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N. 124 - Aprile 2018 (CLV)

Le Muse dalle auree corone

 Genealogia, miti e iconografia

di Alessandra Romeo

 

Le Muse dalle auree corone, come le definisce Esiodo nella sua Teogonia (v. 916), sono le cantatrici divine (h. Hom. 3, 189-193; Hes. Sc. 205-206) che deliziavano gli dei (Hom. Il. 1, 601-604) e donavano eloquenza, persuasione, saggezza, dolcezza e preparazione nei campi della poesia, storia, matematica e astronomia.

 

Secondo lo stesso autore (Hes. Th. 81-93), inoltre, donano ai re la capacità di persuadere attraverso la parola, al fine di ristabilire la pace, e la dolcezza, per essere cari ai sudditi (cfr. Plut. Moralia 743D).

 

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Sarcofago delle Muse

 

Genealogia divina e progenie mitica

 

Presentano una genealogia divina, poiché figlie di Mnemosine, personificazione della Memoria, e di Zeus (cfr. h. Hom. 4, 429-430; Hes. Th. 52 ss.; 915-917; Heraclit. All. 55; Apollod. Bibliotheca 1, 3, 1; D.S. 4, 7, 1; Orph. H. 76, 1; Ov. met. 5, 268; 281).

 

Una seconda variante genealogica si riscontra nella Medea di Euripide (v. 384), dove sono indicate come figlie di Armonia. Eumelo di Corinto ne cita tre come figlie di Apollo e nove come figlie di Zeus e Mnemosine (Eumel. frr. 16-17 Kinkel). Secondo Mimnermo, infine, esse si dividono in due gruppi: le più antiche sono figlie di Urano, le più recenti di Zeus (cfr. Paus. 9, 29, 4).

 

La discendenza da Urano è confermata anche da Diodoro Siculo, che ricorda come Alcmane cita il dio come padre e Gea come madre (cfr. Alcm. fr. 67 Page). Egli, inoltre, ne ricorda la virtù della verginità e la derivazione del nome dal verbo greco myèin, “istruire”, poiché «insegnano agli uomini le cose belle e vantaggiose, che sono ignorate da chi non ha avuto un'educazione» (D.S. 4, 7, 3).

 

Platone (Pl. Cra. 406 A), invece, ipotizza una derivazione dal verbo mòsthai, “ispirare”. Isidoro di Siviglia (Isid. Etym. 3, 15), infine, afferma che il nome derivi apò tou màsai, «dall’atto del ricercare», poiché gli antichi ritenevano necessario l’aiuto delle Muse nel momento di ricerca della forza espressiva da infondere nei carmi e della giusta modulazione della voce.

 

La verginità è attesta anche in altri autori, ad esempio Eraclito (Heraclit. All. 57) e Ovidio (Ov. met. 5, 254), tuttavia, l’incorruttibilità della loro virtù non è presente in tutte le fonti antiche. Alcune delle Muse, infatti, ebbero figli: Clio generò Giacinto (cfr. Apollod. Bibliotheca 1, 3, 3), Lino (Tz. ad Lyc. 831) e Reso (Sch. E. Rh. 346; 393); Euterpe partorì Reso (Apollod. Bibliotheca 1, 3, 4; Sch. E. Rh. 346; 393); Talia è madre dei Coribanti (Apollod. Bibliotheca 1, 3, 4) e Palefato (Sch. E. Rh. 346); Melpomene generò le Sirene (cfr. Apollod. Bibliotheca 1, 3, 4; Epitome 7, 18; Hyg. fab. 125; 141) e Tamiri (Sch. E. Rh. 346); Tersicore è madre delle Sirene (Sch. E. Rh. 346; Tz. ad Lyc. 653; A.R. 4, 896); Erato partorì Giacinto (Sch. E. Rh. 346); Polimnia è madre di Trittolemo (Sch. E. Rh. 346) e Orfeo (Sch. A.R. 1,23); Urania di Lino (Hes. fr. 305 Merkelbach-West; Hyg. fab. 161); Calliope è madre di Orfeo (cfr. A.R. 1, 23 ss.; Apollod. Bibliotheca 1, 3, 2; Hyg. fab. 14), di Ialemo, Lino e Imeneo (cfr. Sch. E. Rh. 895a; Apollod. Bibliotheca 1, 3, 2) e Reso (Apollod. Bibliotheca 1, 3, 4).

 

Il numero delle Muse

 

Le fonti non concordano sul loro numero, che va da un minimo di tre a un massimo di nove. Eumelo di Corinto, nell’indicarle come figlie di Apollo, ne cita tre e i cui nomi sono Boristenide, Cefisunte e Apollonide (Eumel. fr. 17 Kinkel); Pausania (Paus. 9, 29, 2) riporta la notizia che i figli di Aloeo ritenessero fossero tre, i cui nomi erano Melete, “l’Esercizio”, Mneme, “la Memoria”, e Aoide, “il Canto”, e che in seguito il macedone Piero stabilì il numero definitivo di nove e cambiò i loro antichi nomi in quelli che ancora oggi conosciamo.

 

Il retore latino Arnobio (Arnob. ad. Gent. 3, 37) afferma che per Efero le Muse erano tre, per Mnasea quattro, per Mitilo sette, per Cratete di Mallo otto e per Esiodo (cfr. Hes. Th. 76-79, dove sono elencati anche i nomi) nove, numero riportato anche nell’Odissea (Hom. Od. 24, 60), nella Medea di Euripide (v. 834), da Diodoro Siculo (D.S. 4, 7, 2-3), Nonno di Panopoli (Nonn. D. 41, 226) e nell’Inno Orfico 76 (Orph. H. 76, 8-9).

 

Interessante è, infine, la testimonianza di Plutarco (Plut. Moralia 744A-F), che cita sia il numero nove sia il tre. In origine le Muse erano tre (Neàte, Mèse e Hypàte), associate ai grandi generi ai quali tutte le scienze e le arti si riconducono, quali la filosofia, la retorica e la matematica.

 

Ognuna di esse contiene, tuttavia tre varietà: della matematica fanno parte la musica, l’aritmetica e la geometria; della filosofia la logica, l’etica e la fisica; della retorica, infine, il genere encomiastico, quello deliberativo e il giudiziario. Ciò ha comportato l’assegnazione di altrettante Muse. Nell’elenco sembrano mancare poesia e astronomia, ma in realtà esse derivano dalla musica la prima e dalla geometria la seconda.

 

Nella tradizione letteraria latina spiccano, oltre il già citato Arnobio, Cicerone e Varrone. Cicerone (Cic. nat. deor. 3, 54) distingue due gruppi di Muse: Telsione, Aede, Arche e Melete, figlie del secondo Giove, e le nove figlie del terzo Giove e di Mnemosine.

Varrone (cfr. Serv. ecl. 3, 21) ne cita tre, una nata dal movimento delle acque, la seconda dalle percussioni sonore dell’aria e la terza che si manifesta con la voce umana, senza alcuno strumento. Egli specifica l’origine dell’errato numero di nove: nell’antica città di Sicione si affidò a tre diversi scultori il compito di creare tre statue per ogni Musa. Le nove creazioni erano talmente belle da essere tutte esposte nel tempio di Apollo per cui furono commissionate e da quel momento fu introdotto il numero di nove (cfr. Aug. doctr. christ. 2, 17).

 

Le Muse nel mito

 

Le Muse sono protagoniste di tre miti greci, tutti concernenti una sfida. Il primo è l’episodio della gara di canto con le Sirene la cui tracotanza, avendo voluto gareggiare con le Muse, fu punita con lo strappo delle piume delle loro ali, usate poi come ornamento dalle stesse vincitrici (Paus. 9, 34, 3; Tz. ad Lyc. 653). Il secondo episodio è la sfida voluta dal poeta Tamiri che, dopo la sconfitta, fu privato della vista e del dono del canto (cfr. Hom. Il. 2, 594-600; Apollod. Bibliotheca 1, 3, 3; Paus. 4, 33, 7). La terza sfida è quella voluta dalle nove figlie di Pirro, re di Macedonia, e della ninfa Antiope, sconfitte e tramute in gazze dalla stridula voce (cfr. Cic. nat. deor. 3, 54; Ant. Lib. 9; Ov. met. 5, 300 ss.).

 

Utili alla comprensione delle loro virtù sono anche i miti in cui compaiono come protagoniste secondarie. Dopo la gara musicale tra Apollo e Marsia, che si concluse con la terribile morte del satiro tramite scorticazione, il dio ruppe le corde della propria kithara per il rimorso dovuto alla scellerata tortura imposta. La divina melodia inventata andò quindi perduta, ma le Muse ricoprirono ben presto l’uso della corda mediana (D.S. 3, 59, 1-6).

 

Esse cantarono alle nozze di Teti e Peleo e in quelle di Armonia e Cadmo (Pi. P. 3, 86-92; Paus. 9, 12, 3; D.S. 5, 49, 1) e intonarono lamenti funebri durante i funerali di Achille (Hom. Od. 24, 60-62; Q.S. 3, 594 ss.). Insegnarono, infine, ad Aristeo la medicina e l’arte profetica e gli diedero da custodire le greggi sulla pianura Atamanzia di Ftia, delle falde dell’Otri e del corso dell’Apidano (A.R. 2, 511-5115).

 

Le Muse sono connesse anche a un’altra leggendaria figura, la Sfinge. Essa aveva volto di donna, petto, zampe e coda di leone e ali di uccello, ed era famosa per tenere sotto scacco la città di Tebe, essendosi stabilita sul monte Ficio e uccidendo i passanti che non sapevano risolvere l’enigma che aveva imparato dalle Muse: «qual è l'essere che avendo un'unica voce cammina su quattro e su due e su tre piedi?».

 

La risposta era “l’uomo”, che da piccolo cammina carponi, da adulto su due gambe e da anziano con l’aiuto di un bastone, e fu risolto solo da Edipo. Il mostro, essendo stato così battuto, si gettò dall’acropoli della città (Apollod. Bibliotheca 3, 5, 8).

 

Nella tradizione letteraria latina, spicca nuovamente l’episodio della gara tra Apollo e Marsia, in cui le Muse furono le giudici (Hyg. fab. 165), notizia non confermata dalle fonti greche, e il mito di Pireneo nelle Metamorfosi di Ovidio (Ov. met. 5, 271-294). Egli narra che l’uomo, avendole attirate con l’inganno di voler offrir loro riparo dalla pioggia, le invitò nella sua dimora e cercò di abusare delle dee. Esse riuscirono a sfuggire, librandosi in aria con le proprie ali, e Pireneo morì gettandosi dalla torre pur di inseguirle.

 

Canone esiodeo e iconografia

 

L’elenco esiodeo divenne canonico e, dall’età ellenistica, a ciascuna di esse fu affidato un determinato campo dello scibile, ben specificati soprattutto nella Biblioteca Storica di Diodoro Siculo (D.S. 4, 7, 3): Clio, “colei che rende celebri”, è la Musa della storia ed è rappresentata stante o seduta, con un rotolo in mano o una cassa di libri; Euterpe, “colei che delizia”, è l’ispiratrice della poesia lirica ed è rappresentata con un flauto; Talia, “la festiva”, è la Musa della commedia ed è accompagnata da una maschera comica o epica e un bastone da pastore; Melpomene, “colei che canta”, è legata alle composizioni tragiche ed è accompagnata da una maschera tragica, la clava di Herakles o una spada, presenta il capo circondato da foglie di vite e indossa i coturni, i tipici calzari degli attori tragici; Tersicore, “colei che si diletta nella danza”, presiede alla danza e alla poesia corale e i suoi attributi sono la lyra e un plettro; Erato, “che suscita desiderio”, come suggerisce il nome, è la Musa della poesia licenziosa e della pantomima e anch’essa è raffigurata accompagnata da una lyra; Polimnia, “dai molti inni”, è legata alla composizione degli inni sublimi e non presenta caratteristici attributi iconografici, tuttavia è rappresentata in atteggiamento pensoso e riflessivo; Urania, “la celeste, colei che innalza al cielo”, è legata all’astronomia ed è raffigurata con un bastone che punta verso un globo; Calliope, “dalla bella voce”, infine, è la Musa della poesia epica, definita da Esiodo «la più eccellente di tutte», e i suoi attributi iconografici sono una tavoletta e uno stilo, oppure un rotolo o un libro.

 

Frequente nelle fonti è l’associazione delle Muse ad ambiti diversi da quelli indicati nello schema canonico. Un esempio è nel Simposio di Platone (187 D-E), dove si afferma che l’amore volgare è frutto di Polimnia, qui considerata Musa della poesia lirica, caratterizzata da amori passionali e, quindi, ritenuti inferiori rispetto all’amore per le cose celesti ispirato da Urania.

 

Anche se ogni Musa aveva propri attributi iconografici, identificarle non è un’operazione scevra da errori. Nella produzione vascolare attica, esse sono spesso rappresentate in egual modo: con lyra, attributi generici o accompagnate da determinati personaggi, come Apollo (cfr. Paus. 5, 18, 4; 10, 19, 4) e Tamiri, che fanno supporre che le donne rappresentate siano loro. Sono presenti, tuttavia, esemplari vascolari sulla cui superficie sono dipinti i nomi delle figure in esame, ma spesso gli schemi e gli attributi usati non corrispondono alla figura nominata ed è attestata la presenza con numero variabile da uno a nove.

 

La prima opera su cui è attestata la loro presenza è il famoso Cratere François. Il cratere a volute ABV 76.1, conservato al Museo Archeologico Etrusco di Firenze (inv. 4209), è datato verso il 560 a.C., fu creato dal vasaio Ergotimos e decorato dal pittore Kleitias.

 

 

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Cratere François, particolare

 

Sul lato principale, e più precisamente nel primo registro sul corpo del vaso, sono raffigurate le nozze di Peleo e Teti con corteo divino, in cui spiccano le nove Muse, identificabili grazie alle iscrizioni dei rispettivi nomi.

 

Presentano tutte eleganti vesti finemente decorate, ma nessun attributo identificativo: solamente Calliope è raffigurata nell’atto di suonare la siringa, uno strumento musicale formato da più canne e tenute insieme da corde o cera.

 

Esaminando la produzione vascolare attica si riscontra la presenza di un caso con iscrizione concernente un loro luogo sacro. È la lekythos a fondo bianco ARV² 997.155, attribuita al Pittore di Achille, conservata all’Antikensammlung di Monaco (inv. S80) e databile al 440 a.C. Tra le muse rappresentate, spicca quella che suona una lyra davanti ad un usignolo e seduta su una roccia su cui è leggibile l’iscrizione HELIKON, “Elicona”, uno dei monti a loro sacri e situato in Beozia.

 

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Lekythos ARV² 997.155, particolare

 

Nell'arte romana, infine, si seguivano i canoni iconografici descritti in precedenza. Esempi sono il Sarcofago delle Muse, conservato al Louvre di Parigi (inv. MR 880) e databile alla prima metà del II secolo a.C., e il mosaico della villa romana di Vichten, in cui sono raffigurati Omero e le nove Muse, conservato al Musée National d'Histoire et d'Art di Lussemburgo e databile intorno al 240 d.C.

 

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Mosaico di Vichten, particolare

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Le abbreviazioni delle fonti greche, latine e patristiche e delle relative opere sono state redatte secondo le indicazioni rispettivamente del Liddell-Scott-Jones, del Thesaurus Linguae Latinae e del Lampe.

ABV: Beazley, J.D., Attic Black-Figure Vase-Painters, Oxford 1956.

ARV²: Beazley, J.D., Attic Red-Figure Vase-Painters, Oxford 1963.

Giuliano A., Storia dell’arte greca, Carocci editore, Roma 2008, p. 179.

Kinkel G., Epicorum Graecorum Fragmenta, Lipsia 1877.

Merkelbach R. - West M.L., Fragmenta Hesiodea, Oxford 1967.

Page D.L., Poetae Melici Graeci, Oxford 1962.



 

 

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