N. 63 - Marzo 2013
(XCIV)
J.P. Morgan, un magnate d’altri tempi
Nel centenario della morte
di Salvina Pizzuoli
Non
poteva
dirsi
un
bell’uomo
con
quel
naso
prorompente
e
massiccio
che
campeggiava
al
centro
del
volto
rendendone
i
tratti
grossolani,
eppure
poteva
vantare
una
moglie
e
varie
amanti
e
un’amicizia
molto
stretta
con
la
sua
consulente
specializzata
nel
reperimento
delle
più
prestigiose
opere
del
passato.
Uomo
potentissimo
era
figlio
d’arte,
intendendo
che
il
padre
di
lui,
Junius
Spencer
Morgan,
era
banchiere.
Nato
a
Hartford,
nel
Connecticut,
nel
1837,
iniziò
a
soli
vent’anni
come
impiegato
nella
filiale
londinese
della
società
finanziaria
del
padre,
per
diventare
già
nel
1864
direttore
della
Dabney
Morgan
e C.
e
divenire,
nel
1871,
a
soli
34
anni,
socio
della
“Drexel
&
Co”,
assumendone
il
controllo
sei
anni
dopo,
alla
morte
del
socio,
e
cambiandone
il
nome
in
“J.P.Morgan
e
Co.”
quella
che
oggi
gli
sopravvive
con
il
nome
di
“J.P.
Morgan
Chase
&
Co”
dopo
la
fusione
con
la
“Chase
Manhattan
Bank”.
Agli
inizi
del
XX
secolo
John
Pierpont
Morgan
era
il
più
grande
banchiere
del
mondo,
rivestendo
un
ruolo
preponderante
nella
finanza
americana
e
traghettando
l’America
verso
un
destino
imperiale
rispetto
alla
finanza
mondiale,
e
poteva
vantare
attività
ad
ampio
raggio:
dal
finanziamento
della
nascente
industria
americana,
al
settore
ferroviario
che
controllava
le
linee
più
importanti
del
paese;
dalla
fusione
di
società
da
cui
nacque
la
United
States
Steel
Corporation,
alla
concentrazione
di
linee
transatlantiche
con
l’acquisto
dalla
Gran
Bretagna
della
prestigiosa
White
Star
Line
costituendo,
assieme
ad
altre
aziende
del
settore,
la
International
Mercantile
Marine;
il
famoso
Titanic
era
di
sua
proprietà
e
faceva
parte
del
progetto
di
costruzione
di
tre
navi
gigantesche
insieme
all’Olympic
e
alla
Gigantic.
Per
inciso,
pare
non
avesse
partecipato
al
viaggio
inaugurale
del
grande
transatlantico
preferendo
un
breve
soggiorno
alle
terme
di
Aix
les
Bains
con
l’amante,
scelta
che
probabilmente
gli
aveva
salvato
la
vita
o
comunque
lo
aveva
preservato
da
una
pessima
esperienza;
l’affondamento
del
Titanic
gli
comportò
in
ogni
modo
un
estremo
dolore
per
tutti
quelli
che
erano
a
bordo
e
che
conosceva
e
per
tutte
le
morti
che
il
naufragio
aveva
causato.
Fu
varie
volte
l’ancora
di
salvezza
per
il
governo
americano
e
inglese
con
gli
ingenti
prestiti
concessi
e
con
il
recupero
delle
banche
americane
durante
la
crisi
di
Wall
Street
del
1907,
una
delle
tante
che
già
allora
si
profilavano,
sebbene
diverse,
nella
grande
finanza
mondiale,
prestiti
che
sanarono
il
tesoro
americano
oltre
a
garantirgli
enormi
profitti.
I
Morgan,
i
Carnegie,
i
Rockefeller,
i
cosiddetti
“magnati
senza
scrupoli”,
controllando
vasti
monopoli,
banche,
ferrovie,
petrolio
e
acciaio
esercitavano
una
notevole
influenza
anche
in
ambito
politico.
Attraverso
il
commercio
privato
e le
banche
si
apriva
una
nuova
strada
all’imperialismo
che
non
passava
più
attraverso
l’uso
delle
armi
che
dovevano
servire
semmai
a
proteggere
il
libero
mercato,
la
stabilità
dei
mercati
finanziari,
la
proprietà
privata.
New
York
da
capitale
finanziaria
degli
Stati
Uniti,
a
partire
dal
1840,
si
trasformò
sempre
più
in
una
capitale
mondiale:
già
all’inizio
degli
anni
‘60
la
città
era
tra
le
più
ricche
del
mondo,
seconda
solo
a
Londra
e
Parigi.
È
proprio
a
New
York,
fra
la
Madison
Avenue
e la
36th
Street,
che
il
grande
magnate
Morgan
creerà
la
sua
biblioteca.
Se
fu
indiscutibilmente
il
più
grande
finanziere
del
suo
tempo,
fu
anche
un
filantropo
e un
grande
collezionista.
“Voglio
un
gioiello”
aveva
detto
ai
suoi
architetti
McKim
Mead
&
Wihite
che
avevano
costruito
vari
palazzi
per
i
notabili
dell’epoca
ispirandosi
ad
uno
stile
rinascimentale,
il
Beaux-Art,
che
esprimeva
tutto
l’orgoglio
di
una
nazione
giovane
ma
dominatrice;
ancora
oggi
la
P.
Morgan
Library
rappresenta
una
delle
prestigiose
architetture
della
città:
due
colonne
sormontate
da
un
arco
ne
sottolineano
l’ingresso
mentre
nella
facciata
domina
la
bella
simmetria
degli
elementi
architettonici.
La
prima
biblioteca
occupava
un’ala
aggiunta
alla
casa
di
219
Madison
Avenue,
ma
ben
presto,
risultò
troppo
piccola,
così
nel
1902
fu
edificata
da
C.
Follen
McKim
e
Associati
la
“Pierpont
Morgan
Library”,
che
ancora
oggi
si
può
ammirare
e
visitare:
J.
Pierpont
Morgan
Jr,
convertì
la
collezione
privata
in
un’istituzione
pubblica
nel
1924.
Oggi
anche
museo,
alberga
un
vero
patrimonio
di
manoscritti
rari,
stampe,
libri
veramente
preziosi.
All’uomo
Morgan
e al
collezionista,
oltre
che
ricco
uomo
d’affari
e
finanziere,
ha
dedicato
un
romanzo
biografico,
davvero
gradevole
e
documentato,
Hans
Tuzzi,
“Morte
di
un
magnate
americano”
che
nelle
pagine
narrative
raccoglie,
oltre
agli
avvenimenti
legati
ai
suoi
ultimi
giorni
di
vita,
una
miriade
di
informazioni
sull’entità
di
quel
patrimonio
che
nel
corso
degli
anni
il
nostro
protagonista
riuscì
ad
accumulare,
accaparrandosi
opere
di
inestimabile
valore
grazie
anche
alla
collaborazione
di
Belle
da
Costa
Greene,
l’esperta
bibliotecaria
e
studiosa
di
manoscritti
antichi,
stimata
da
Morgan
non
solo
intelligente,
ma
una
vera
professionista
che
ne
sapeva
sui
libri
antichi
più
di
qualsiasi
altro
americano
e
che
sapeva
battere
nelle
aste
anche
i
più
astuti
compratori
e il
cui
parere
era
sempre
richiesto
dai
maggiori
studiosi.
Ma
Tuzzi
ci
svela
anche
un’amicizia
e un
attaccamento
tra
i
due
che
si
snoda
in
un
lungo
arco
della
loro
vita,
senza
mai
diventare
una
vera
relazione,
ma
forse
un
legame
ancora
più
profondo.
Belle
si
era
legata
invece
ad
un
personaggio
poco
simpatico
a
Morgan,
anche
se
stimato
come
storico
dell’arte,
lo
statunitense
Bernard
Berenson
che
raccoglierà
nella
villa
I
Tatti,
sulle
colline
fiorentine,
fotografie
e
opere,
trasformandola
in
un
piccolo
museo;
insieme
a La
Pietra
di
Harold
Acton
e al
Salviatino
di
Ojetti
costituivano
i
tre
poli
della
cultura
cosmopolita
fiorentina
nella
prima
metà
del
Novecento;
Berenson
la
lasciò
nel
1936
insieme
alla
sua
collezione,
all’Harvard
University
che
ne
ha
fatto
la
sede
del
Centro
di
Storia
del
Rinascimento
italiano.
Ma
cosa
c’era
di
prestigioso
nel
collezionismo
di
Morgan?
Non
era
solo
un
collezionista
per
il
quale
“nessun
prezzo
era
eccessivo
per
un
oggetto
di
indiscussa
bellezza
e di
provata
autenticità”,
ma
era
un
vero
amante
del
bello,
un
bibliofilo
raffinato
e
buon
conoscitore
di
libri
antichi.
Se
volessimo
annoverare
il
suo
patrimonio
artistico,
l’elenco
diverrebbe
troppo
lungo
ed
esoso,
basterà
quindi
citare
solo
alcuni
dei
pezzi
di
maggiore
valore
custoditi
nella
sua
library,
altri
riempiono
un
museo
di
Hartford
nonché
un’ala
del
Metropolitan
Museum
di
New
York;
pochi
furono
gli
oggetti
ceduti
dagli
eredi.
Un
patrimonio
inestimabile
di
libri,
quadri,
manoscritti,
disegni,
sculture
e
manufatti
di
vario
genere;
tra
i
manoscritti
opere
miniate
al
tempo
di
Carlo
Magno
o
quelli
di
Hamouli
trovati
in
Egitto,
un
paese
che
tanto
amava;
ma
anche
esemplari
rarissimi,
addirittura
tre,
del
primo
libro
stampato
con
i
caratteri
mobili,
la
Bibbia
composta
a
Magonza
da
Johann
Gutenberg,
o
preziose
edizioni
quattrocentesche,
come
il
De
Oratore,
oppure
la
prima
edizione
a
stampa
dell’Iliade
e
dell’Odissea
in
greco.
Questo
fa
di
J.P.
Morgan
un
magnate
d’altri
tempi.
La
morte
lo
colse
a
Roma,
dove
si
era
rifugiato
dopo
il
ritorno
affrettato
dall’Egitto,
il
31
marzo
1913
nelle
stanze
del
Grande
Albergo
di
Roma
dove
alloggiava
con
alcuni
familiari
e le
persone
del
seguito,
assistito
dai
migliori
medici
del
momento.
La
morte
avvenuta,
secondo
il
parere
medico,
per
un
aggravarsi
di
quella
disposizione
alla
malattia
psichica
che
sin
da
giovanissimo
lo
aveva
travagliato,
fu
onorata
con
le
cerimonie
dovute
ad
un
grande,
più
di
un
sovrano,
a un
dominatore
che
con
il
suo
immenso
impero
aveva
permesso
a
nazioni
e
industrie
di
uscire
da
terribili
crisi
finanziarie
legandole
a
stretto
cordone
a
decisioni
controllate;
in
questo
J.P.
Morgan
fu
magnate
del
nostro
tempo.