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N. 135 - Marzo 2019 (CLXVI)

iL MOVIMENTO NEOCONSERVATORE
GENESI E SVILUPPI IDEOLOGICI

di Paola Cinelli

 

Gli Stati Uniti d’America presentano un sistema bipartitico dominato principalmente dal Partito Democratico e dal Partito Repubblicano. Il primo si allinea generalmente con istanze liberali e di centro-sinistra, mentre il secondo sostiene una filosofia di stampo conservatore.

 

I partiti politici sopracitati che si rendono protagonisti del dibattito politico statunitense, tuttavia, non possono essere intesi come realtà rigide e monolitiche, poiché all’interno della loro compagine è presente una certa fluidità di pensiero che conferisce loro dinamicità e vitalità.

 

Accanto e all’interno dei partiti, infatti, sono presenti movimenti che hanno contribuito al cambiamento e alla metamorfosi del panorama politico statunitense. Emblematico, in questo senso, è il movimento neoconservatore, che prendendo forma in seno al Partito Democratico si trovò ad allinearsi con il Partito Repubblicano sotto l’amministrazione Reagan.

 

Il movimento neoconservatore nasce da due famiglie culturali diverse. Da una parte abbiamo i New York Intellectuals, gruppo di intellettuali, scrittori e accademici attivi nella New York della seconda metà del XX secolo. Solitamente di origine ebraica, provenienti dal proletariato o dal ceto medio, erano culturalmente vicini, inizialmente, a posizioni marxiste ma fermamente anti-staliniste.

 

Nel corso del tempo, i New York Intellectuals si trovarono sempre più in una posizione critica rispetto all’ideologia comunista, rea di aver dato vita ad un vero e proprio regime dittatoriale. Il biasimo dei New York Intellectuals, tuttavia, si manifestò anche nei confronti del movimento di controcultura degli anni Sessanta, dominata – a loro avviso – da una furia cieca, irrazionale e distruttiva.

 

Le valutazioni negative di questo gruppo di intellettuali non tardarono a raggiungere l’amministrazione Johnson, i cui programmi di riforma sociale (Great Society) venivano considerati utopistici e irrealizzabili. Poco a poco, i New York Intellectuals iniziarono a distaccarsi dal pensiero originario di ispirazione marxista, trovando un nuovo spazio entro cui sviluppare ed esprimere un nuovo pensiero politico, mantenendo quell’anticomunismo che in seguito farà da collante per il movimento.

 

Un secondo gruppo di intellettuali, però, andrà a riempire le file del movimento neoconservatore tra anni Sessanta e Settanta. Il Partito Democratico, infatti, aveva subito ad una duplice defezione” rispetto al tradizionale pensiero liberal: se una parte si era allontanata formando una New Left dalle posizioni radicali, un altro gruppo prese le distanze dal Partito Democratico.

 

Una prima grave frattura, nella fattispecie, si verificò durante le presidenziali del 1972 quando George McGovern, senatore democratico venne eletto candidato contro il repubblicano Richard Nixon. Una consistente fetta del Partito Democratico, capeggiata da Henry Jackson, trovò incomprensibile l’elezione di un uomo considerato dai più un “sovversivo”, in quanto eccessivamente schierato verso l’ala sinistra del Partito, soprattutto in materia di politica estera.

 

McGovern, infatti, non aveva mai fatto segreto della propria contrarietà rispetto all’imponente impegno americano in Vietnam. L’idea, per i democratici di Jackson, era invece quella di mantenere una linea progressista sul fronte interno, mostrando invece la fermezza statunitense all’estero.

 

Si assistette, quindi, alla nascita di una “nuova generazione politica” alimentata da un fervore che intendeva proiettare l’immagine di un’America forte e democratica, tuttavia aspra nei confronti di coloro che intendevano deturparne gli ideali (all’interno) o metterne in dubbio l’autorità (all’estero).

 

Tratto tipico del movimento neoconservatore fu la grande vivacità intellettuale, espressa anche dalla creazione dei cosiddetti think tank, organizzazioni o istituti adibiti al dibattito politico. Grazie al costante e febbrile impegno dei suoi esponenti nel formare una nuova e originale linea politica, siamo ora in grado di evidenziare alcuni punti fondanti il movimento neoconservatore:

- in materia di politica economica, il pilastro neoconservatore poggiava sull’idea che il ruolo dello Stato non dovesse essere incontenibile. Lo Stato, secondo l’ottica neoconservatrice, poteva e doveva agire, ma in misura limitata. In caso contrario, da programmi governativi positivi, avrebbero potuto generarsi conseguenze inaspettate ed involontarie (Law of the Unintended Consequences);

- collegato al punto precedente, vi era l’idea che la Great Society fosse pura un’utopia. Può accadere, infatti, che lo Stato finisca per creare aspettative che poi non è in grado di soddisfare, dando così nuovo adito al conflitto sociale;

- a differenza dei conservatori, i neoconservatori non furono accaniti sostenitori del capitalismo e del libero mercato: il capitalismo, infatti, aveva la capacità di provocare la ricerca spasmodica di desiderio, dannosa per gli interessi del Paese. I neoconservatori non temevano - come i conservatori - l’espansione dello Stato. Pur promuovendo il settore privato, ritenevano giusto il fattore del controllo governativo.

 

Buona parte della riflessione neoconservatrice, però, riguardava la politica estera. In particolare:

- forte rifiuto della politica di distensione o di contenimento nei confronti dell’Unione Sovietica. In questo senso, i neoconservatori caldeggiarono una linea più decisa e intesa a smantellare definitivamente la minaccia comunista;

- di conseguenza, i neoconservatori si appellarono ad una rollback policy in linea con l’idea di esportare e diffondere la democrazia”;

- gradualmente, soprattutto verso gli anni Ottanta, il movimento neoconservatore sviluppò una forte avversione nei confronti delle organizzazioni internazionali, nello specifico verso le Nazioni Unite

 

La frattura verificatasi all’interno del Partito Democratico aveva posto le basi per una rinascita in ambiente conservatore, portando nuova linfa e nuove idee da quegli intellettuali, giornalisti e accademici che verranno definiti – seppur con qualche resistenza – neoconservatori.

 

Il neoconservatorismo – considerato da alcuni studiosi più un’attitudine che una vera e propria dottrina – concentrò la propria riflessione, in prima istanza, rispetto alle politiche economiche di Johnson: la guerra alla povertà” in particolare venne svalutata e definita fallimentare.

 

A riguardo, il report The Negro Family: The Case for National Action” condotto sotto l’amministrazione Johnson dall’Assistente Segretario del Lavoro e autorevole penna di Public Interest Daniel Moynihan, sottolineava l’inutilità delle riforme sociali di Johnson, del tutto inefficaci nel particolare contesto americano dell’epoca e soprattutto nel particolare caso degli afroamericani, il cui problema era da rintracciare nella struttura familiare.

 

Le battaglie contro le discriminazioni razziali e di genere, nel più ampio programma di affirmative action furono altrettanto criticate e considerate un mero prodotto della Controcultura degli anni Sessanta. Le politiche sociali ed economiche, inoltre, non solo venivano considerate inutili ma anche e soprattutto pericolose: gli eccessi burocratici dello Stato rischiavano di limitare la libertà individuale, il cui valore era tenuto in grande considerazione tra i neoconservatori.

 

In materia economica non vi erano posizioni estreme: la no regulation non era contemplata, ma l’intromissione dello Stato non doveva e non poteva eccedere. L’anticomunismo, poi, rappresentava un punto di riferimento per i neoconservatori. Henry Scoop Jackson, Richard Perle, Paul Wolfowitz, Jeane Kirkpatrick sono solo alcuni dei nomi noti per le posizioni ardentemente anticomuniste e vicine alla filosofia neoconservatrice di questi anni.



 

 

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