N. 101 - Maggio 2016
(CXXXII)
MUSEI
E
LETTERATURA
ESEMPI
DI
IMMAGINI
DI
MUSEI
NEI
ROMANZI
E
LORO
INTERPRETAZIONE
–
PARTE
II
di
Maria
Laura
Corradetti
Il
museo
risulta
essere
luogo
idoneo
sì
al
ricovero
e
alla
conservazione
di
determinati
oggetti
(nel
caso
in
specie
di
una
statua
bronzea
raffigurante
Venere),
ma
si
configura
anche
come
istituzione
nella
quale,
in
sinergia
con
altri
centri
di
ricerca,
viene
decodificata
la
potenzialità
informativa
di
ogni
reperto
che
può
investire
molteplici
aspetti
(antropologico,
cultuale,
ecc.),
con
un
approccio
scientifico
in
base
al
quale
attribuzioni
di
pseudo
proprietà
taumaturgiche,
apotropaiche
et
similia
vengono
lette
unicamente
come
testimonianze
ed
espressioni
di
quella
stessa
società
che
le
ha
prodotte.
Il
che,
inevitabilmente,
presuppone
uno
studio
interdisciplinare
che
non
si
esaurisce
nei
soli
giudizi
storico-artistici
maturati
attraverso
l’analisi
dei
caratteri
tipologici
e
stilistici,
ma
investe
trasversalmente,
se
vogliamo,
tutto
lo
scibile,
in
quanto
si
tratta
di
recuperare
tutti
i
significati
sottintesi
alla
produzione,
uso
e
scarto
di
un
determinato
oggetto.
Il
passato
spesso
ci
ha
consegnato
manufatti
che
la
superstizione
credeva
essere
portatori
di
iattura
e
miserie,
tuttavia
lo
studioso,
rispetto
a
questi
condizionamenti
irrazionali,
li
recupera
e li
analizza
quali
elementi
culturali
sostanziali.
Non
a
caso
i
due
personaggi
principali
(2
studiosi
d’arte),
il
signor
Peyrehorade,
un
antiquario
per
passione,
e la
voce
narrante,
un
archeologo
suo
conoscente,
saranno
gli
unici
personaggi
lontani
da
qualsiasi
suggestione
sulla
responsabilità
della
statua
circa
la
morte
del
figlio
di
Peyrehorade.
In
questa
prospettiva
il
museo
si
configura
come
un’istituzione
votata
alla
conoscenza
secondo
i
criteri
della
scientificità
e
obiettività,
che
si
attua
in
primis
con
la
cura
per
la
sopravvivenza
fisica
dell’oggetto,
dopodiché
con
una
indagine
dello
stesso
grazie
anche
alla
collaborazione
con
la
comunità
scientifica
nazionale
e/o
internazionale,
e
con
una
diffusione
della
conoscenza
così
prodotta
mediante
linguaggi
e
modi
diversificati
se
indirizzata
alla
collettività
o
agli
specialisti
del
settore.
Il
museo,
a
prescindere
dalla
sua
specificità,
può
essere
luogo
ideale
di
incontro
e di
approfondimento
per
quanti
condividano
una
stessa
passione.
Nella
sua
missione
di
acquisizione,
conservazione
e
comunicazione
delle
testimonianze
materiali
e
immateriali
dell’uomo
e
del
suo
ambiente,
si
pone
come
naturale
punto
di
riferimento
non
solo
per
gli
studiosi,
ma
per
la
comunità
in
generale
che
della
sua
missione
riconosce
e
condivide
gli
intenti
e
gli
ideali.
Ce
ne
dà
un
esempio
questo
passo
di
Camera
con
vista:
«Dove
incontraste
la
prima
volta
la
signorina
Honeychurch
e
me?
-
In
Italia.
-
E
dove
incontraste
il
signor
Vyse,
che
sta
ora
per
sposare
la
signorina
Honeychurch?
-
Alla
Galleria
Nazionale.
-
Mentre
ammirava
l’arte
italiana.
Ecco
qui;
ora
insistete
a
parlarmi
di
coincidenza
e di
destino?
Voi
vi
interessate
di
arte
italiana
e
così
pure
i
vostri
amici.
Questo
restringe
incredibilmente
il
campo,
ecco
perché
ci
incontriamo
nuovamente
in
esso»
(E.M.
Forster,
Camera
con
vista,
1988,
p.
176).
Poi,
ovviamente,
il
museo
può
essere
anche
per
il
singolo
amatore
il
posto
dove
letteralmente
assaporare,
quasi
fosse
una
degustazione,
ciò
che
lì
viene
custodito
ed
esposto:
Il
museo
come
luogo
di
educazione
viene
invece
evocato,
ad
esempio,
da
Salinger
ne
Il
giovane
Holden:
«Con
tutto
che
era
domenica
e
Phoebe
non
poteva
essere
là
con
la
sua
classe
e
via
discorrendo,
e
che
il
tempo
era
così
brutto
e
umido,
mi
feci
tutto
il
parco
a
piedi
fino
al
Museo
di
Storia
Naturale.
[...]
La
scuola
di
Phoebe
era
la
stessa
dove
andavo
io
da
bambino,
e
non
facevano
che
portarci
al
museo.
Avevamo
quella
maestra,
la
signorina
Aigletinger,
che
ci
portava
là
tutti
i
maledetti
sabati
o
quasi.
Certe
volte
ci
portava
a
vedere
gli
animali,
certe
volte
gli
oggetti
che
gli
indiani
avevano
fatto
secoli
prima.
Stoviglie,
cestini
di
paglia
e
tutta
roba
così.
Mi
sento
molto
felice
quando
ci
ripenso.
Ancora
adesso.
Mi
ricordo
che
dopo
aver
guardato
tutti
quegli
oggetti
indiani,
di
solito
andavamo
a
vedere
un
film
in
quel
grande
auditorium»
(J.
D.
Salinger,
Il
giovane
Holden
[1951],
2002,
p.
134).
La
visita
di
un
museo,
se
accordata
nei
contenuti,
si
inserisce
in
modo
funzionale
all’interno
di
un
programma
scolastico
come
canale
supplementare
di
arricchimento
e
rafforzamento
della
formazione
curricolare
degli
studenti.
Tuttavia,
pur
nella
migliore
delle
ipotesi,
il
limite
che
inevitabilmente
ne
riduce
l’efficacia
è di
natura
fisiologica,
giacché
ha
una
durata
limitata
(in
genere
non
supera
le 2
ore)
e,
analogamente
alle
lezioni
in
classe,
non
può
mantenere
sempre
vivida
l’attenzione
del
pubblico.
Ben
venga
allora
un
insegnante
come
la
signorina
Aigletinger
che
ha
l’intelligenza
(e
la
possibilità)
di
reiterare
la
visita,
quasi
fosse
un
appuntamento
settimanale,
in
modo
da
supplire
alle
carenze
connaturate
della
visita
stessa
tornando
nello
stesso
museo
che,
in
base
all’argomento
scelto
di
volta
in
volta,
consente
numerose
chiavi
di
lettura
di
quanto
esposto.
Ecco
che
il
museo
si
conferma
essere
un’istituzione
versatile
e
reattiva,
malleabile
agli
interessi
del
singolo,
utile
in
un
intervento
didattico
che
catalizzi
l’attenzione
dello
scolaro
per
ottimizzare
la
qualità
dell’apprendimento.
A
tal
fine,
nella
sua
forma
espositiva,
il
museo
si
avvale,
quali
veicoli
aggiuntivi
nella
mediazione
culturale,
di
strumentazioni
tecnologiche
anche
interattive
di
ultima
generazione,
ma
che
al
tempo
del
romanzo,
ambientato
alla
fine
degli
anni
’40
del
Novecento,
potevano
includere
magari
solo
proiezioni
di
filmati.
E
nel
romanzo
si
vede
come
l’aspetto
affettivo
abbia
sortito
gli
effetti
voluti,
dal
momento
che
Holden
ricorda
ancora
con
piacere
quei
momenti.
Inoltre
questo
modo
di
approcciarsi
al
museo
messo
in
atto
dalla
sua
insegnante,
inserendolo
quale
naturale
appendice
delle
lezioni
in
classe,
produce
un
benefico
effetto
su
entrambi
i
fronti.
Da
una
parte,
infatti,
i
programmi
scolastici
possono
giovarsi
di
uno
strumento
didattico
sussidiario
rappresentato
dal
museo
e,
eventualmente,
dal
personale
specializzato
che
in
esso
opera
al
servizio
dell’utenza
e,
dall’altra,
il
museo
agli
occhi
dei
giovani
allievi
non
rappresenta
più
un
luogo
nel
quale
annoiarsi
e di
cui
non
percepiscono
il
legame
con
il
loro
tempo
e la
loro
formazione.
Tra
l’altro,
in
una
prospettiva
lungimirante,
quei
ragazzi,
un
domani,
potranno
anche
inconsapevolmente
agire
a
favore
delle
istituzioni
museali,
poiché
nell’eventualità
in
cui
diventino
a
loro
volta
insegnanti
o
genitori,
o
comunque
nella
condizione
di
relazionarsi
con
dei
ragazzi,
con
molta
probabilità
tenderanno
a
ripetere
con
le
nuove
generazioni
l’esperienza
di
una
visita
museale
che
nei
loro
ricordi
d’infanzia
è
stata
tutt’altro
che
spiacevole.
In
sostanza
la
letteratura
non
inquina
l’immagine
del
museo,
ma
si
limita
a
riprodurre
le
sue
mille
sfaccettature.
Talvolta
in
maniera
embrionale,
quasi
non
voluta,
addirittura
con
formule
stereotipate,
rivela
aspetti
e
contraddizioni
insite
in
questa
istituzione
che
deve
giostrarsi
tra
la
tutela
e la
comunicazione,
quali
cardini
del
suo
mandato.
Due
compiti
in
verità
tra
loro
in
antitesi,
perché
la
fruizione
non
sempre
si
accorda
in
maniera
funzionale
alla
conservazione.
Inoltre
deputata
a
essere
veicolo
di
conoscenza
al
di
fuori
dei
circuiti
scolastici,
può
apparire
insoddisfacente
o
luogo
di
meraviglie
agli
occhi
del
visitatore
a
seconda
delle
aspettative
e
motivazioni
nutrite
dal
visitatore
stesso,
ma
pure
rispetto
alle
modalità
espositive
e
divulgative
lì
intraprese.
In
quest’ottica,
con
tutti
i
limiti
legati
ad
esempio
alle
risorse
umane
e
finanziare
a
disposizione,
il
museo
tenderà
a
rinnovarsi
in
una
perenne
ricerca
di
nuove
strategie
sempre
più
efficaci.
Ma
questa
è
un’altra
storia.