N. 30 - Giugno 2010
(LXI)
Le radici della musica persiana
prassi esecutiva e ricerca spirituale
di Monica Sanfilippo
L’attuale
territorio
dell’Iran,
al
centro
del
contesto
mediorientale,
custodisce
una
straordinaria
cultura
che
affonda
le
sue
radici
nell’antico
mondo
persiano.
Il
nome
odierno
è
voluto
dallo
scià
Reza
Pahlavi
che
lo
impone
a
partire
dal
1935,
permettendo
solo
successivamente
di
usare
anche
la
denominazione
“Persia”.
La
profondità
storica
dell’aggettivo
“persiano”,
a
ben
vedere,
identifica
un’area
culturale
molto
più
estesa
che
oltrepassa
gli
attuali
confini
geopolitici
iraniani,
ossia
“una
koinè
–
precisa
De
Zorzi
–
che
arriva
all’Asia
Centrale
e
all’India”.
E la
musica,
in
qualità
di
elemento
socio
culturale,
partecipa
al
processo
di
riconoscimento
e
rappresentazione
della
matrice
persiana
in
tutta
la
regione
mediorientale.
Le
origini
della
musica
persiana
sono
molto
antiche
e
attingono
alla
cultura
mesopotamica
dei
Sumeri
e
degli
Assiro-Babilonesi,
per
esempio
nell’uso
di
strumenti
a
larga
diffusione
come
l’arpa
a
cassa
superiore
(chang)
e
inferiore
(vin),
il
tamburo
(tabīra),
la
tromba
(karranāy).
Il
rapporto
con
la
Mesopotamia
è
confermato
dai
ritrovamenti
iconografici
che
attestano
l’influenza
dovuta
alla
vicinanza
geografica
dei
due
imperi
e,
successivamente,
alla
conquista
di
Babilonia
ad
opera
di
Ciro
(538
a.C.).
Più
di
recente
gli
studiosi
hanno
rinvenuto
testimonianze
anteriori,
risalenti
al
III
millennio
a.C.,
come
la
scena
musicale,
tra
le
più
antiche
in
assoluto,
di
suonatori
di
tromba,
arpa
arcuata
e un
cantore,
emersa
a
Tepe
Tchaghâmish,
nella
regione
del
Khuzistân.
Sotto
il
regno
di
Alessandro
Magno,
l’influsso
ellenistico
penetra
in
Persia,
anche
se
già
la
Grecia
classica
aveva
conosciuto
la
musica
persiana:
Erodoto,
Senofonte,
Strabone
ed
Eschilo
ne
scrivono
con
disinvoltura,
mentre
alcune
corrispondenze
tra
gli
strumenti,
come
il
liuto
(bārbat/bárbitos)
e la
pandora
(tanbūra/pandúra)
sono
evidenti.
La
vita
musicale
persiana
preislamica
tocca
il
suo
apice
sotto
il
regno
dei
Sassanidi
(224-642
d.C.)
che
attivano
un
imponente
processo
di
unificazione
della
regione
iranica
e un
fiorente
sviluppo
culturale.
I
primi
musicisti
persiani
di
fama
risalgono
a
questo
periodo:
Bamshad,
Azad
e il
più
noto
Bārbad
di
Fārs,
che
opera
sotto
il
mecenatismo
di
Corsoe
II
Parvīz,
l’ultimo
re
della
dinastia.
A
Bārbad,
poeta
e
musicista
divenuto
leggendario,
è
attribuita
l’invenzione
dei
“7
modi
reali”,
di
30
modi
secondari
e di
360
melodie,
basati
su
un
sistema
teorico
di
corrispondenza
astrale
di
probabile
derivazione
mesopotamica.
Anche
l’uso
degli
strumenti,
sotto
i
Sassanidi,
cresce
in
modo
esponenziale
con
l’introduzione
dell’organo
a
bocca
(bīsha’-
mushata),
della
chitarra
(rubāb)
e
del
flauto
(ruyīn
nāy).
Nel
VII
secolo
avviene
una
svolta
storica
per
la
Persia:
l’annessione
all’impero
islamico
(642),
che
chiude
la
fase
indipendente
della
regione
ed
apre
ad
una
fusione
culturale
arabo-persiana
indelebile,
componente
espressiva
valida
ancora
oggi.
Il
liuto
di
origine
persiana
diventa
il
tipico
strumento
arabo
(al’
ūd),
i
modi
musicali
si
influenzano
reciprocamente,
mentre
le
nomenclatura
e le
tecniche
assumono
nomi
arabi.
Eppure
le
pratiche
musicali,
ritenute
troppo
licenziose
e
sensuali,
incontrano
la
resistenza
dell’islamismo
rigorista
che
ne
ostacola
lo
sviluppo
e la
diffusione;
al
contrario
incentiva
l’approccio
scientifico
e
matematico
della
musica,
tema
altrettanto
caro
all’Occidente
medievale
che
ingloba
la
musica
nelle
Arti
del
quadrivio,
al
pari
dell’aritmetica,
della
geometria
e
dell’astronomia.
Dal
IX
secolo
il
mondo
arabo
attinge
al
pensiero
greco
attraverso
la
minuziosa
traduzione
di
opere
fondamentali,
derivando
anche
per
la
musica
le
teorie
di
Aristosseno,
Pitagora,
Tolomeo,
circa
la
divisone
degli
intervalli
e
l’organizzazione
dei
sistemi
musicali.
Numerosi
sono
i
teorici
di
questo
periodo:
il
persiano
Al-Khwárizmī,
autore
del
Mafātīh
al-’
ulūm
(Chiavi
della
scienza,
976-977),
e
gli
arabi
al-Kindī
(790-864),
al-Fārābī
(noto
in
Occidente
come
Alfarabius,
872-950)
e
Ibn
Sīnā
(
Avicenna,
980-1037),
per
citarne
alcuni.
L’incompatibilità
intrinseca
tra
la
cultura
musulmana
e
l’edonismo
delle
prassi
esecutive
persiane
trova
un
superamento
in
ambito
sufī,
nel
contesto
cerimoniale
del
samâ’,
laddove
la
produzione
sonora
acquista
una
valenza
interiore:
l’ascolto,
finalizzato
al
raggiungimento
del
divino,
rende
la
musica
una
pratica
spirituale.
«È
così
che
il
sufismo
classico
distingue
tre
categorie
di
ascoltatori
[…]
–
informa
During
– le
persone
comuni
(‘awāmm)
che
ascoltano
“con
l’anima
carnale”,
le
élite
che
ascoltano
con
il
cuore
e le
élite
dell’èlite
(hāss
alhāss)
che
ascoltano
“in
Dio”».
Tra
XII
e XV
secolo,
in
quest’ambito,
musica,
poesia
e
danza
si
fondono
nella
melodizzazione
delle
liriche
dei
grandi
poeti
mistici
di
lingua
persiana
e
nella
stilizzazione
dei
movimenti,
ispirandosi
ad
autori
come
Sa’di,
Hâfiz,
Jâmi
e
Mevlâna
Jalâl-ud-Dîn
Rûmî
(1207-1273),
celebre
in
tutto
il
mondo
per
le
sue
poesie
mistiche
e
per
aver
ispirato
la
confraternita
mevleviyya,
o
dei
“dervisci
rotanti”,
come
si è
soliti
presentarla
oggi
in
Occidente,
per
la
caratteristica
dei
danzatori
di
volteggiare
roteando
su
se
stessi.
Altro
importante
poeta
persiano,
considerato
il
primo
artista
che
ha
contribuito
al
processo
di
fondazione
nazionale,
è
Firdusi
di
Tus
(m.
1020
ca)
i
cui
versi,
cantati
ancora
oggi
dagli
ensemble
musicali,
si
sublimano
nel
“Libro
dei
re”
(Shahname),
il
grande
poema
epico
iraniano.
Dopo
la
caduta
di
Baghdad
in
mano
ai
Mongoli
(1258),
la
trattatistica
in
lingua
persiana
tocca
i
vertici
nell’organizzazione
delle
melodie
e
dei
modi
musicali
rivisitati
e
sistematizzati
fino
a
tempi
recenti,
da
Maraqui
(m.
1436),
l’ultimo
grande
teorico
dell’antichità,
ai
musicisti
“classici”
dell’Iran
contemporaneo,
come
Ali
Naqi
Vaziri
e
Hormoz
Farhat.
Oggi
l’Iran
presenta
una
situazione
musicale
riccamente
variegata
che
studiosi
ed
etnomusicologi,
distinguono
per
generi
e
correnti
al
fine
di
un
corretto
orientamento
anche
per
i
non
addetti
ai
lavori:
per
esempio,
il
grande
filone
della
tradizione
“classica”
e
colta,
le
manifestazioni
etnico-popolari
riscontrabili
nelle
varie
regioni
iraniane,
la
corrente
religiosa
e
spirituale
di
ambiente
samâ
propria
dei
dervici,
i
repertori
“della
moschea”,
fino
alla
più
recente
musica
urbana,
leggera
e
pop.
Emblema
dell’identità
iraniana
è la
musica
“classica”
persiana,
particolarmente
raffinata,
ricca
di
rimandi
simbolici,
frutto
della
stratificazione
storica
sopra
considerata.
In
essa
la
poesia
e la
musica
si
fondono
nelle
performance
sonore
costruite
abilmente
da
cantori
e
strumentisti
professionisti
attraverso
un
equilibrio
perfetto
delle
parti.
L’intero
ciclo
del
repertorio
classico
prende
il
nome
di
radif
e si
basa
su
un
sistema
di
modi,
complessivamente
12,
detti
dastgah;
ogni
modo,
gushe
o
maqam,
identifica
una
scala
i
cui
gradi,
al
sui
interno,
assolvono
una
funzione
(il
tono
d’apertura,
la
cadenza
finale,
ecc.)
in
relazione
alla
melodia
(mutaghayyer),
sempre
monodica
e
microvariatavariata
attraverso
tecniche
d’improvvisazione
fondamentali
per
l’intero
sistema.
Anche
la
struttura
metrica
e
ritmica
(maye)
contribuisce
a
definire
i
gushe.
I
dastgah
possono
essere
sia
vocali
che
strumentali
all’interno
di
piccoli
ensemble
misti.
Gli
strumenti
più
in
voga
sono
i
tradizionali:
santur,
una
sorta
di
salterio
trapezoidale
le
cui
corde
sono
percosse
da
bacchette;
tar
e
setar,
due
tipi
di
liuto
che
differiscono
per
dimensioni
e
numero
di
corde;
kemanche,
una
sorta
di
viella;
nay,
flauto
a
canna
dritta;
daf,
tamburo
a
cornice;
e
tombak,
tamburo
a
forma
di
vaso.
Al
riguardo,
le
analogie
con
l’organologia
storica
sono
eloquenti.
Attualmente
il
radif
della
musica
iraniana,
per
gli
straordinari
valori
veicolati,
fa
parte
della
lista
dei
capolavori
del
patrimonio
orale
e
immateriale
dell’umanità
segnalati
dall’Unesco.
I
musicisti
che
lo
eseguono
sono
particolarmente
apprezzati
e
seguiti
in
tutto
il
mondo.
Riferimenti bibliografici:
G.
De
Zorzi,
Il
Ney.
Lo
strumento
e le
sue
implicazioni
storiche,
poetiche,
simboliche,
in
«World
Music»
n.
34,
pp.
44-64
J.
During,
Musiche
d’Iran.
La
tradizione
in
questione,
traduzione
e
cura
di
G.
De
Zorzi,
BMG
Ricordi,
Milano
2005
J.
During,
Il
sacro
e il
profano:
una
distinzione
legittima?
Il
caso
delle
musiche
del
Vicino
Oriente,
in
«Enciclopedia
della
musica.
Musica
e
culture»,
vol.
III,
Einaudi,
Torino
2003,
pp.
281-301.
IRAN,
in
«The
New
Grove»
(second
edition),
vol.
XII,
pp.
521-546.
Rumî,
Poesie
Mistiche,
a
cura
di
A.
Bausani,
BUR,
Milano
1980.
Radif.
The
Intergral
Repertory
of
Persian
Art
Music,
Dariusch
Tala’i
(Setar),
CD
1955
Kudsi
e
Suleyman
Erguner,
Sufî
Music
of
Turkey,
CD
2000