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N. 41 - Maggio 2011 (LXXII)

dal movimento Demau al femminismo di oggi
Cosa è rimasto?

di Letizia Magnolfi

 

Il movimento Demau, nato agli inizi degli anni ‘60 a Milano su iniziativa di Daniela Pellegrini, è stato il gruppo che in Italia, seppure sia rimasto fino al 1970 “un esempio isolato e numericamente esiguo di sforzo di analisi e concettualizzazione in direzione femminista” ha agito da primo come innovatore delle lotte per l’emancipazione femminile, che erano partite dal considerare lo svantaggio della donna nella vita pubblica e nella sfera privata.

 

La novità più significativa apportata dal gruppo della Pellegrini è quella di aver posto l’ attenzione su tematiche che fino ad allora erano rimaste confinate all’ambito privato – primo fra tutti il concetto di subordinazione sessuale - chiedendo alle donne stesse di diventare promotrici, portavoci di questo nuovo modo di sentire la lotta per l’emancipazione; il ritenersi, forse la cosa più importante, un corpo pensante agente e non più un prodotto culturale subalterno.

 

Il Demau inoltre, nell’ambito dei movimenti di protesta nati negli anni più animati della storia della prima Italia repubblicana, ebbe il merito di porre le basi teoriche per una discussione specifica dell’ “autoritarismo”, la quale però non voleva ridursi ad una sua problematizzazione esclusivamente astratta.

 

Il neo femminismo degli anni Sessanta, fino ai primi anni Novanta, cavalcò l’onda della critica ai valori tradizionali considerati come “castranti” per quella parte che non li sentiva propri, né tantomeno voleva condividerli.

 

Da un punto di vista più ideale questa presa di posizione era rivolta ad una forma mentis generalizzata, per la quale l’essere donna non poteva essere scindibile da ciò che l’altro, ovvero l’essere maschile o il pensare secondo i valori maschili, pretendeva dalla donna stessa; questo le aveva impedito di autodefinirsi, di estraniarsi da una definizione minimalista e di categoria - ciò che è maschile e ciò che è femminile - per troppo tempo subita e accettata.

 

In termini concreti questo si tradusse nelle lotte per l’acquisizione di pari diritti in ambito lavorativo, in ambito di diritto familiare e civile, con l’abrogazione della legge sull’adulterio e i referendum su divorzio e interruzione di gravidanza, entrambi promossi dal Partito Radicale.

 

Furono questi fondamentali progressi che rivoluzionarono alla base i rapporti interpersonali tra uomo e donna; soprattutto si imposero nella storia repubblicana come un traguardo storico-sociale voluto in primis dalle femministe ma successivamente allargatosi, nel consenso raggiunto, a tutta la società.

 

Nel 1968 la corte costituzionale aveva dichiarato illegittime parti fondanti l’articolo del codice penale sull’adulterio, che puniva la moglie colpevole di tradimento fino ad un anno di reclusione, ritenendolo discriminatorio nei confronti della parte femminile.

 

Il divorzio, se nel 1967 era ancora rifiutato dalla maggior parte degli italiani, solo qualche anno dopo, nel 1974, fu accolto favorevolmente dal 60% di questi.

 

Ripercorrendo quegli avvenimenti Miriam Mafai scriveva nel 2004 che l’Italia si riscopriva laica:

 

“ [...] in tutte le città italiane, da Milano a Palermo, da Firenze a Roma una folla immensa, quella notte è [il riferimento è alla notte dei festeggiamenti dopo i risultati del referendum] si riversò per le strade, a festeggiare la vittoria. In maggioranza erano donne. Il nuovo movimento femminista, nato al di fuori se non contro i partiti e le organizzazioni femminili tradizionali, celebrava così la sua prima vittoria. Finiva quel giorno, con quel voto, il secolare predominio della Chiesa sui sentimenti e sul corpo delle donne.

 

È stata una grande rivoluzione culturale che ora torna di grande attualità.

 

Oggi infatti sono in campo tutte le tematiche su cui il femminismo si mosse. Ma quella cultura femminista sembra oggi meno viva, meno incisiva. Sicuramente presenta caratteristiche molto diverse.

 

Viene allora da domandarsi: cosa è rimasto delle lotte femministe di un tempo?

 

In un’inchiesta condotta da Simonetta Fiori alcune storiche femministe parlano dei cambiamenti avvenuti dentro il loro mondo e sorprendenti appaiono le risposte delle interessate, divise tra lacerazioni del passato, silenzi del presente e nuove tendenze che le avvicinano addirittura al mondo cattolico.

 

Eugenia Roccella, all’epoca dell’inchiesta cinquantenne, che fece parte del Movimento di Liberazione della Donna, è una di quelle femministe che ha ritrovato nei valori sostenuti dalla Chiesta un nuovo punto di riferimento, una roccaforte per la difesa dei “diritti naturali” delle donne; “una sorta”, così la chiama Simonetta Fiori, “di rovesciamento – tipico del nouveau rèactionnaire - , di tutti i principi fondamentali sostenuti dalle donne occidentali.”

 

Più cauta è l’interpretazione che di questo fenomeno dà Maria Luisa Boccia, altra figura importante del femminismo.

 

Secondo la Boccia, oggi, non c’è stato un perentorio spostamento verso idee conservatrici da parte del femminismo; piuttosto Cristianesimo e mondo femminile si influenzano l’uno con l’altro per questioni che diventano di comune interesse, per esempio l’invasività delle nuove tecnologie in ambito di procreazione, tanto sentito che in questo modo evocativo descrive questo sentimento la Fiori: un’inquietante figura s’aggira negli scritti femministi che difendono la legge sulla fecondazione artificiale: il medico impazzito che traffica con embrioni congelati, svilisce il feto a oggetto di consumo.

 

Luisa Muraro invece, filosofa della differenza sessuale, va più cauta nel considerare che vi sia davvero stato questo avvicinamento tra Chiesa e femminismo, ma che, viceversa, si debbano attuare dovute differenze tra le posizioni dell’una e dell’altra parte: il femminismo è e sarà lontano dalle “posizioni ufficiali della gerarchia cattolica in materia di fede e morale”, mentre si può costruire una base di confronto con quella parte di società, in primis quella femminile, che umilmente si avvicina alla fede religiosa.

 

L’altro grande tema che oggi ancora più di prima solleva questioni e dibattiti accessi, riguarda il rapporto tra sessualità e potere.

 

Letto in chiave attuale, esso ripercorre la problematica che fu sollevata dal Demau in merito al concetto di “autoritarismo”.

 

Se prima la donna partiva da una condizione di subordinazione di natura sessuale, ovvero risentiva di una serie di circostanze che le impedivano di esprimersi in quanto Essere femminile, adesso assistiamo al fenomeno per cui l’oggetto sessuale che la donna personifica, diventa, nello stesso tempo, arma e danno per se medesima.

 

“E però va anche ricordato che è da poco tempo che le donne si trovano a doversi confrontare con l´impegno di passare da una semplice identità naturale a un´identità civile. Il carattere parossistico di certi atteggiamenti sembra dunque corrispondere all´emergere sintomatico di un´evoluzione incompiuta”: sono le parole di Luce Irigaray, che in modo acuto e puntuale, definisce la condizione della donna un’evoluzione difettosa, che non si è conclusa.

 

La scrittrice belga riflette sulla partecipazione alla vita pubblica e alla politica della donna di oggi, la quale si è adeguata ad una prassi quotidiana, di fare politica, di ricoprire anche cariche importanti che non valorizza i suoi talenti e le sue inclinazioni, per esempio le capacità relazionali, la sensibilità comunicazionale, l’intelligenza sociale.

 

Secondo la Irigaray, infine, il compito più importante che le donne oggi devono assumere è lavorare alla loro individuazione come persone civili e culturali. La politica, per non dire la democrazia, dovrebbe essere un affare di convivenza civile fra le persone prima di essere un affare di rivalità per il possesso, il potere, la poltrona.

 

A decenni di distanza dal femminismo più coraggioso e “sfacciato” c’è forse il bisogno di quello slancio, quella carica emancipazioni sta che animava le femministe di un tempo e che ora sembrano essersi persi, confusi con altro.

 

Che non gli appartiene davvero: ambizione di carriera a colpi di gomito, secondo le regole della rivalità e della spietata competizione, proprie del mondo maschile; o, peggio ancora, competizione ricercata sul piano fisico, sulla bella apparenza, che fortuna mente o no, si può o non si può possedere. Perché così, magari, ci si assicura anche una prestigiosa poltrona istituzionale.

 

Il mezzo sessuale come strumento di accesso al potere.

 

Questo è il paradosso che si è creato: da apparire “sessualmente inferiore all’uomo”, la donna più audace dei nostri tempi, rincorre l’ambizione del potere facendo di sè oggetto desiderabile, appetibile, prima ancora che donna per ciò che ha da dire.

 

In altre parole la seduzione del potere e per il potere sembra oggi costituire l’unico mezzo, e anche l’unico scopo, per raggiungere la realizzazione di se stesse. 



 

 

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