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N. 89 - Maggio 2015 (CXX)

Sulla morte di Ferdinando II d'Aragona
IL LETALE abuso di un afrodisiaco

di Fabio Foria

 

Un aspetto della storia, specie la più remota e lontana nei secoli, che da sempre affascina studiosi, appassionati e finanche curiosi è sicuramente quello delle morti dei grandi sovrani, con i loro motivi e le loro conseguenze, in un intreccio spettacolare tra mito e realtà che spesso rende difficile scindere l’uno dall’altra e induce a cercare la verità nel mezzo (almeno nei casi in cui non si tratta di racconti palesemente falsi spesso inventati da nemici risentiti che volevano solo vendicare le sconfitte e le umiliazione subite). Ferdinando II d’Aragona, “il Cattolico”, ultimo re della dinastia dei Trastámara, non fa eccezione: l’aragonese, nel disperato tentativo di avere un erede dalla seconda moglie, Germana di Foix, abusò di un potente afrodisiaco chiamato cantaride che gli causò danni gravissimi alla circolazione sanguigna.

 

Dopo la morte di Isabella di Castiglia, “la Cattolica”, sua prima consorte con la quale siglò l’unificazione dinastica tra la Corona d’Aragona e quella di Castiglia nel 1469, deceduta forse per un tumore all’utero, Ferdinando si ritrovò in una situazione delicata nella corte castigliana.

 

Se da un lato il matrimonio aveva permesso di risolvere varie questioni di interesse ‘nazionale’, come la politica estera e la creazione di un unico patrimonio reale, dall’altro non si registrarono cambiamenti politico-istituzionali rispetto al passato, tanto che la gestione amministrativa dei due regni continuò a restare separata.

 

Così, nonostante il testamento di Isabella nominasse Ferdinando reggente di Castiglia in attesa che il nipote Carlo di Gand, futuro Carlo V d’Asburgo e I di Spagna, compiesse la maggiore età, la mancanza di appoggio da parte della nobiltà locale e l’arrivo in Spagna di Filippo I di Castiglia, “il Bello”, obbligarono il Trastámara a ritirarsi nella ‘sua’ Aragona.

 

La decisione di Isabella aveva l’obiettivo di non concedere il suo regno ad uno ‘straniero’ e di toglierlo dalle mani ben poco salde di sua figlia Giovanna, meglio nota come “la Pazza” e moglie di Filippo, che già mostrava i primi sintomi di demenza durante la malattia della madre.

 

Certo di recuperare la reggenza, Ferdinando giocò d’anticipo nei confronti di suo genero Filippo privandolo dell’appoggio francese. Dunque siglò con Luigi XII, re di Francia, il Trattato di Blois e ottenne la mano di sua nipote, Germana di Foix.

 

Filippo governò per pochissimi mesi, prima di essere colto da una morte tanto improvvisa quanto misteriosa che i castigliani si affrettarono ad addossare proprio a Ferdinando, sospettato di averlo avvelenato per prendersi il trono. In ogni caso, al suo ritorno in Castiglia, il re aragonese rinchiuse a Tordesillas la figlia Giovanna, la cui salute mentale peggiorò pesantemente a causa della scomparsa del marito, e assunse la reggenza fino al 1507.

 

Appena un anno dopo la morte della regina (19 ottobre 1505) e seppur legatissimo a lei, Ferdinando II d’Aragona, allora cinquantatreenne, sposò Germana di Foix, che aveva 18 anni. Negli accordi stipulati a Blois, il re di Francia concesse alla giovane nipote i diritti dinastici sul Regno di Napoli e a Ferdinando e ai discendenti della coppia il titolo simbolico di Re di Gerusalemme. In cambio il Re Cattolico promise di nominare erede il possibile primogenito del suo secondo matrimonio. Insomma, nonostante l’evidente differenza di età tra i due, tutto lasciava presagire che Ferdinando fosse effettivamente in grado di concepire un figlio con la francese.

 

Il matrimonio tra Ferdinando e Germana scatenò l’ira della nobiltà castigliana e della dinastia degli Asburgo, nemici giurati della Monarchia Francese, dato che lo interpretarono come una manovra del sovrano aragonese per impedire a Carlo, rampollo di Filippo e Giovanna, di ereditare la Corona d’Aragona.

 

Solo un avvenimento poteva impedirlo: appunto la nascita di un figlio. Proprio per questo, e quindi per rompere l’unione dinastica con la Castiglia, Ferdinando ricorse all’uso della cantaride (conosciuta anche come ‘mosca spagnola’), uno scarafaggio di un verde brillante che, una volta morto, seccato e ridotto in polvere, si usava fin dall’antichità come sostanza vasodilatatrice, una sorta di viagra ante litteram. L’abuso nel consumo di questo afrodisiaco potrebbe essere alla base dell’emorragia cerebrale che lo colpì.

 

Stando a Jerónimo Zurita, celebre storico e cronista della Corona d’Aragona, il re soffrì una grave malattia causata da «un disgustoso minestrone che la regina gli diede affinché potesse avere dei figli; la malattia andò peggiorando di giorno in giorno, con un’idropisia che gli provocò continui svenimenti e dolori al cuore». I disturbi cardiaci sono stati visti come una conseguenza dell’uso di misteriose erbe, ma, anche se mai è stato provato scientificamente, i suoi contemporanei non ebbero dubbi nell’affermare che il cocktail di afrodisiaci, con la presenza della potente cantaride, fu determinante nel peggioramento delle condizioni di salute dell’anziano sovrano.

 

Ferdinando morì a 63 anni a Madrigalejo, dove si trovava per assistere ad un’assemblea degli ordini di Calatrava e Alcántara nel Monastero di Guadalupe. L’uso frequente di cantaride e di altri prodotti, come i testicoli di toro, possono aver influito direttamente nell’emorragia cerebrale che lo fulminò nella cittadina dell’Estremadura, tesi avallata da diversi cronisti secondo i quali la notte prima il re ingerì una dose elevata del famoso «minestrone». Dopo la confessione resa al frate Tomás de Matienzo e la richiesta di 10mila messe per la sua anima, alla fine il Trastámara decedette il 23 gennaio 1516.

 

Gli sforzi per concepire un erede maschio sembrarono andare in porto nel 1509. Il bambino, chiamato Giovanni, però, morì poche ore dopo la nascita, evitando così che l’Aragona si svincolasse dinasticamente dalla Castiglia.

 

Non essendo riuscito ad avere altri figli, Ferdinando lasciò tutti i suoi territori alla figlia Giovanna la quale, non potendo regnare per le sue labilissime condizioni psichiche, cedette la Corona d’Aragona e i suoi principali possedimenti (il Regno di Napoli e una parte della Navarra) al giovane Carlo. Aspettando la venuta in Spagna del Sacro Romano Imperatore, Ferdinando nominò quale suo figlio naturale, e quindi reggente dei territori aragonesi, Alfonso d’Aragona, già arcivescovo di Saragozza, mentre la reggenza della Castiglia venne affidata al cardinale Francisco Jiménez de Cisneros.

 

Non si trattò del suo desiderio originale visto che il Trastámara, come riportato nella prima bozza delle sue volontà testamentarie, puntava ad affidare la reggenza castigliana al suo nipote prediletto, Ferdinando d’Asburgo, cresciuto come un figlio. Nello stesso testamento Ferdinando chiese (e ottenne) di essere sepolto nella Cappella Reale di Granada assieme alla sua prima sposa, Isabella di Castiglia.

 

Uno dei pochi suggerimenti che il Re Cattolico diede a Carlo fu quello di prendersi cura di Germana di Foix e di permetterle di vivere agiatamente. «Non le resta, dopo di Dio, altro rimedio se non voi...», queste furono le parole di Ferdinando, e l’imperatore asburgico le prese alla lettera tanto da iniziare una relazione amorosa con la francese. Carlo aveva 17 anni e rimase completamente rapito dalla sua nonnastra di 29 anni, una donna affettuosa, dal fascino discreto, che ancora non soffriva dei problemi di obesità che la perseguitarono durante la vecchiaia.

 

La coppia ebbe una figlia, Isabella, mai riconosciuta ufficialmente da Carlo, che crebbe e fu educata nella Corte di Castiglia. Nel suo testamento Germana di Foix si riferiva a lei come «l’infanta» e al padre come «l’imperatore», evidenziando il sentimento di distacco totale che il padre nutriva nei confronti di Isabella.

 

La francese si sposò altre due volte: la prima con Giovanni di Brandeburgo, appartenente al ramo dinastico degli Asburgo, e la seconda con Ferdinando d’Aragona, duca di Calabria.

 

L’utilizzo della cantaride come afrodisiaco diminuì drasticamente a partire dal Settecento come conseguenza dei suoi molti effetti collaterali. Un secolo dopo tornò di moda ma solo come infallibile veleno (altra qualità risaputa da tempo), veleno che, nel corso dei secoli, già aveva collezionato un nutrito numero di vittime nelle principali corti europee.



 

 

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