N. 86 - Febbraio 2015
(CXVII)
Vite da internati militari
Una mostra ne ripercorre le vicende
di Gustavo Bellocchio
Nel
70°
anniversario
della
fine
della
Seconda
Guerra
Mondiale
l’ANRP
(Associazione
Nazionale
Reduci
dalla
prigionia,
dall’Internamento,
dalla
Guerra
di
Liberazione
e
loro
familiari)
fa
luce
su
una
delle
vicende
poco
note
del
conflitto:
il
“no”
degli
internati
militari
italiani
al
nazifascismo,
e il
loro
contributo
alla
Liberazione.
La
mostra
storico-didattica
dal
titolo
Vite
di
IMI
(Internati
Militari
Italiani).
Percorsi
di
vita
dal
fronte
di
guerra
ai
lager
tedeschi
1943-1945
-
inaugurata
a
Roma
il 5
febbraio
scorso
-
rende,
infatti,
finalmente
fruibile
il
grande
patrimonio
storico,
culturale
e
umano
degli
oltre
600mila
militari
italiani
che
dopo
l’8
settembre
1943
furono
catturati
nei
vari
fronti
di
guerra,
deportati
e
internati
nei
lager
tedeschi.
La
storia
degli
Internati
Militari
Italiani
(IMI)
ebbe
inizio
l’8
settembre
1943,
il
giorno
dell’armistizio
sottoscritto
dall’Italia
con
le
Forze
Alleate.
I
militari
italiani,
infatti,
furono
sorpresi
dalla
cessazione
delle
ostilità
contro
gli
alleati,
e
molti
furono
catturati
dalle
truppe
tedesche
in
Francia,
Grecia,
Jugoslavia,
Albania,
Polonia,
Paesi
Baltici,
Russia
e
Italia
stessa.
Deportati,
furono
internati
nei
campi
di
concentramento
tedeschi
sparsi
un
po’
dovunque
in
Europa,
soprattutto
in
Germania,
Austria
e
Polonia.
Chiusi
nei
lager
nazisti,
in
un
primo
tempo
furono
prigionieri
di
guerra.
Poi,
l’1
ottobre
1943
sono
stati
definiti
IMI
con
provvedimento
arbitrario
di
Hitler.
Un
modo
per
sviare
la
Convenzione
di
Ginevra
del
1929
sulla
tutela
dei
prigionieri
di
guerra.
Essendosi
rifiutati
di
collaborare
con
il
nazifascismo,
furono
destinati
come
forza
lavoro
per
l’economia
del
Terzo
Reich.
Sottoposti
ad
un
trattamento
disumano,
subirono
umiliazioni,
fame
e le
più
tremende
vessazioni.
Decine
di
migliaia
di
essi
persero
la
vita
nel
corso
della
prigionia
per
malattie,
fame,
stenti,
uccisioni.
Chi
riuscì
a
sopravvivere
rimase
segnato
per
sempre.
La
maggior
parte
degli
arruolati
nel
Regio
esercito
italiano
erano
giovani
chiamati
alle
armi
poco
più
che
ventenni,
o
richiamati
alle
armi,
uomini
educati
sia
all’obbedienza
fascista
che
agli
ideali
del
Risorgimento.
Durante
l’internamento
nei
lager,
per
la
prima
volta,
con
una
scelta
volontaria
di
coscienza
dissero
“no”
a
qualsiasi
forma
di
collaborazione
con
il
Terzo
Reich
e
con
la
Repubblica
di
Salò,
affrontando
venti
mesi
di
sofferenze
e
privazioni.
All’
interno
del
lager
i
prigionieri
conducono
una
vita
durissima
a
causa
della
fame,
del
freddo,
dell’assenza
di
assistenza
sanitaria,
delle
pessime
condizioni
igieniche
e
dell’abbrutimento
fisico
e
morale
derivante
dalla
reclusione.
In
molti
casi
la
sopravvivenza
è
legata
all’arrivo
dei
pacchi
alimentari
da
casa,
al
mercato
nero
e
alla
solidarietà
dei
compagni.
Frequenti
e
cruente
sono
le
perquisizioni,
spesso
in
cerca
di
altri
oggetti
di
qualche
valore
di
cui
depredare
gli
internati,
o
delle
radio
clandestine.
La
radio
clandestina
più
famosa,
“Radio
Caterina”,
viene
costruita
nel
1944
a
Sandbostel
con
materiali
di
fortuna.
Per
la
maggior
parte
dei
soldati
internati
il
campo
(Stalag)
è
solo
il
luogo
in
cui
si
dorme.
La
mattina
ci
si
alza
per
andare
al
lavoro
e si
torna
a
sera.
Gli
ufficiali
invece
rimangono
nel
campo
(Oflag)
per
tutto
il
tempo.
Non
vanno
al
lavoro,
tranne
in
alcuni
casi;
quindi
vivono
il
campo
e la
baracca
come
il
luogo
del
tempo
quotidiano
dove
si
cerca
di
stringere
relazioni
sociali
e si
mettono
in
atto,
ove
possibile,
iniziative
di
tipo
culturale
e
ricreative
che
fioriscono
grazie
alla
presenza
di
numerosi
intellettuali
ed
artisti
internati:
conferenze,
concerti,
lezioni,
discussioni
e
dibattiti
politico-ideologici.
Molti
internati,
eludendo
la
sorveglianza,
scrivono
diari
su
materiale
cartaceo
di
fortuna.
Difficili
sono
i
rapporti
epistolari
con
le
famiglie.
Le
lettere
sono
sempre
sottoposte
a
censura,
per
cui
gli
internati
non
vi
esprimono
mai
le
loro
effettive
condizioni.
Unica
possibilità
di
fuga:
il
sogno
e la
fantasia.
È
una
strenua
lotta
per
resistere
alla
sopraffazione
fisica,
psicologica
e
morale.
La
fede
religiosa
ha
per
molti
un
ruolo
importante,
grazie
all’opera
incessante
dei
circa
250
cappellani
militari
internati.
La
mostra
dedicata
agli
IMI
è
stata
realizzata
con
il
contributo
della
Repubblica
Federale
di
Germania
tramite
il
Fondo
italo-tedesco
per
il
futuro,
in
stretta
collaborazione
con
il
Ministero
degli
Affari
Esteri
della
Repubblica
Italiana.
All’evento
è
stata
concessa
l’Adesione
del
Presidente
della
Repubblica
Italiana.
In
particolare
il
percorso
è
articolato
in
cinque
sale
e
ricostruisce
la
vicenda
individuale
e
collettiva
di
questi
militari
con
l’obiettivo
di
far
conoscere
alle
giovani
generazioni
il
grande
contributo
degli
internati
alla
rinascita
dell’Italia
libera
attraverso
il
loro
rifiuto
ad
ogni
forma
di
collaborazione
con
il
nazi-fascismo,
pagando
questo
atto
con
gravi
sofferenze
e
anche
con
la
vita.
“La
mostra
è un
contributo
alla
costruzione
di
una
comune
politica
della
memoria
tra
l’Italia
e la
Germania,
in
onore
delle
vittime
-
spiega
Enzo
Orlanducci,
presidente
nazionale
dell’ANRP
– e
si
aggiunge
agli
altri
due
progetti
promossi
dall’Anrp,
cioè
l’Albo
degli
IMI
Caduti
nei
lager
nazisti
1943-45
e il
Lessico
biografico
degli
IMI.
Una
dimostrazione,
questa,
di
come
i
due
Paesi
siano
riusciti
a
superare
quelle
tragiche
vicende
e
oggi
a
lavorare
insieme
per
un
futuro
di
pace
e di
sempre
maggiore
coesione
europea”.
La
mostra
sarà
visitabile
fino
all’8
maggio
2015
dalle
ore
10
alle
13
dal
lunedì
al
venerdì
previa
prenotazione
telefonando
allo
06.7004253
o
inviando
una
e-mail
all’indirizzo
anrpita@tin.it