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N. 97 - Gennaio 2016 (CXXVIII)

MORTE DI CICERONE
IL RACCONTO DI PLUTARCO - PARTE I

di Paola Scollo

 

Ricostruire gli ultimi convulsi anni di vita di Cicerone è ardua impresa in quanto le fonti a disposizione sono inesistenti. Pur non segnando la fine della sua carriera politica, la grave crisi, che consegna Roma nelle mani di Cesare, costringe Cicerone a un temporaneo allontanamento dalla scena politica. Di conseguenza, si riducono i suoi interventi pubblici e la corrispondenza si interrompe bruscamente. E ciò è per noi motivo di forte rammarico perché l’epistolario ciceroniano, oltre a testimoniare un’esistenza ricca di incontri e di relazioni, svela tormenti e sofferenze interiori, fragilità e umane debolezze. Alla luce di ciò, non resta che affidarsi alle testimonianze indirette. I principali testimoni sono gli storici greci d’età romana, ovvero Plutarco, Appiano e Cassio Dione, che su Cicerone hanno espresso giudizi alquanto severi.

 

La coppia Demostene- Cicerone occupa il quinto posto delle Vite Parallele di Plutarco. Gli eventi che conducono alla morte di Cicerone sono narrati nei quattro capitoli conclusivi (XLVI - XLIX) della biografia. Plutarco tenta qui di ripercorrere le ultime fasi delle vita dell’oratore, cercando di mettere in luce le ragioni della condanna a morte. E tali ragioni vanno senz’altro ricondotte all’atteggiamento di Cicerone nei confronti dei protagonisti della scena politica di Roma in seguito alla morte di Cesare: Antonio e Ottaviano.

 

Stando alle parole di Plutarco, Cicerone in un primo momento aveva scelto di appoggiare la politica di Ottaviano, garantendogli l’appoggio del Senato. D’altra parte, lo stesso Cicerone, in una delle ultime lettere indirizzate a Bruto, ammetteva di nutrire la speranza di «trattenere» Ottaviano, malgrado «l’opposizione da parte di molti». Con ogni probabilità si trattava di una scelta obbligata: Ottaviano doveva rappresentare l’unica alternativa ad Antonio, l’unico personaggio in grado di difendere la causa della res publica. Ovviamente, tale speranza era destinata al fallimento poiché il giovane, già da qualche tempo, si era orientato verso Antonio e Lepido. Ma Cicerone non sembra esserne consapevole.

 

Nel giugno del 43 i progetti di Ottaviano sul consolato furono manifesti. Approfittando della morte a Modena dei consoli Irzio e Pansa, Ottaviano avanzò pretese sulla magistratura. Alle opposizioni del senato, rispose con una marcia su Roma. Alla fine, venne eletto console il 19 agosto insieme allo zio Quinto Pedio. E dinanzi a Cicerone si spalancò il baratro. Secondo alcune testimonianze, giunse persino a rinnegare le Filippiche.

 

Anche se ciò non dovesse corrispondere al vero, è fuor di dubbio in quale stato d’animo dovesse trovarsi: abbandonò Roma, cercando rifugio nelle sue proprietà. Nel frattempo, Ottaviano aveva aperto trattative con Antonio e Lepido, facendo prestare giuramento ai veterani di Cesare. I colloqui si svolsero alla fine di ottobre del 43 sul fiume Lavinius, forse identificabile con il Reno, presso Bologna, su una piccola isola fluviale. La conferenza, svoltasi dinanzi a tutto l’esercito, durò tre giorni.

 

Qui furono poste le basi dell’accordo che più tardi ricevette il nome di Secondo triumvirato. I triumviri avrebbero detenuto per cinque anni l’imperium proconsulare senza limiti, con facoltà di nominare i magistrati, compresi i consoli. Plutarco, nel suo racconto, insiste soprattutto sulla spartizione del potere come se si trattasse di un possedimento privato (ktema), non precisando i contenuti dell’accordo. Ecco come descrive la situazione (XLVI 2 - 3): «il giovane, infatti, divenuto potente, una volta che ebbe ottenuto il consolato, voltò le spalle a Cicerone e divenne amico di Antonio e Lepido con i quali unì le sue forze per poi dividere con loro il potere supremo quasi fosse un possedimento personale».

 

A Ottaviano furono assegnate le province di Sicilia, Sardegna, Corsica e Africa; ad Antonio la Gallia Cisalpina e  la Gallia Transalpina; a Lepido la Narbonense e le Hispaniae. Gli accordi furono tradotti in legge con la lex Titia il 27 novembre del 43. In seguito, si prepararono liste di proscrizione, ossia elenchi di persone condannate a morte con la confisca di tutti i beni. A tal proposito, Plutarco riferisce di un’accesa discussione sulle persone da mandare a morte: ciascun triumviro, infatti, tentava di eliminare i propri avversari e di salvare i propri seguaci.

 

Alla fine, Antonio scelse di sacrificare Lucio Cesare, zio da parte di madre, mentre Lepido suo fratello Paolo. Pur non avendo fatto includere nelle liste di proscrizione nessuno dei suoi parenti, Ottaviano dovette cedere alle pressioni di Antonio, sacrificando il suo ex alleato ed amico Cicerone. Con ogni probabilità Plutarco qui segue una versione filoaugustea, in quanto sostiene che Ottaviano si sforzò fino all’ultimo per salvare Cicerone (XLVI 5): «si dice che Ottaviano abbia sostenuto le difese di Cicerone per due giorni ed al terzo si sia dichiarato vinto ed abbia lasciato in balia della sorte l’oratore».



 

 

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