N. 51 - Marzo 2012
(LXXXII)
la morte di minosse in sicilia
dal mito alla storia
di Danilo Caruso
Tra i secoli VIII e VI a.C. emigrarono in Sicilia numerosi gruppi di Greci i quali portarono la loro civiltà nell’isola entrando in contatto, e anche scontrandosi, con i vecchi abitanti (Sicani e Siculi). Si raccontava nell’antichità che Minosse, personaggio appartenente più alle leggende greche che alla storia, fosse stato qui in precedenza ucciso da un re sicano, Cocalo, e che dopo fosse stato sepolto in un punto su cui in seguito sorse un tempio di Afrodite.
La
mitologia
narra
che
Dedalo,
fuggito
da
Creta,
trovasse
ospitalità
in
Sicilia
presso
Cocalo,
ma
il
mitico
sovrano
cretese
che
lo
incalzava
per
farsi
giustizia
dell’episodio
del
Minotauro
lo
rintraccia.
Il
talassocrate
accetta
imprudentemente
un
invito
del
Sicano
alla
sua
rocca
di
Camico,
e
qui
viene
ammazzato
durante
un
bagno
assieme
alle
figlie
di
lui.
Terone,
tiranno
di
Agrigento
tra
il
489
e il
472
a.C.,
riprese
il
racconto
dell’uccisione
di
Minosse
e lo
utilizzò
a
scopo
di
conquista:
il
mito
fu
costruito
dagli
Agrigentini
per
annettere
una
fascia
territoriale
al
di
là
dei
propri
confini
e di
fondamentale
importanza
difensiva.
Terone
prese
a
pretesto
della
sua
azione
militare
il
fatto
di
voler
vendicare
il
re
di
Creta.
Secondo
la
tesi
da
me
elaborata,
esposta
nel
mio
saggio
“SICANIA
/ Il
sito
sicano
di
Colle
Madore:
dalla
leggenda
alla
realtà
(2004)”,
il
sacello
(con
gli
ambienti
circostanti)
dell’area
archeologica
analizzatavi,
posta
alla
periferia
del
Comune
di
Lercara
Friddi,
rappresenta
quello
che
fu
in
passato
identificato
come
tempio
di
Afrodite
/
sepolcro
di
Minosse
di
cui
parlò
poi
Diodoro
Siculo
nella
“Biblioteca
Storica”:
lo
lasciano
intendere
la
particolare
posizione
del
colle,
l’etimologia
del
nome,
l’analisi
dei
reperti
e
del
tipo
di
liturgia
che
vi
si
svolgeva.
Il
Madore
e i
Sicani,
che
lo
abitarono
da
tempi
remoti,
associandosi,
a
partire
da
un
millennio
prima
della
nascita
di
Cristo,
si
trovarono
schiacciati
tra
gli
Stati
di
due
nuove
città
greche:
Agrigento
a
sud
e
Imera
a
nord.
Il
colle
e la
sua
zona
erano
nevralgici
da
un
punto
di
vista
militare
per
il
controllo
delle
regioni
circostanti.
Questa
collina
si
trovava
infatti
a
ridosso
del
dominio
di
Akragas,
su
un’altura
dello
strategico
spartiacque
dei
fiumi
Torto
e
Platani,
da
cui
si
controllavano
le
vie
in
direzione
del
Tirreno
e
del
Mediterraneo.
In
un
primo
tempo
i
Greci
di
nessuna
delle
due
parti
occuparono
con
la
forza
l’area,
anzi
la
mantennero
neutrale
attraverso
la
valorizzazione
del
suo
tempio
dedicato
ad
Afrodite.
Questi
spazi
di
confine
erano
inoltre
connotati
nella
riflessione
tematica
dall’immagine
dell’acqua.
Il
nome
Madore
deriva
dall’aggettivo
greco
madarós
(bagnato):
il
territorio
attorno
al
colle
era
forse
chiamato
la
regione
delle
acque,
lo
fanno
pensare
la
vicinanza
ai
bacini
fluviali
e la
presenza
di
falde
acquifere.
Il
ritrovamento
di
un’edicola,
su
cui
è
raffigurato
un
uomo
seduto
sul
bordo
di
una
vasca
(Minosse),
e di
un
bacino
per
acqua
lustrale
–
entrambi
provenienti
dal
sacello
–
testimoniano
la
centralità
dell’acqua
altresì
come
elemento
cultuale,
in
un
contesto
liturgico
caratterizzato
da
offerte
sacrificali
(thysía).
Gli
Acragantini
in
un
secondo
momento
pensarono
di
agire
in
modo
diverso:
invadere
in
armi
una
zona
resa
neutrale
tramite
motivazioni
religiose
richiedeva
una
valida
giustificazione
al
fine
di
evitare
l’accusa
di
sacrilegio.
Dire,
con
ipocrisia,
che
il
sepolcro
di
Minosse
era
su
Colle
Madore,
sotto
il
tempio
di
Afrodite,
dava
la
possibilità
di
attaccare
perché
asserivano
di
volerlo
vendicare:
e
ciò
non
li
avrebbe
resi
in
apparenza
colpevoli
di
una
cosa
ingiusta
nei
giudizi
dei
loro
contemporanei.
Così
facendo
il
Madore
(insieme
all’intero
territorio
di
Imera)
cadde
nelle
mani
di
Agrigento
intorno
al
483
a.C.
Gli
scavi
condotti
su
questo
rilievo
(1995,
1998,
2004)
dalla
Soprintendenza
ai
beni
culturali
di
Palermo
–
dopo
la
donazione
di
Antonino
Caruso
al
Comune
di
Lercara
Friddi
dei
primi
reperti
accidentalmente
ritrovati
nel
1992
–
hanno
portato
alla
luce,
tra
l’altro,
l’area
sacra
in
esame,
situata
in
prossimità
della
cima.
Ritrovamenti
significativi
sono
parti
di
statuette
di
Demetra
e
un’incisione
in
lingua
punica
(rievocativa
di
Astarte)
rinvianti,
per
analogia,
al
culto
di
Afrodite,
la
cui
presenza
sul
Madore
è
senza
dubbio
provata
da
diversi
ritrovamenti:
una
statuetta
acefala
di
divinità
femminile
che
tiene
in
braccio
una
lepre
(animale
sacro
ad
Afrodite),
un
pezzo
di
scodella
con
sul
fondo
riprodotta
una
svastica
e
una
lamina
abbellita
da
protomi
taurine
a
sbalzo
(si
tratta
di
chiare
rappresentazioni
figurative
a
lei
collegate).
A
seguito
della
pseudovendetta
di
Terone
è
plausibile
la
sostituzione
di
Demetra
ad
Afrodite
(entrambe
dee
della
fecondità),
dato
il
venir
meno,
a
causa
della
successiva
mancanza
del
tema
del
sepolcro,
della
coppia
Afrodite/Minosse:
la
natura
era
paragonata
alla
figura
femminile,
per
cui
Afrodite
equivaleva
a
Demetra.
Altri
reperti
(i
frammenti
delle
antefisse
del
tempietto,
il
modellino
di
capanna
a
pianta
circolare,
etc.)
confermano
il
mio
studio
che
giustifica
anche
la
presenza
di
materiale
importato
da
Imera
come
semplice
acquisto
commerciale,
materiale
che
si
inseriva
in
una
cultura
influenzata
da
Akragas.
Tra
le
lamine
bronzee
ritrovate
una
rappresenta
una
divinità
femminile
(o
Afrodite
o
Demetra).
Lo
spazio
sacrale
di
questo
tempio
di
Afrodite
venne
parzialmente
distrutto,
nel
modo
in
cui
racconta
Diodoro
Siculo,
nel
483/482
a.C.
da
Terone
di
Agrigento
(in
realtà
in
quello
che
poteva
apparire
un
suo
luogo
ipogeo
non
c’era
la
tomba
minoica
inventata
dagli
Acragantini,
bensì
un’officina
per
la
lavorazione
dei
metalli).
Nella
primavera
del
409
a.C.
i
Cartaginesi,
i
quali
occupavano
una
parte
occidentale
di
Sicilia,
distrussero
durante
una
guerra
contro
i
Greci,
tutto
l’abitato
di
Colle
Madore
e la
sua
popolazione
dunque
si
disperse.
Considerata
la
rinomanza
del
posto
ho
creduto
ipotizzabile
una
visita
del
poeta
Pindaro
al
tempio
di
Afrodite
/
sepolcro
di
Minosse
durante
il
periodo
della
sua
permanenza
in
Sicilia
(476/475
a.C.),
visti
i
suoi
rapporti
con
gli
Emmenidi
e la
matrice
aristocratica
e
celebrativa
della
sua
poesia.
La
mia
tesi
è
alternativa
a
una
serie
di
altre
quattro
localizzazioni
proposte
da
altri
studiosi:
Eraclea
Minoa,
le
tholoi
di
Sant’Angelo
Muxaro,
Licata,
le
Grotte
della
Gurfa
di
Alia.
Si
tende
di
solito
a
identificare
la
rocca
sicana
di
Camico
con
Sant’Angelo
Muxaro,
ma
ciò
non
dovrebbe
comportare
che
la
finta
sepoltura
di
Minosse
debba
essere
ubicata
automaticamente
nelle
sue
vicinanze:
non
va
trascurato
che
nella
realtà
greca
la
scelta
del
sito
del
sepolcro
e il
riallacciarsi
al
mito
erano
funzionali
alla
politica
espansiva
agrigentina
e
non
alla
leggenda.
Colle
Madore
presenta
connotazioni
adeguate
e
non
ha
importanza
il
fatto
che
sia
lontano
dalla
costa,
anzi
conta
che
fosse
collocato
sull’asse
Sabucina-Polizzello
delimitante
nel
VI
sec.
a.C.
il
confine
nordico
del
dominio
acragantino.
Uno
scritto
di
inizio
’900
di
G.
Nicastro
poneva
Camico
a
Sutera:
la
sommità
del
Monte
San
Paolino
(ai
cui
piedi
si
trova
il
paese
odierno)
è
visibile
dal
Madore
guardando
verso
oriente.
Le
tholoi
rimangono
sempre
molto
suggestive,
ma
sono
funzionali
all’aspetto
mitico
delle
vicende
minoiche,
a
differenza
della
storia
di
Agrigento
e
Terone
più
pertinente
all’analisi.
Riguardo
a
Colle
Madore
il
mio
sistema
diverge
da
un’impostazione
formulata
dall’archeologo
Stefano
Vassallo
che
lega
questo
sito
all’influenza
di
Imera:
in
particolare
egli
interpreta
il
personaggio
dell’edicola
sopra
menzionata
come
Eracle
e in
più
sostiene
un’etimologia
dall’arabo
del
toponimo
Madore.