contemporanea
MUNICH
E IL TERRORISMO INTERNAZIONALE
IDEOLOGIE E LOTTA ARMATA NEL FILM DI
STEVEN SPIELBERG
di Alessio Guglielmini
Munich,
film
del 2005, è qualcosa di più del racconto
delle azioni del Mossad che seguono
all’attentato di Settembre Nero alle
Olimpiadi di Monaco del 1972 e che sono
passate alla storia come operazione
Ira di Dio. La regia di Steven
Spielberg e la sceneggiatura, curata da
Tony Kushner ed Eric Roth sulla base del
libro Vendetta di George Jonas,
sfiorano, quando non evidenziano, gli
intrecci traspionaggio, reti di
informazione e i movimenti ideologizzati
che fanno uso del terrorismo e della
lotta armata per amplificare i moventi
della loro causa.
Una scena riassuntiva di questo intrigo
si verifica circa a metà film, in una
presunta “casa sicura” di Atene. Qui
Avner (Eric Bana), il capo squadra del
Mossad, e i suoi vengono sorpresi
dall’ingresso di nuovi inquilini che si
professano dell’OLP.
La situazione è tesa: le pistole di chi
occupa la casa sono puntate contro chi
pretende di occuparla, e viceversa. Per
calmare gli animi, Avner e compagni si
dichiarano esponenti di organizzazioni
radicalizzate e di movimenti di
liberazione nazionale. È Robert (Mathieu
Kassovitz) a illustrare rapidamente le
appartenenze: lui milita nell’ETA,
Avner, Carl (Ciarán
Hinds) e Hans (Hanns Zischler) sono
della Rote Armee Fraktion; Steve
(Daniel Craig) è invece dell’ANC
sudafricano. Dopo la scampata sparatoria
si ritrovano tutti, membri dell’OLP e
operativi del Mossad dietro mentite
spoglie, a fraternizzare idealmente
sotto la bandiera della lotta
antimperialista.
In un successivo dialogo tra Ali (Omar
Metwally) e Avner emergono tuttavia
alcune differenze. Ali, combattente per
la liberazione della Palestina, cita
anche l’IRA, insistendo sull’importanza
di quella patria che di fatto manca ai
militanti dell’OLP.
Proprio il concetto di “patria” è
simmetrico alle campagne di ETA e IRA
che condividono intenti paralleli su
base territoriale: quelli
dell’indipendenza,
dell’auto-determinazione e del
separatismo da governi giudicati
soffocanti e coercitivi. Sfugge a questa
immediata classificazione, al di là
delle affinità di pensiero e azione, la
linea della Rote Armee Fraktion,
la più citata dalla pellicola di
Spielberg.
Il primo riferimento alla RAF avviene a
Francoforte. Avner, che ha appena
conosciuto gli altri componenti della
sua unità, si reca dall’amico Andreas
(Moritz Bleibtreu) e dalla sua ragazza
Yvonne. Le pareti della loro casa, su
cui la regia di Spielberg indugia
miratamente, restituiscono, tra gli
altri, la classica insegna della RAF con
stella e mitra e un ritratto di Lenin.
Mentre Yvonne declama Marcuse, Avner le
chiede se appartenga, per l’appunto,
alla Baader-Meinhof o Rote
Armee Fraktion. È chiaro che Andreas
richiama il nome di Andreas Baader,
leader dell’organizzazione con Gudrun
Ensslin e Ulrike Meinhof. Per la
cronaca, Bleibtreu interpreterà il ruolo
di Baader nel film La banda Baader
Meinhof (2008) di Uli Edel, ispirato
all’indagine del giornalista Stefan
Aust.
Il libro di Aust, Rote Armee
Fraktion. Il caso Baader-Meinhof,
aiuta a ricostruire ciò che realizza la
RAF in quel 1972 da cui prendono avvio
le vicende di Munich. In
particolare, è interessante il
riferimento che la trama di Spielberg
riserva a Francoforte, città in cui la
banda è molto attiva tra il 1971 e il
1972.
Holger Meins e Jan-Carl Raspe cooptano
qui Dierk Hoff, scultore del metallo,
per preparare dispositivi utili a quegli
attacchi dinamitardi che rappresentano
il culmine delle azioni terroristiche
della RAF nel maggio del 1972. Baader e
compagni stabiliscono il loro covo nella
Inheidener Strasse e il giorno 11
iniziano la loro serie di assalti,
colpendo il circolo ufficiali del V
Corpo d’armata statunitense nella
IG-Farben-Haus, proprio a Francoforte.
Il 1° giugno 1972, dopo tre settimane di
esplosioni e vittime, Raspe, Baader e
Meins vengono braccati in città, nello
Hofeckweg. Raspe viene fermato quasi
subito, Baader e Meins cedono dopo un
assedio al garage in cui si sono
barricati. Il 7 giugno tocca alla
Ensslin ad Amburgo mentre la Meinhof
viene assicurata alla giustizia il
successivo 15 giugno, nei pressi di
Hannover.
L’altro elemento di contiguità tra la
Rote Armee Fraktion e il film di
Spielberg è nella vicinanza della
brigata tedesca agli schieramenti
palestinesi. Sempre Aust ripercorre un
periodo di formazione nel 1970 di alcuni
esponenti della banda in un centro di
al-Fatah in Giordania, dove Baader e i
suoi s’imbattono, non senza attriti, in
quel Ali Hassan Salameh che è obiettivo
primario della missione Ira di Dio.
La disciplina del campo stona con
l’approccio hippy di certi membri della
Baader-Meinhof, poco inclini a adattarsi
allo stile di vita spartano dei
militanti arabi.
Ma dopo due anni di scorribande, la
distanza tra la RAF dei primordi e i
quadri di Ali Hassan Salameh sembra
essersi accorciata, complice la reazione
favorevole della Meinhof all’azione
effettuata da Settembre Nero in quel
drammatico 5 settembre 1972 da cui parte
la storia di Munich. La Meinhof,
dal carcere di Colonia-Ossendorf, saluta
l’attacco contro gli atleti israeliani
con un pamphlet ideologico: L’azione
di Settembre Nero a Monaco di Baviera.
Per una strategia della lotta
antimperialista.
Per ciò che riguarda ETA, nella prima
metà degli anni ‘70, notiamo un graduale
inasprirsi dei sequestri che si
ricollegano alle rivendicazioni operaie,
ma l’apice dell’attività sovversiva
viene raggiunto il 20 dicembre del 1973,
con l’assassinio di Luis Carrero Blanco,
possibile erede di Franco.
La propaganda internazionalista e
l’approccio della guerra rivoluzionaria
sicuramente accomunano le frange di ETA
e RAF. Più complessa risulta invece la
matrice identificativa dell’IRA.
Indubbiamente il 1972 è un anno
caldissimo nell’Irlanda del Nord, il più
nero dei Troubles, con 1.200
azioni dell’IRA solo nel mese di maggio,
in risposta alla tragica Bloody
Sunday di Derry del 30 gennaio
precedente. Sono del resto i momenti
focali in cui la lotta armata diventa il
marchio di fabbrica dell’IRA, sempre più
legata alle strategie della PIRA (Provisional
Irish Republican Army), la fazione
che nel 1969 si stacca dagli “Officials”
dell’IRA o IRA ufficiale.
L’IRA pre-Provisional negli anni ‘60,
sotto la guida di Cathal Goulding,
conosce un’importante “stagione rossa”,
ricevendo assistenza e fondi da Unione
Sovietica e DDR. È proprio questa
apertura al comunismo e ai territori
standard della battaglia politica ad
accelerare la separazione dei
“Provisionals”, intenzionati a mantenere
in cima all’agenda le manovre militari.
Per non parlare dell’imbarazzo suscitato
dalla linea marxista presso la
irriducibile componente cattolica dei
fedelissimi della tradizione
repubblicana irlandese.
Quanto alla realtà di Ira di Dio,
quasi superfluo attribuire piena
attendibilità alla stesura di Munich.
Se è indiscutibile che nel 1972 si crea
una taskforce per portare in Europa la
rappresaglia israeliana dopo i fatti di
Monaco, secondo le ricostruzioni di
Michael Bar-Zohar e Nissim Mishal sono
diverse le unità coinvolte. Ogni
divisione dispone di sottogruppi. Alcune
sezioni identificano i bersagli, laddove
altri operativi si occupano della
logistica. Il commando di norma arriva
solo all’ultimo momento, per premere il
grilletto o piazzare la bomba. Tutto
quello che in Munich viene
eseguito da appena cinque uomini è
gestito da vari reparti coordinati tra
loro. Ciò non toglie che Munich
descriva, piuttosto accuratamente,
alcune di quelle missioni.
L’esordio di Ira di Dioè
effettivamente a Roma, per eliminare
Wael Zwaiter,uno stimato traduttore
dall’arabo, benché più giovane dell’uomo
assassinato nel film. Anche il secondo
colpo della campagna evidenzia notevoli
analogie: Mahmoud Hamshari,
rappresentante dell’OLP a Parigi, muore
in seguito alle ferite riportate dopo
l’esplosione del suo telefono e dopo
essere stato avvicinato da un finto
giornalista. La vicenda della bomba
all’Hotel Olympia di Nicosia per colpire
Hussein Abd el Hir ritrova punti di
contatto nella cronaca di Bar-Zohar e
Mishal, incluso il riferimento a una
coppia di sposi israeliani a cui
Spielberg dedica più di un fraseggio.
La missione più ambiziosa, il 9 aprile
del 1973 a Beirut, per colpire Abu
Yussef, comandante di Settembre Nero, e
altre figure chiave dell’organizzazione,
vede il coinvolgimento dell’esercito
israeliano, agghindato con parrucche da
hippy o da donna, come nel film, per
sviare le ronde di sorveglianza.
Al di là delle differenze “logistiche”,
rimane la profondità di un film capace,
non solo, di ricostruire il dramma di
quegli avvenimenti, ma pure di
contestualizzarli nell’intricata varietà
di rapporti intercorsi tra i gruppi del
terrorismo internazionale e gli ambienti
dell’intelligence. Un territorio
ambiguo di ideologie, obiettivi
strategici e azioni armate difficilmente
districabile perfino dal più attento
degli osservatori.
Riferimenti bibliografici:
S. Aust, Rote Armee Fraktion.
Il caso Baader-Meinhof,
il Saggiatore, Milano 2009.
E. Moloney, La storia segreta
dell’IRA, Baldini e Castoldi Dalai
editore, Milano 2005.
A. Botti, La questione basca,
Mondadori, Milano 2003.
M. Bar-Zohar, N. Mishal,
Mossad-Le più grandi missioni del
servizio segreto israeliano,
Feltrinelli, Milano 2014.
G. Jonas, Vendetta. La storia vera di
una missione dell’antiterrorismo
israeliano, Rizzoli, Milano 1985. |