N. 145 - Gennaio 2020
(CLXXVI)
Coesistenza e conflitto
I
rapporti
tra
moriscos
e
cristianos
viejos
nella
Spagna
riconquistata
di
Gabriele
Oliviero
L’arabista
spagnolo
Serafín
Fanjul,
nel
saggio
storico
La
Quimera
de
al-Andalus,
pone
una
domanda
che
a
dispetto
della
sua
apparente
semplicità,
nasconde
notevoli
insidie:
“Eran
españoles
los
moriscos?”.
Il
quesito
risulta
molto
scivoloso
per
le
implicazioni
che
comporta
e
non
si
presta
a
generalizzazioni
superficiali.
La
presenza
islamica
nella
penisola
iberica
abbraccia
un
arco
temporale
di
quasi
ottocento
anni,
rendendo
arduo
se
non
impossibile,
riferirsi
a
tale
periodo
utilizzando
semplificazioni
azzardate
e
inadatte
alla
sua
variegata
complessità.
L’epopea
morisca
segna
solo
una
tappa
di
questo
lungo
processo
che
lungi
dal
concludersi
con
la
loro
espulsione,
apre
agli
storici
nuovi
ed
inediti
orizzonti
di
ricerca
sulle
sue
implicazioni
in
entrambi
i
versanti
dello
stretto
di
Gibilterra.
Ritornando
al
quesito
pare
imprescindibile
abbordare
la
questione
sforzandosi
di
trovare
un
punto
di
partenza
comune
–
operazione
non
certo
semplice
- su
cosa
si
intenda
per
“essere
spagnoli”
e
quali
sarebbero
le
variabili
che
dovrebbero
porre
l’individuo
o i
gruppi
di
individui,
all’interno
di
tale
classificazione
o
escluderli.
Senza
sottovalutare
gli
innumerevoli
altri
interrogativi
che
ciò
scatenerebbe:
erano
spagnoli
i
baschi?
I
catalano-aragonesi?
Dopo
l’unione
politica
con
la
corona
portoghese,
possiamo
considerare
spagnoli
i
lusitani?
L’autore
ritiene
che
la
risposta
non
possa
che
essere
negativa.
Ammesso
che
questa
asserzione
fosse
vera,
bisognerebbe
comunque
interrogarsi
sulle
motivazioni
per
poi
passare
ad
analizzare
le
cause
di
una
inclusione
fallita
in
un
sistema
statale
e
culturale
più
ampio.
In
definitiva:
perché
non
è
stato
possibile
assimilare
i
moriscos
trasformandoli
nel
prototipo
classico
della
españolidad,
il
castigliano?
La
Spagna
è
stato
storicamente
un
paese
plurinazionale
come
alcuni
sostengono,
oppure
questo
è
solo
il
frutto
di
una
distorsione
della
realtà,
di
una
errata
percezione
della
storia
e
della
cultura
profonda
di
quel
paese?
Perché
non
vi
fu
modo
di
trovare
una
collocazione
adeguata
anche
per
i
moriscos?
Lungi
dal
pretendere
di
dare
risposte
definitive
a
temi
che
da
secoli
appassionano
e
dividono
gli
studiosi,
si
cercherà
di
offrire
almeno
una
panoramica
utile
a
inquadrare
gli
eventi,
in
un
contesto
tutt’altro
che
omogeneo
e
lineare
come
fu
quello
spagnolo
durante
la
transizione
dal
Medioevo
all’
età
moderna.
Come
ripercussione
dell’espansione
dei
regni
cristiani
ai
danni
di
al-Andalus,
numerosi
gruppi
di
musulmani
si
trovarono
improvvisamente
inglobati
in
strutture
statali
politicamente
e
religiosamente
cristiane.
Questa
situazione,
inedita
nell’Europa
occidentale,
costrinse
gli
esperti
di
diritto
islamico
a
profonde
riflessioni
sulla
compatibilità
di
tale
condizione
con
i
precetti
della
fede
coranica.
A
quanto
risulta
non
si
arrivò
mai
a
una
completa
unanimità
in
merito
a
dimostrazione
di
quanto
la
questione
fosse
problematica
sotto
molti
aspetti.
Le
cose
si
complicarono
ulteriormente
in
conseguenza
della
vittoria
a
Las
Navas
de
Tolosa
(1212)
che
consentì
ai
regni
cristiani
di
Castiglia
ed
Aragona
di
acquisire
enormi
porzioni
di
territorio
ai
danni
dello
stato
musulmano
allora
controllato
dagli
Almohadi.
L’evento
più
traumatico
e
cruciale,
fu
però
la
capitolazione
di
Granada
il 2
gennaio
1492
che
catapultò
centinaia
di
migliaia
di
musulmani
in
un
sistema
statale,
religioso
e
culturale
che
non
riconoscevano
come
proprio.
Con
l’entrata
in
città
dei
Re
Cattolici
molta
parte
della
sua
popolazione
musulmana
decise
di
emigrare
nelle
terre
rimaste
islamiche
al
di
là
del
mare,
mentre
altri,
per
scelta
o
necessità,
rimasero,
certi
di
poter
godere
delle
libertà
personali
e
religiose
promesse
nel
trattato
di
capitolazione.
La
relativa
tranquillità
dei
primi
anni
favorita
dalla
mite
azione
evangelizzatrice
di
Hernando
de
Talavera
confessore
e
consigliere
della
regina
Isabella,
nonché
primo
arcivescovo
di
Granada,
venne
ben
presto
soppiantata
da
frizioni
sempre
più
frequenti
coi
i
nuovi
coloni
cristiani
invitati
a
ripopolare
il
nuovo
regno.
La
situazione
degenerò
a
tal
punto
da
trasformarsi
in
aperta
ribellione
già
nel
1502.
La
necessità
di
impiegare
la
forza
per
avere
ragione
degli
insorti
comportò
anche
l’imposizione
della
conversione
al
cristianesimo
o
l’immediata
espulsione
per
coloro
che
si
ostinavano
a
mantenersi
fedeli
alla
fede
islamica.
I
neo
convertiti,
chiamati
dai
cristiani
vecchi
moriscos
per
sottolinearne
la
loro
ascendenza
musulmana,
scelsero
di
optare
tra
la
piena
assimilazione
nelle
strutture
della
nuova
società
in
costruzione
(i
ceti
più
abbienti)
o il
ripiegamento
su
un’endogamia
sempre
più
esacerbata
ed
autoescludente.
I
tratti
distintivi
della
cultura
islamica
soprattutto
usanze
alimentari,
utilizzo
del
vestiario
tradizionale
e
dell’alfabeto
arabo
anche
per
scrivere
in
volgare
castigliano
-
divennero
i
segni
evidenti
della
volontà
di
non
riconoscersi
in
quelli
dominanti
e al
contempo
i
simboli
del
pervicace
attaccamento
a un
sistema
di
regole
e
valori
religiosi
minacciato
nella
sua
stessa
esistenza
dal
nuovo
potere.
Il
tragico
epilogo
della
questione
morisca
culminata
con
la
loro
espulsione
dalla
nel
1609
è
un
esempio
evidente
del
tentativo
fallito
di
far
coesistere
in
un
medesimo
spazio
comunità
eterogenee.
Neppure
le
conversioni
imposte
ed
una
politica
omologante
spesso
aggressiva,
riuscirono
a
sortire
gli
effetti
sperati.
Non
si
riuscì
ad
abbattere
la
barriera
della
diffidenza
e
dell’accettazione
positiva
dell’altro
e le
distanze
tra
le
comunità
finirono
addirittura
per
diventare
insormontabili
ed
inesorabilmente
divisive.
La
presenza
di
due
etnie
così
diverse
fra
loro
che
si
disputavano
lo
stesso
territorio
fu
il
problema
principale
da
affrontare
per
le
nascenti
istituzioni
dello
nuovo
stato
granadino
e la
volontà
di
importare
in
quei
luoghi
il
modello
culturale
castigliano
generò
feroci
resistenze.
Coesistere?
Convivere?
Integrarsi
o
sopportarsi?
Se
sì,
a
quali
condizioni?
Queste
sono
le
questioni
chiave
sulle
quali
è
necessario
fare
luce.
Un
compito
arduo
che
la
storiografia
spagnola
in
passato
ha
affrontato
con
alterni
livelli
di
adeguatezza
e
obiettività;
abbandonandosi
troppo
frequentemente
alla
partigianeria
e
appiattendosi
su
fascinazioni
romantiche
e
preconcetti
-
non
estranei
al
clima
e
alla
sensibilità
politica
dei
tempi
- il
cui
riverbero
non
si è
ancora
del
tutto
attenuato.
Alcuni
hanno
contrapposto
un
al-Andalus
paradiso
di
tolleranza
alla
cupa
e
decadente
Spagna
riconquistata
(della
quale
i
moriscos
sarebbero
le
vittime
designate
ed
innocenti)
e
altri
convinti
dell’impossibilità
della
loro
integrazione
in
quanto
pericoloso
corpo
estraneo
ripiegato
su
sé
stesso,
se
non
addirittura
quinta
colonna
del
nemico
Ottomano
e
barbaresco.
Fortunatamente
questo
rischio
pare
essersi
notevolmente
ridotto
negli
ultimi
decenni,
grazie
soprattutto
alla
transizione
dalla
dittatura
franchista
alla
democrazia,
che
ha
finalmente
sciolto
i
nodi
che
imbrigliavano
il
libero
pensiero
e
dissolto
la
cappa
oscurantista
e
conservatrice
che
il
regime
aveva
creato
anche
attorno
alla
storia
del
paese.
Studiosi
spagnoli
di
grande
spessore
come
Miguel
Angel
Ladero
Quesada,
Ricardo
García-Cárcel,
Alejandro
Garcia
Sanjuan,
Mercedes
García-Arenal,
assieme
ad
altri
colleghi
europei
come
Vincent
Bernard
o
Louis
Cardaillac
hanno
contribuito
alla
rimozione
di
moltissime
incrostazioni
e
stereotipi
che
per
lungo
tempo
hanno
contaminato
il
passato
della
nazione,
a
partire
dalla
dominazione
musulmana,
alla
Reconquista,
fino
al
cliché
più
frequentemente
rievocato:
la
leyenda
negra.
Lo
stesso
Serafìn
Fanjull
con
i
suoi
polemici
volumi
sulla
società
di
al-Andalus,
si
cimenta
nell’immane
compito
di
smontare
l’enorme
mole
di
luoghi
comuni
che
aleggiano
attorno
alle
vicende
della
Spagna
antica
e
moderna.
Non
vi è
dubbio
che
quella
dei
moriscos
è
una
lunga,
complessa
e
spinosa
vicenda
che
a
distanza
di
secoli
dal
suo
tragico
epilogo
non
finisce
di
generare
riflessioni
ed
emozioni
contrastanti.
La
domanda
di
Fanjul,
seppur
probabilmente
mal
posta
a
livello
semantico,
non
può
che
avere
risposta
negativa:
i
moriscos,
generalmente
furono
considerati
da
molti
contemporanei
inassimilabili,
un
corpo
estraneo
indesiderato:
non
erano
il
prototipo
dello
“spagnolo”
che
uno
stato
sempre
più
orientato
verso
l’accentramento
assolutistico,
voleva
creare.
A
questo
bisogna
aggiungere
il
sospetto
con
cui
i
cristianos
viejos
percepivano
i
nuovi
convertiti,
ricambiato
con
malcelato
disdegno
e
ostinata
ed
ostentata
esibizione
di
diversità
da
parte
morisca.
L’obiettivo
di
costruire
una
società
plurale
rimase
una
inarrivabile
utopia.
Neppure
i
tentativi
di
distensione
e
accomodamento
della
moderata
e
poco
invasiva
politica
regia
ai
tempi
di
Carlo
V,
furono
in
grado
di
porre
le
basi
per
una
convivenza
pacifica
duratura.
Se i
cristiani
vecchi
non
mancarono
mai
di
far
pesare
la
loro
condizione
di
vincitori,
i
moriscos
cercarono
conforto
nelle
profezie
che
alimentavano
la
credenza
di
una
futura
riscossa
e di
una
rivincita
islamica.
Il
convincimento
diffuso
dell’esistenza
di
una
connivenza
tra
cristiani
nuovi
e
infedeli
del
Magreb
o
del
Levante,
certamente
non
facilitò
la
distensione
degli
animi.
Le
mescolanze
culturali
che
col
tempo
si
intercambiarono
in
maniera
osmotica,
dimostrano
una
certa
permeabilità
tra
le
comunità,
ma
ciò
si
inserisce
comunque
in
un
quadro
di
generale
sfiducia
che
nel
tempo
si
fece
sempre
più
intensa.
I
moriscos
generalmente
si
considerarono
una
comunità
a se
stante,
inserita
in
un
ambiente
ostile
e si
adoperarono
per
preservare
per
quanto
possibile
la
loro
identità
anche
aggrappandosi
ai
precetti
coranici
permettevano
ai
fedeli
persino
di
dissimulare
l’accettazione
esteriore
di
una
fede
che
gli
era
stata
imposta.
Con
molta
probabilità
i Re
Cattolici
avevano
teorizzato
molto
precocemente
l’idea
di
nazione
che
si
apprestavano
a
costruire
e
l’espulsione
degli
ebrei
dalla
Corona
di
Castiglia
nel
1492,
sembra
inserirsi
concretamente
in
questo
disegno
complessivo.
Nei
loro
piani
non
era
prevista
l’esistenza
di
uno
stato
religiosamente
composito.
Seppur
traumatica
la
cacciata
dei
sefarditi
potè
compiersi
senza
eccessive
turbolenze
per
la
stabilità
del
regno,
ma
ciò
non
era
praticabile
con
i
musulmani
granadini
che
potevano
contare
sulla
forza
della
loro
demografia,
la
concentrazione
in
un
territorio
di
recentissima
acquisizione,
non
ancora
completamente
organizzato
e
controllato.
Probabilmente
si
optò
per
un
atteggiamento
attendista
che
scongiurasse
possibili
tentativi
di
ribellione,
in
attesa
procedere
a
una
completa
assimilazione
quando
le
condizioni
fossero
state
più
favorevoli.
La
scelta
di
imporre
il
battesimo
attraverso
un
decreto
-
eppur
come
conseguenza
di
una
rivolta
-
dimostra
da
un
lato
l’impossibilità
di
ottenere
facili
e
numerose
conversioni
e
dall’altro
l’irriducibile
attaccamento
dei
musulmani
alla
loro
fede
originaria.
Durante
il
regno
dei
Re
Cattolici
e di
Carlo
V
l’idea
di
una
possibile
integrazione
rimase
comunque
radicata
e
plausibile
nel
medio
e
lungo
periodo.
Ciò
spiegherebbe
l’atteggiamento
generalmente
benevolo
ed
accondiscendente
verso
i
nuovi
sudditi
che
la
corona
cerco
di
preservare
dalle
ingerenze
dell’Inquisizione;
premure
che,
al
contrario,
non
furono
accordate
agli
accusati
di
criptogiudaismo
come
dimostra
il
processo
alo
stesso
Hernando
de
Talavera.
L’imperatore
Carlo,
impegnato
a
gestire
le
emergenze
derivanti
dai
suoi
difficili
rapporti
con
la
Francia
e
dalla
Riforma
protestante,
preferì
la
linea
dell’accondiscendeza
che
gli
garantiva
al
contempo
di
evitare
di
aprire
un
nuovo
dissidio
religioso
interno
alla
Spagna
e
cospicue
elargizioni
in
cambio
di
una
relativa
tolleranza.
Non
è
un
caso,
infatti
che
le
offerte
pecuniarie
alla
corona
da
parte
dei
moriscos
arrivassero
quasi
sempre
in
concomitanza
con
eventi
bellici
che
richiedevano
al
sovrano
una
cospicua
ed
immediata
disponibilità
di
denaro.
Le
cose
cambiarono
drasticamente
con
l’ascesa
al
trono
di
Filippo
II
un
re
“spagnolo”,
cresciuto
ed
educato
nella
penisola
iberica
che
“sgravato”
dal
fardello
del
titolo
imperiale
si
concentrò
sugli
affari
interni
del
suo
regno.
Questi
non
parve
più
disposto
a
tollerare
disomogeneità
culturali
e
religiose
all’interno
dei
suoi
confini
e
agì
con
ferrea
decisione
tanto
da
scatenare
una
vera
a
propria
guerra
religiosa.
Il
conflitto
detto
“Guerra
de
las
Alpujarras”
impegnò
il
sovrano
in
una
dura
campagna
protrattasi
dal
1560
al
1571
e
comportò
per
gli
sconfitti
la
deportazione
forzata
fuori
dai
confini
granadini
e la
loro
dispersione
all’interno
dei
regni
di
Castiglia,
Valencia
e
Aragona.
L’espulsione
decretata
da
Filippo
III
appare
come
la
normale
prosecuzione
e
conclusione
della
politica
paterna.
Le
vicende
dei
moriscos
spagnoli
con
il
loro
triste
epilogo,
seppur
con
le
dovute
periodizzazioni
e le
necessarie
contestualizzazioni,
possono
essere
fonte
di
riflessione
anche
per
gli
studiosi,
i
politici
e
l’opinione
pubblica
contemporanea,
impegnati
a
interrogarsi
sulle
implicazioni
e le
ricadute
sociali,
politiche,
culturali
ed
economiche
di
una
rinnovata
e
numerosa
presenza
di
minoranze
musulmane
all’interno
degli
stati
europei.
L’analisi
dei
progressi
e
delle
criticità
non
ancora
risolte
nell’inclusione
gruppi
umani
portatori
di
modelli
sociali
così
diversi
da
quelli
definiti
a
torto
o a
ragione
“occidentali”,
può
mettere
il
presente
in
diretta
comunicazione
con
il
passato.
Comprendere
quali
furono
gli
errori
del
passato
e
contemporaneamente
rivalutare
ciò
che
di
positivo
si
cercò
di
fare
allora
per
ottenere
una
coesistenza
pacifica,
potrebbe
trasformarsi
in
un
valido
aiuto
per
la
gestione
dell’esistente.
Riferimenti
bliografici:
Domínguez
Ortiz,
Antonio,
Los
judeoconversos
en
Espana
y
America,
Madrid,
1971.
Domínguez
Ortiz,
Antonio,
Vincent
Bernard,
Historia
de
los
moriscos.
Vida
y
tragedia
de
una
minoría,
Madrid,
1985.
Galiano
Puy
Roberto,
La
expulsión
de
los
moriscos
de
la
ciudad
de
Jaén,
in «Boletín
del
Instituto
de
Estudios
Giennenses»,
CVI,
(2012),
p.
57-152
Fanjul
García
Serafín,La
Quimera
de
al.Andalus,
Madrid,
2005.
Gallego
y
Burín,
Antonio,
Gamir
Sandoval,
Alfonso,
Los
moriscos
del
reino
de
Granada
según
el
sínodo
de
Guadix
de
1554,
Granada,
1968.
García
Arenal,
Mercedes,
Los
Moriscos,
Madrid,
1975.
García
Arenal,
Mercedes,
Los
moriscos:
expulsión
y
diáspora.
Una
perspectiva
internacional,
Valencia,
2013.
García
Arenal,
Mercedes,
Los
libros
de
los
moriscos
y
los
eruditos
orientales,
«Al-Qantara»,
XXXI,
2,
(2010,
pp.
611-646.
García
Ballester,
Luis,
El
ejercicio
médico
morisco
y la
sociedad
cristiana,
Granada,
1975.
García
Cárcel,
Ricardo,
La
Historiografía
sobre
los
moriscos
españoles.
Aproximación
a un
estado
de
la
cuestión,
in
«Estudis:
revista
de
historia
moderna»,
VI,
(1977),
pp.
71-100.
Garcìa
Sanjuan,
Alejandro,
Coexistencia
y
conflictos,
Granada,
2015.
Greus,
Jesùs,
Asi
vivieron
en
al-Andalus:
La
historia
ignorada,
Madrid,
2009.
Guadalajara
y
Javier,
Marcos
(De),
Memorable
expulsión
y
justísimo
destierro
de
los
moriscos
de
España,
Pamplona,
1613.
Halperín
Dongui,
Tulio,
Un
conflicto
nacional:
moriscos
y
cristianos
viejos
en
Valencia,
Valencia,
1982.
Ladero
Quesada,
Miguel
Angel,
La
formación
medieval
de
España,
Madrid,
2014
Ladero
Quesada,
Miguel
Angel,
La
España
de
los
Reyes
Catòlicos,
Madrid,
19990
Ladero
Quesada,
Miguel
Angel,
La
incorporación
de
Granada
a la
Corona
de
Castilla,
Granada,
1993
Id.,
Los
mudéjares
de
Castilla
y
otros
estudio
de
historia
medieval
andaluza,
Granada,
1989.
Ladero
Quesada,
Miguel
Angel,
Granada
después
de
la
conquista.
Repobladores
y
mudéjares,
Granada,
1988.
Ladero
Quesada,
Miguel
Angel,
Granada.
Historia
de
un
país
islámico
(1232-1571),
Madrid,
1979.
Ladero
Quesada,
Miguel
Angel,
Los
mudéjares
de
Castilla
en
tiempos
de
Isabel
I,
Valladolid,
1969.