N. 95 - Novembre 2015
(CXXVI)
Viaggio tra alcune realtà museali
Insoliti Musei
di Claudia Antonella Pastorino
Musei come patrimoni d’Arte; musei a cielo aperto, ovvero siti archeologici in mezzo a cui perdersi nel dedalo di vicoli, strade, botteghe o resti di templi, case, ville; musei testimoni di grandi e piccole civiltà del passato; musei come edifici d’epoca con grandi sale stracolme di bacheche, vetrine, pannelli su cui è difficile soffermarsi a leggere e ricordare tutto; musei come palazzi ducali o regali o case natali illustri; musei come mostre di collezioni private d’Arte e di ogni genere che scrupolosi appassionati consentono occasionalmente di ospitare mostrando – accanto ai loro pezzi – un po’ di se stessi e del loro mondo; musei che raccontano storie e momenti attraverso percorsi fotografici; musei come rappresentazione di arti e mestieri una volta presenti nel territorio, una specie di ritratto produttivo locale che aiuta a far capire e conoscere le risorse – perlopiù rurali - su cui un tempo si lavorava e si viveva.
Tante
realtà
che
fanno
bene
alla
conoscenza
del
nostro
territorio
in
termini
di
presenza,
curiosità
e
anche
approfondimento,
perché
il
più
delle
volte
si
tratta
di
inediti,
di
oggettistica
molto
particolare
spesso
al
limite
della
stramberia
o
dell’inusuale.
Dove
si
trovano?
Vanno
cercate,
scoperte
passeggiando
o
semplicemente
parlando
con
la
gente
del
posto;
si
celano
quasi
inosservate
all’interno
di
piccoli-medi
centri
non
sempre
toccati
dai
grandi
flussi
turistici,
spesso
senza
una
segnaletica
appropriata,
ma
scoprirle
è
veramente
un’esperienza
da
non
sottovalutare.
La
Repubblica
di
San
Marino,
vicina
di
casa
con
la
nostra
Romagna,
detiene
ad
esempio
un
buon
primato
di
originalità
non
solo
per
quanto
riguarda,
si
sa,
i
francobolli
–
nel
giugno
scorso
ne
ha
emessi
tre
da 5
e 15
centesimi
e da
3
euro
dedicati
alla
tazza
del
wc,
nell’ambito
della
Giornata
mondiale
dei
servizi
igienici
– ma
anche
per
la
parte
museale:
tra
i
tanti,
ne
ha
uno
sui
Vampiri
distribuito
in
appena
90
metri
quadrati
e un
altro,
su
un’area
di
ben
700
m²,
non
a
caso
chiamato
Museo
delle
Curiosità.
Più
di
cento
oggetti
non
inventati
o
costruiti
appositamente,
ma
veri,
documentano
la
stranezza
di
costumi
e
usi
quotidiani
che
al
giorno
d’oggi
stenteremmo
a
comprendere,
tipo
occhiali
da
parrucca,
zoccoli
veneziani
di
60
cm,
raschiatoio
per
l’igiene
quotidiana
della
lingua,
capelli
di
792
cm e
unghie
lunghe
412.
A
Santancargelo
di
Romagna
(Rimini),
c’è
da
scegliere
tra
una
serie
di
micromusei
che
non
ci
si
aspetterebbe
tutti
i
giorni,
tipo
il
Museo
del
Gioco
del
Pallone
a
Bracciale
e
del
Tamburello,
originale
già
nell’ubicazione
essendo
situato
in
un
bastione
della
cinta
muraria
malatestiana.
Conserva
materiali
usati
per
i
giochi
con
la
palla
in
un
arco
di
tempo
che
va
dal
‘500
all’800:
palloni
a
bracciale,
tamburelli,
antiche
fotografie
e
perfino
testi
e
regolamenti
di
un
gioco
evolutosi
nel
tempo.
La
stessa
cittadina
accoglie,
su
iniziativa
di
Giorgio
Gallavotti
che
li
ha
collezionati
attingendo
alla
merceria
di
famiglia,
un
Museo
dei
Bottoni
la
cui
storia
è
rappresentata
dalla
fine
dell’800
ai
giorni
nostri;
tra
le
sezioni,
figura
quella
dedicata
ai
materiali
di
produzione
e
anche
all’uso
specifico
di
bottoni
su
determinati
abiti,
vale
a
dire
in
funzione
dell’epoca
e di
chi
li
portava:
un
accessorio
che
veste
ed è
usato,
ieri
come
oggi,
anche
in
base
al
comportamento
personale,
al
costume
o ad
esigenze
particolari
di
lavoro
o di
ruoli.
Sempre
la
Romagna
continua
a
sorprendere
ospitando,
a
Bellaria-Igea
Marina
(Rimini),
un
Museo
con
una
vasta
collezione
di
conchiglie,
molluschi
e
organismi
marini
all’interno
dell’antica
Torre
Saracena,
mentre
nel
parco
adiacente
si
vedono
vele
al
terzo
e i
“batanicci”,
piccole
imbarcazioni
da
pesca
della
vecchia
tradizione
marinara.
Interessante,
ancora
a
Bellaria,
il
Museo
delle
Radio
d’epoca,
contenente
143
pezzi
storici
datati
Anni
Venti
e
Trenta,
con
modelli
di
varie
marche
e
nazionalità
che
narrano
tecnologia
ed
evoluzione
del
primo
importante
strumento
d’informazione
ed
evasione
presente
nelle
case
nei
primi
decenni
del
Novecento.
Tra
le
rarità,
una
Radio
Marelli
1929,
una
Crosly
1930,
una
radio
rurale
1933,
l’immancabile
“La
Voce
del
padrone”,
grammofoni
del
1940
ed
altre
radio
di
quegli
anni.
Longiano
(Forlì-Cesena)
è un
concentrato
di
piccole
ma
belle
strutture
museali
cui
la
comunità
non
solo
locale
è
molto
legata,
andandone
giustamente
fiera
perché
valorizza
quel
che
si
ha e
quel
che
si
è,
passato
o
presente
che
sia.
Si
può
ammirare
una
singolare
collezione
d’Arte
contemporanea
presso
la
Fondazione
Tito
Balestra,
all’interno
del
castello
malatestiano
dominante
il
paese,
con
opere
(oli,
xilografie,
acqueforti
e
sculture)
di
Mafai,
Rosai,
De
Pisis,
Sironi,
Guttuso,
Vespignani,
Roccamonte,
Bartolini,
Campigli,
Chagall,
Goya,
Matisse,
Morandi
ma,
soprattutto
di
Mino
Maccari
(circa
1800
opere
tra
oli
e
grafiche).
Ancora,
nella
chiesetta
settecentesca
di
Santa
Maria
delle
Lacrime,
troviamo
il
Museo
della
Ghisa,
un
viaggio
nel
tempo
tra
manufatti,
foto
e
disegni
ripercorrenti
la
storia
dell’arredo
urbano
dall’Ottocento
al
Novecento:
lavorazioni
artistiche
per
i
battenti
di
portoni
antichi,
lampade,
fontane,
mascheroni
per
i
gettiti
d’acqua,
mensole,
lampioni
e
tanti
oggetti
in
varie
rappresentazioni:
leoni,
figure
femminili,
fiori,
foglie,
tralci
di
vite.
Si
passa
poi
al
Museo
del
disco
d’epoca,
ubicato
nella
parte
nuova
del
complesso
San
Girolamo,
dove
dall’invenzione
del
fonografo
(1877),
si
arriva
al
laser-disc
dei
nostri
tempi
e si
ammirano
creazioni
originali
per
disegni
e
dimensioni,
tra
cui
i
“Pictures
disc”
degli
anni
Dieci:
dischi
decorati
– ad
esempio
uno
di
Picasso
–
e
colorati
con
foto
o
ritratti
di
cantanti.
Da
notare
la
varietà
di
grandezze
e
spessori,
fino
a
120
cm,
su
supporti
di
gommalacca,
legno
pressato,
cartone
e
perfino
cioccolato.
A
Pizzighettone
(Cremona),
si
respira
una
speciale
atmosfera
da
città
fortificata,
militarmente
evidente
nonostante
i
secoli
trascorsi.
Uno
di
quei
posti
dove
tutto
è
Museo,
dalle
prigioni
alle
caserme,
lungo
le
rive
dell’Adda.
La
città
murata,
la
cui
visita
per
due
chilometri
di
percorso
è
molto
ben
organizzata
dal
Gruppo
Volontari
Mura,
è un
esempio
di
grandiosa
architettura
militare
risalente
al
1650
circa,
in
epoca
spagnola,
con
interventi
austriaci
intorno
al
1720.
All’interno
le
cosiddette
Casematte,
alloggiamenti
militari
e
vari
ambienti
intercomunicanti
distribuiti
in
93
sale
voltate
a
botte,
sono
un
vero
colpo
d’occhio
mentre
si
attraversano
lungo
un
percorso
coperto
di
circa
800
metri.
Usciti
dalla
cortina
muraria,
a
pochi
passi,
si
raggiunge
la
Torre
del
Guado,
dove
fu
imprigionato
per
tre
mesi
Francesco
I di
Valois,
sconfitto
nella
battaglia
di
Pavia
il
24
febbraio
del
1525
dall’armata
imperiale
di
Carlo
V,
durante
la
guerra
d’Italia
del
1521-26.
La
stanza
della
prigionìa
è in
cima
alla
Torre,
da
lì
il
Re
francese
avrebbe
scritto
alla
madre
Luisa
di
Savoia
la
famosa
frase
tramandataci
dai
libri
di
Storia:
“Tutto
è
perduto
fuorché
l’onore
e la
vita
che
è
salva”.
Dalle
Mura
alla
Torre,
si
visita
facilmente
il
Museo
delle
Prigioni,
un
severo
carcere
austriaco
del
1785
chiuso
poi
definitivamente
nel
1954.
Enormi
camerate
e
claustrofobiche
celle
di
punizione
destano
tuttora
nel
visitatore
profonda
inquietudine
nel
rievocare
condizioni
detentive
d’altri
tempi,
tra
buio
pesto,
umidità
e
condizioni
igieniche
da
brivido.
A
Pieve
di
Cadore
(Belluno),
nel
moderno
Palazzo
COS.MO
a
pochi
metri
dalla
casa
natale
di
Tiziano
Vecellio,
è
ospitato
dal
2007
il
Museo
dell’Occhiale,
un
accessorio
fondamentale
che
ci
accompagna
a
vario
titolo
e
che,
nel
territorio,
rappresentava
un
perno
di
economia
e di
lavoro
oltre
che
un
simbolo
della
stessa
tradizione
cadorina,
prima
che
tante
fabbriche
chiudessero
i
battenti.
La
storia
dell’occhiale
passa
per
l’arte,
il
costume,
le
tendenze,
il
molteplice
utilizzo
da
vista,
da
sole,
da
moda,
da
ingrandimento,
da
eleganza.
Astucci,
occhiali
senza
e
con
stanghette
a
seconda
dell’epoca,
binocoli
da
teatro,
strumenti
ottici,
modelli
di
ogni
tipo
dal
Medioevo
ad
oggi
realizzati
anche
in
oro,
pietre
preziose,
avorio,
giada,
danno
l’idea
dell’utilità
e
dell’utilizzo
di
questo
prezioso
accessorio;
accanto,
si
snoda
un
percorso
fotografico
–
con
oggetti
e
documenti
–
che
testimonia
lo
sviluppo
dell’industria
dell’occhiale
nel
territorio
dalla
fine
dell’800
al
Novecento.
La
prima
fabbrica
sorse
nel
1878
in
un
mulino,
con
macchinari
mossi
da
energia
idraulica,
mentre
Seicento
e
Settecento
restano
le
epoche
più
vezzosamente
ricche
di
artistiche
montature
e
pezzi
di
pregio,
inclusi
i
primi
occhiali
da
sole
e
quelli
in
corno,
del
tipo
detto
“di
Goldoni”
(il
quale
sentì
l’esigenza
di
usare
vetri
verdi
per
ripararsi
dai
raggi
solari,
dando
forse
il
via
a
una
consuetudine
poi
tecnologicamente
migliorata
fino
a
farsi
moda).
Naturalmente
abbiamo
sfiorato,
per
scelta,
soltanto
alcune
tra
le
tante
piccole-medie
presenze
museali
meritevoli
di
nota
a
approfondimento,
limitandoci
a
quelle
che
abbiamo
avuto
modo
di
conoscere
personalmente
per
non
incorrere
nel
rischio
di
testimonianze
infedeli
o
approssimative.
E, a
dimostrazione
che
le
piccole-medie
realtà
museali
sono
anche
ben
organizzate
oltre
che
interessanti
da
vedere,
si è
svolto
lo
scorso
2-3
ottobre
il
sesto
convegno
nazionale
dei
Piccoli
Musei
a
Massa
Marittima
(Grosseto)
presso
il
Palazzo
dell’Abbondanza,
promosso
dall’Associazione
Nazionale
Piccoli
Musei
in
collaborazione
con
la
Cooperativa
Colline
Metallifere.
Tema
dell’incontro,
“Musei
accoglienti:
una
nuova
cultura
gestionale
per
i
piccoli
musei”.