A PROPOSITO DI VILLA TAMAGNIN-LATTES
Storia di una casa-museo
di Filippo Vedelago
Il territorio trevigiano è ricco di
ville venete, pregevoli
testimonianze artistiche e
architettoniche del periodo di
dominio della Repubblica di Venezia,
e il Settecento è, per definizione,
l’età dell’oro di queste residenze,
utilizzate dai veneziani non solo
per amministrare le rendite dei
propri possedimenti terrieri, ma
anche per ozio, svago e
divertimento, secondo quella che,
all’epoca, assunse i caratteri di
una vera e propria moda: la
villeggiatura.
A Istrana, in provincia di Treviso,
è presente una piccola villa veneta
con una chiesetta adiacente,
l’elegante villa Tamagnin-Lattes,
spesso citata in testi e saggi di
storia dell’arte e
dell’architettura, recentemente
restaurata nel corpo centrale e
valorizzata con la riapertura al
pubblico come casa-museo dell’automa
e del carillon.
Visitando oggi questo museo, il
visitatore viene accompagnato nella
dimora del suo ultimo proprietario
privato, l’avvocato Bruno Lattes
(1877-1953), colto avvocato della
Treviso dei primi del Novecento, un
uomo dalla personalità eclettica e
originale, un abile violoncellista,
un grande viaggiatore e un
appassionato collezionista di opere
d’arte, mobilio d’epoca e
automatismi. Una visita che stimola
notevolmente la curiosità e
l’osservazione, nel cercare di
cogliere e comprendere le tante
passioni che si sono accumulate
nella vita dell’avvocato.
Ma chi furono i primi proprietari di
questa residenza? Perché a Istrana
venne edificata una villa? Quale
architetto la costruì? E come arrivò
in proprietà a Lattes?
Domande banali, ma davvero complesse
nella risposta, tanto che, per
capire appieno la storia di questa
villa, è necessario fare un salto a
ritroso nel tempo, sino ai primi del
XVIII secolo, quando Istrana era
solo un piccolo villaggio della
Podesteria di Treviso, abitato
prevalentemente da braccianti e da
poche famiglie signorili locali e
veneziane. In particolar modo,
l’area dove oggi sorge la dimora
(località Ai Casoni), si
caratterizzava per la presenza di un
gran numero di umili abitazioni
contadine, descritte nelle fonti
come case con tetti coperti di coppi
e di paglia (casoni veneti).
Il committente fu Paolo Tamagnin
(1653-1734), un borghese e agiato
mercante veneziano, probabilmente
inserito in vari settori della
mercatura in laguna, tra i quali,
forse, anche il commercio di piccoli
quadri e opere d’arte. Nel 1698
Paolo aveva contratto matrimonio con
Pisana Bianconi (1678-1751), una
dama di venticinque anni più
giovane, la cui famiglia aveva una
possessione terriera di oltre 60
campi nella campagna istranese.
Possiamo ipotizzare che questo
matrimonio servisse alla famiglia
della sposa a imparentarsi con il
ricco mercante, mentre per Tamagnin
la convenienza stava, probabilmente,
nella possibilità di legarsi a un
casato con rilevanti capitali
agricoli nell’entroterra veneto. In
effetti, osservando il contratto
nuziale dei due, si deduce come il
mercante, attraverso alcune precise
clausole della dote nuziale, riuscì
a entrare gradualmente in possesso
delle terre dei parenti della
moglie, risultando, ai primi del
Settecento, uno dei più importanti
possidenti terrieri di Istrana.
La costruzione di una villa di
campagna divenne, forse,
un’impellente necessità per Paolo
Tamagnin, interessato non solo ad
assicurarsi l’amministrazione
diretta del fondo agricolo, ma anche
una nuova e prestigiosa posizione
sociale, nonché potenti e influenti
amicizie con altre eminenti famiglie
locali (i Bianchi a Padernello, i
Celsi a Istrana, i Pola a Barcon, i
Badoer a Badoere, i Loredan a Paese,
i Corner a Sant’Andrea di Cavasagra),
che certamente sarebbero state
cementate attraverso la costruzione
di un’elegante residenza di
villeggiatura, quale chiara
ostentazione di ricchezza, come pure
di rivalità, nei confronti delle
élite presenti in loco.
Datare con precisione il complesso
della villa di Istrana risulta
particolarmente difficile. Per la
villa possiamo ipotizzare il 1712,
in quanto un documento del XVIII
secolo, conservato all’Archivio di
Stato di Treviso, che attesta un
contratto di permuta avvenuto nel
1711, lascia intuire l’avvio di un
cantiere per la costruzione della
barchessa di ponente (ovest), delle
case coloniche e di un cortile. Nel
1713, nella mappa d’estimo del
villaggio di Istrana, compare la
“Casa Dominical” del mercante,
accompagnata dal disegno stilizzato
di un edificio padronale dotato di
barchesse. L’adiacente e piccola
chiesetta dedicata alla Madonna
Immacolata venne sicuramente
completata nel 1715, mentre nel
1717-1718 Tamagnin provvide, con
un’ulteriore permuta, a espandere il
retro della proprietà per la
creazione di un brolo (un orto,
frutteto, vigneto), oggi il parco
della villa.
Per quanto concerne l’architetto che
probabilmente la progettò, si
propone il nome di Giorgio Massari
(1687-1766), importante autore di
altre notevoli ville (villa
Giovannelli a Noventa Padovana,
villa Cordellina a Montecchio
Maggiore), chiese e palazzi a
Venezia (Ca’ Rezzonico, Palazzo
Grassi, la chiesa di Santa Maria del
Rosario alle Zattere). Parliamo però
di un’attribuzione, perché a oggi
non esiste alcuna fonte capace di
chiarire inequivocabilmente che la
villa venne realizzata da Massari.
Possiamo comunque proporre il suo
nome, non solo attraverso l’analisi
delle linee e delle forme della
dimora, ma anche per gli stretti
rapporti che l’architetto aveva con
il committente. Nel 1734, alla morte
di Tamagnin, Massari si trovò
infatti a essere dichiarato suo
erede universale e quindi secondo
proprietario della villa di Istrana.
Probabilmente per consolidare le
rendite e far fronte alle numerose
clausole testamentarie imposte,
l’architetto arrivò, nel 1735, a
sposare Pisana Bianconi, la moglie
del defunto mercante, dichiarata nel
testamento usufruttuaria dell’intero
capitale. Un secondo matrimonio che
permette di ipotizzare un antico e
segreto amore tra i due, felicemente
concluso con le nozze, ma che, nella
realtà storica, doveva
verosimilmente servire a tenere
uniti i capitali di famiglia
garantendo maggiori vitalizi
all’erede. Altra interessante
ipotesi vede l’anziano mercante
pienamente d’accordo con Massari per
queste seconde nozze, utili a
garantire una valida sistemazione
alla vedova Tamagnin, rimasta sola e
senza figli.
Alla morte dell’architetto la villa
di Istrana passò, sempre per volere
testamentario di Paolo Tamagnin, al
nobile casato dei Negri di Venezia,
che non ne ebbero gran cura. Abbiamo
infatti notizia che quando i Lattes
comprarono la dimora nel 1842,
questa era senza porte e finestre,
con l’attigua chiesetta
dell’Immacolata ridotta a deposito
di derrate agricole. Presumibilmente
i Negri consideravano secondaria la
villa di Istrana rispetto alla
grande tenuta che possedevano a
Pederobba (oggi villa Berengan),
poiché la residenza di Tamagnin era
stata ottenuta attraverso una
lontana eredità.
I Lattes erano una famiglia ebraica
originaria da Savigliano (provincia
di Cuneo), dove Abramo Lattes
(1800-1880), il nonno dell’avvocato
Lattes, era nato. Ancora in giovane
età si era trasferito a Venezia,
dove aveva messo su famiglia e
aperto un negozio di stoffe, in
Mercerie San Salvatore, destinato ad
avere grande successo. Abramo
divenne infatti non solo fornitore
di tessuti del Gran Teatro La
Fenice, ma anche impresario teatrale
per alcune stagioni. Con i guadagni
ottenuti arrivò ad armare un
veliero, lo “Zaccaria”, che affondò
purtroppo nel corso del viaggio
inaugurale, e a comprare, nel 1842,
dalla contessa Anna Negri, la villa
di Istrana, che recuperò
dall’abbandono e dal degrado per
installarvi, nelle adiacenze, una
filanda per la lavorazione della
seta.
Alla morte di Abramo la dimora passò
in proprietà al figlio Cesare
(1842-1913), importante imprenditore
agrario che, dopo le nozze con Lucia
Levi, si era trasferito da Venezia a
Treviso forse per meglio seguire la
tenuta istranese e i relativi
terreni. Dal matrimonio nacquero due
figli, Bianca e Bruno.
Quando nel 1913 il padre Cesare
venne a mancare, Bruno Lattes
(1877-1953) divenne nuovo
proprietario della villa che,
durante la Grande Guerra, dopo la
rotta di Caporetto, venne utilizzata
come ospedale militare da campo
prima italiano e successivamente
inglese. Nei primi anni Trenta, al
culmine di una brillante carriera
come avvocato, Lattes decise di
lasciare la professione per
dedicarsi alle cure della dimora,
che dotò di mobilio d’epoca, opere
d’arte, automi, carillon, e per
iniziare una serie di lunghi viaggi
in Medio Oriente e Asia, motivo per
acquistare altri oggetti e insolite
curiosità per arricchire la
residenza di Istrana. Dopo
l’armistizio dell’8 settembre 1943,
l’avvocato fu costretto a rifugiarsi
a Venezia e successivamente a
Lugano, in Svizzera, per sfuggire
alla deportazione nazi-fascista.
Tornato a Istrana continuò a
dedicarsi con passione al
collezionismo.
Nell’ottobre 1953, quando Lattes
venne a mancare, colto da un
improvviso infarto, la villa passò,
per suo espresso volere
testamentario, al Comune di Treviso
che, nei primi anni, la intese come
lussuosa dépendance per alloggiare
ospiti illustri, come i Presidenti
della Repubblica Gronchi, Segni e
l’onorevole Saragat in visita alla
città. La villa del resto era dotata
di ogni confort per l’epoca, come
luce, acqua corrente e un lussuoso
bagno, e la vicinanza all’aeroporto
militare di Istrana (realizzato nei
primi anni ’50), la rendeva perfetta
per questo scopo.
Divenne successivamente terza sede
dei Musei Civici di Treviso, accanto
al Museo Bailo e a Ca’ da Noal.
Negli anni Novanta, con aperture
sempre più intermittenti, la villa
venne definitivamente chiusa, sino
all’acquisto, nel 2004, da parte del
Comune di Istrana che, avviato un
lavoro di restauro nel corpo
centrale, l’ha riaperta al pubblico,
nel maggio 2018, come Museo Villa
Lattes, la prima casa-museo in
Italia dedicata all’automa e al
carillon.
Riferimenti bibliografici:
Aa.Vv., Villa Lattes. Casa del
carillon, Comune di Istrana,
2019.
Dematté A., Bruno Lattes, un
trevigiano ottimista, Canova
Editore, Treviso 2001.
Manzato E., Villa Lattes,
Federico Garolla Editore, Milano
1990.
Vedelago F., Dai Tamagnin ai
Lattes, Edizioni del Faro,
Trento 2022.