organologico
è
immediato
stabilire
parallelismi
con
tipologie
strumentali
quali
la
zampogna,
per
esempio,
o il
tamburello,
riscontrabili
in
tutta
la
fascia
euro-meridionale.
Nell’era
del
post-moderno
e
della
globalizzazione,
dunque,
abbiamo
voluto
guardare
al
“come”
e
“perché”
la
musica
di
tradizione
orale
costituisca
un
forte
elemento
espressivo
ed
una
modalità
di
rappresentazione
dell’essere
grecanico
oggi,
soprattutto
per
le
nuove
generazioni
che
hanno
fatto
della
“musica”
l’elemento
di
identità
e di
scambio
più
forte.
Riferimenti
bibliografici
&
discografici:
AHRENS,
C.
Aulos,
touloum,
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Traditionen
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der
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Archivio
Storico
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Tradizioni
musicali
della
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grecanica,
GB
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Roma
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