N. 91 - Luglio 2015
(CXXII)
DI MURO IN MURO: LEZIONI DI STORIA INASCOLTATE
NUOVI SCEMPI DI CEMENTO IN UNGHERIa
di Filippo Petrocelli
Nella
tutt’altro
che
democratica
Ungheria
post-comunista,
è
spuntato
un
nuovo
muro.
Eppure
poche
voci
sdegnate
si
sono
alzate
contro
questo
scempio.
Un
muro
costruito
al
confine
fra
il
paese
magiaro
e la
Serbia
allo
scopo
di
contenere
l’immigrazione
illegale
proveniente
dal
paese
balcanico:
è
questa
la
motivazione
ufficiale.
Alto
quattro
metri
e
lungo
circa
175
chilometri,
la
barriera
coprirà
l’intera
frontiere
fra
i
due
paesi,
fra
l’Ungheria
meridionale
–
precisamente
nei
dintorni
di
Morahalom
e
Ásotthalom
– e
la
Serbia
settentrionale.
Per
ora
è
stato
portato
a
termine
un
piccolo
tratto,
mentre
tutta
l’opera
sarà
completata
entro
novembre
2015.
Un
confine
attraversato
da
decine
di
migliaia
di
persone
in
fuga,
interessate
a
“sbarcare”
in
Europa
al
termine
di
un
viaggio
che
molto
spesso
comincia
dall’Africa
settentrionale
e
finisce
sui
Balcani.
Per
gli
esperti
di
flussi
migratori
questa
è la
“Rotta
balcanica”:
strada
maestra
per
chi
fugge
dalla
Siria
e
passa
per
Turchia,
Macedonia,
Bulgaria,
Serbia,
Ungheria
e
Austria.
È
qui
che
si
concentrano
i
tentativi
di
entrare
nella
“Fortezza
Europa”
via
terra,
dove
organizzazioni
criminali
e
mafie
locali
offrono
supporto
logistico,
garanzie
di
passaggio
o un
semplice
aiuto
tutt’altro
che
disinteressato.
Nei
fatti,
questa
barriera
assomiglia
da
vicino
a
quella
che
corre
negli
Stati
Uniti
meridionali
al
confine
con
il
Messico
dove
circa
mille
chilometri
di
cemento
armato,
telecamere,
filo
spinato,
recinzioni
e
metallo
servono
soprattutto
a
intimorire
chi
cerca
l’American
dream.
E
come
quel
confine,
questo
muro
ungherese
segna
il
limes
fra
due
mondi,
fra
“ricchezza”
e
“povertà”,
fra
speranza
e
rassegnazione.
Eppure
nessun
membro
della
Comunità
Europea
o
delle
Nazioni
Unite
si è
opposto
alla
costruzione
–
annunciata
peraltro
già
da
tempo
da
parte
del
premier
ungherese
Orban
–
nemmeno
a
parole.
A
costruirlo
membri
dell’esercito,
circa
900
militari,
almeno
a
sentire
le
cifre
annunciate
dal
Ministro
della
difesa
magiaro
Csaba
Hende.
In
altre
parole
una
grande
opera
di
pubblica
utilità
secondo
l’esecutivo,
un’infrastruttura
offerta
dallo
stato
ai
suoi
concittadini,
da
usare
come
un
argine
contro
la
presunta
invasione.
Secondo
le
autorità
ungheresi
nell’ultimo
anno
sono
infatti
entrati
illegalmente
nel
paese
57mila
persone,
tutte
passanti
per
il
confine
con
la
Serbia.
Ma
la
costruzione
di
questo
muro
oltre
a
non
piacere
particolarmente
all’Unione
Europea
ha
generato
il
malcontento
del
premier
serbo
Aleksandar
Vučić,
che
non
solo
ha
criticato
l’opera,
ma
si è
anche
spinto
a
ragionare
su
quanto
una
semplice
barriera
possa
non
bastare
per
fermare
l’immigrazione.
Oltre
il
muro
sono
state
varate
una
serie
di
norme
orientate
al
controllo
dei
flussi
migratori:
accelerazione
dell’iter
burocratico
per
le
espulsioni
e
possibilità
di
rifiutare
il
visto
anche
a
quei
migranti
con
diritto
di
asilo,
insomma
un
netto
inasprimento
delle
politiche
di
accoglienza
nel
paese
magiaro,
nonostante
questo
faccia
parte
dell’Unione
Europea
dal
2004
e
sia
incluso
nell’area
di
libera
circolazione
di
Schengen.
Le
morbide
proteste
della
Serbia
non
sono
bastate
a
interrompere
il
progetto
perché
la
comunità
internazionale
non
ha
criticato
espressamente
l’operato
del
premier
Orban.
Considerando
invece
l’opinione
pubblica
ungherese,
il
premier
conservatore
ha
riscosso
non
pochi
successi,
anche
sul
delicato
tema
delle
frontiere.
Orban,
padre-padrone
dell’Ungheria
contemporanea
non
arretra:
dice
che
il
“suo”
muro
non
viola
gli
accordi
internazionali
e
anzi
accusa
l’Ue
di
non
aver
adottato
misure
efficaci
contro
l’immigrazione.
Intanto
Bulgaria
e
Grecia
hanno
costruito
un
confine
di
cemento
con
la
Turchia
che
rimane
la
porta
d’accesso
per
l’Europa,
a
dimostrazione
che
in
fondo
tutto
il
mondo
è
paese.
Ma
non
basta,
perché
i
muri
odierni
sono
molti
più
di
quanto
si
pensi:
dall’enclave
spagnola
di
Ceuta
e
Melilla,
passando
per
la
Bulgaria
e la
Grecia
che
hanno
appunto
costruito
un
confine
artificiale
con
la
Turchia,
così
come
il
celebre
muro
fra
la
Cisgiordania
e
Israele
o
quello
fra
zone
protestanti
e
zone
cattoliche
a
Belfast
oppure
ancora
la
cortina
che
divide
le
due
Coree
da
oltre
sessant’anni.
Ora
si è
aggiunto
pure
quello
dell’Ungheria.